22.10.2023 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica 22 ottobre 2023

ore 11:00

Culto 

Chiesa San Francesco d'Assisi Via San Francesco d'Assisi 11 Torino


20a domenica dopo la  Trinità

Predica su Giacomo 5, 13-16

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Wo und Wann?


Sonntag,  22. Oktober 2023

11:00 Uhr

Gottesdienst

Chiesa San Francesco d'Assisi Via San Francesco d'Assisi 11 Torino


20. Sonntag nach Trinitatis 

Predigt über Jakobus 5,13-16



Predica


I

Cara comunità, cari fratelli e sorelle!

In un villaggio vicino alla mia precedente comunità c'era un pastore che veniva dall’Africa, esattamente dal Congo. Il suo nome era Emanuel. Quando i pastori del nostro distretto fecero una gita insieme per diversi giorni, durante un'escursione mi misi a parlare con Emanuel e potei conoscerlo meglio. Gli feci molte domande sulla sua terra d'origine africana. Una cosa in particolare mi è rimasta impressa nella memoria. Mi disse che quando una persona nel suo paese si ammalava, gli altri non gli chiedevano: "Sei già stato dal medico? Ma cosa pensate che chiedano a un malato nel Congo? Gli viene chiesto: Hai già pregato?

 

Quando Emanuel me l'ha detto, mi sono vergognato. Quanto seriamente la gente nel Congo prende la preghiera! Che potere attribuiscono alla preghiera! Naturalmente, il sistema sanitario nel Congo non è neanche lontanamente paragonabile a quello della maggior parte dei paesi europei. Le persone nel Congo non vanno dal medico con la stessa rapidità con cui lo facciamo noi. Nel Congo, la prima cosa da fare quando si è malati è pregare. Eppure: nel Congo le persone pregano quando sono malate! Possiamo dire lo stesso di noi in Europa? Preghiamo quando siamo malati? Contiamo sul potere della preghiera? Contiamo sul fatto che Dio risponda alla preghiera? 

 

Vi prego di non fraintendermi a questo punto. Non voglio certo denigrare le possibilità mediche che abbiamo qui da noi. Al contrario, quante persone vengono aiutate ogni giorno dalla medicina moderna! Usiamole e andiamo dal medico quando ne abbiamo bisogno. Ma non credo che i medici e la medicina debbano essere le uniche opzioni per noi cristiani quando siamo malati. Abbiamo anche la preghiera, che dovrebbe affiancare i nostri sforzi umani.  

 

Nella Bibbia, è soprattutto l'apostolo Giacomo che ci invita in modo molto specifico alla preghiera quando siamo malati. Così sentiamo nel 5° capitolo della sua lettera: 

13 Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi. 14 Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. 15 E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. 16 Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Vale molto la preghiera del giusto fatta con insistenza. (C.E.I.)

II

Non è forse meraviglioso, soprattutto nella malattia e nella debolezza, non dover tentare tutto con mezzi umani, ma potersi affidare a Dio attraverso la preghiera? Ci è concesso di pregare quando siamo malati e di alleggerire così le nostre preoccupazioni e i nostri fardelli! Un esempio dalla mia famiglia: mio padre, che ora ha 82 anni, ha avuto grandi problemi ai polmoni per tutta la vita. Quando ero bambino e adolescente, i suoi polmoni si infiammavano a intervalli regolari da un giorno all'altro. Mio padre diventava molto debole, aveva la febbre e faticava a respirare. Da un punto di vista medico, sarebbe stato necessario somministrargli immediatamente degli antibiotici durante questi attacchi. Ma in famiglia non lo facevamo sempre subito. Temevamo che se avessimo somministrato troppi antibiotici, il corpo di mio padre avrebbe sviluppato una resistenza agli antibiotici. Invece, mia madre, mia sorella e io prendevamo mio padre tra di noi, gli mettevamo le mani sulla testa e sulle spalle e pregavamo per lui. Non era raro che migliorasse, a volte la malattia scompariva del tutto il giorno dopo. Quanto abbiamo apprezzato la possibilità di pregare invece di affidarci esclusivamente al riposo a letto, agli antibiotici e alle visite dal medico! 

Grazie a queste esperienze in famiglia ho imparato molto per il mio ministero di pastore. Quindi incoraggio chiunque sia malato a pregare da solo o a chiedere la preghiera ai propri familiari e amici. Ma poi offro ai membri della mia comunità e in generale a ogni persona di pregare per loro quando sono malati. Sono anche disponibile per recarmi a casa di un malato o in ospedale e pregare per lui. Questo è esattamente ciò che l'apostolo Giacomo ci esorta a fare: chiamare il nostro pastore quando siamo malati e chiedergli di pregare per noi. "Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa - con questo Giacomo non intende i membri del consiglio della comunità, ma i pastori, i ministri che sono stati appositamente chiamati da Dio al loro ufficio - e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà.”

 

Per la maggior parte di noi non è certo una consuetudine chiamare il Pastore in caso di malattia. Di solito chiamiamo il Pastore solo quando stiamo per morire, se mai lo chiamiamo. Ma perché dovremmo occuparci di tutto da soli, quando possiamo far ricadere il peso della malattia sul cuore di Dio attraverso la preghiera e l'aiuto di un'altra persona? Oltretutto se siamo esortati dalla Bibbia? Lo dico sul serio: sarei davvero felice di recarmi da chiunque e pregare per chiunque sia malato e mi chieda di pregare per lui. Se la malattia si rivelasse di lunga durata, verrei anche più volte. Porterei anche dell'olio, di cui parla l'apostolo Giacomo e che spesso accompagna la preghiera nella Bibbia, e con l'olio traccerei una croce sulla fronte della persona malata. Il che significa: Non preoccuparti, appartieni al tuo Signore Gesù Cristo. Sei sotto la sua cura, soprattutto in questo momento di malattia.

III

Ora, oltre alla preghiera, l'apostolo Giacomo ci dice un'altra cosa che dovremmo fare quando siamo malati, qualcosa che ancora una volta ci sarà del tutto estraneo, a maggior ragione se siamo evangelici. Giacomo scrive: Se un malato "ha commesso peccati, gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti." Si tratta della confessione, della confessione della nostra colpa. "Confessate i vostri peccati gli uni agli altri." Non é solo il nostro corpo malato ad appesantirci. Anche il senso di colpa può pesare su di noi. Sappiamo che ciò che ci turba interiormente può avere un effetto negativo sul nostro corpo. Ma attraverso la confessione abbiamo l'opportunità di confessare il peccato e quindi di scaricarlo.

 

Non sarebbe bello se la confessione fosse riservata solo ai cattolici. No, questa possibilità è aperta anche a noi protestanti. Non solo il sacerdote cattolico Don Bosco, che iniziò il suo ministero proprio in questa chiesa, aveva un confessore, una persona a cui confidare i propri peccati; Don Cafasso era il suo confessore, il cui confessionale si trova qui nella chiesa all'ingresso. No, anche Martin Lutero aveva un confessore, Johann von Staupitz, e Lutero raccomanda caldamente la confessione nel suo Grande Catechismo. Lutero esprime molto chiaramente il suo punto di vista: "Quando esorto alla confessione, esorto a essere un cristiano". E Dietrich Bonhoeffer, anch'egli protestante, come tutti sapete, formula nel suo opuscolo "Vita comune": "Nella confessione avviene la svolta verso la nuova vita. [...] 'Il vecchio è passato'. [...] La confessione è una conversione. Ecco, tutte le cose sono diventate nuove" (2 Cor 5:17). Cristo ha fatto un nuovo inizio con noi."

 

Penso che sia qualcosa di assolutamente prezioso avere una persona con cui confidarsi e aprirsi a tal punto da confessarle i propri peccati. Chi sa di poter contare su una persona del genere, può considerarsi fortunato. Può essere un amico o una amica. Come Pastore, tuttavia, è molto importante per me che voi, i miei membri della nostra comunità, sappiate che potete anche chiamarmi a confessarvi, proprio come potete chiamarmi a pregare quando siete malati. Naturalmente, fa parte del mio ministero pastorale ascoltare la confessione di chiunque me la chieda e concedere il perdono liberatorio nel nome di Dio. Abbiate coraggio e venite da me!

 

Ora, alla fine della predica, è importante per me dire un'ultima cosa sulla preghiera e sulla confessione: credo che se pratichiamo queste due cose più intensamente, preghiamo e ci confessiamo nei momenti di malattia, ma lo facciamo anche nei momenti positivi, ognuno di noi per sé stesso, ma anche con gli altri, gli uni per gli altri, nel servizio reciproco nella nostra comunità, allora molte cose nella nostra vita personale, ma anche nella vita della nostra comunità, potranno diventare nuove. Poi, insieme, aspettiamo di ricevere i doni di Dio e la potenza di Dio prende vita tra di noi.  

"E la pace di Dio, che supera di gran lunga ogni comprensione umana, mantenga la vostra mente e la vostra volontà nella bontà, sicuri nella comunione di Gesù Cristo". (Filippesi 4:7)

Pastore Tobias Brendel

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Predigt


I

Liebe Gemeinde, liebe Brüder und Schwestern!

In der Nähe meiner früheren Gemeinde tat in einem Dorf ein Pfarrer seinen Dienst, der aus Afrika stammte, genauer gesagt, aus dem Kongo. Er hieß Emanuel. Als die Pfarrer unseres Bezirks einen mehrtägigen Ausflug miteinander machten, kam ich bei einer Wanderung mit Emanuel ins Gespräch und konnte ihn näher kennenlernen. Ich stellte ihm viele Fragen zu seiner afrikanischen Heimat. Eine Sache, von der er erzählte, blieb mir in besonderer Erinnerung. Er sagte, wenn ein Mensch in seiner Heimat krank würde, fragten ihn die anderen nicht: Warst du schon beim Arzt? Sondern was meint Ihr, was wird im Kongo ein kranker Mensch gefragt? Er wird gefragt: Hast du schon gebetet?

 

Als Emanuel mir das erzählte, war ich beschämt. Wie ernst es die Menschen im Kongo mit dem Gebet nehmen! Welche Kraft sie dem Gebet zuschreiben! Natürlich ist das Gesundheitssystem im Kongo längst nicht so gut wie in den meisten Ländern Europas. So schnell wie bei uns geht man im Kongo sicher nicht zum Arzt. Bei Krankheit zuerst zu beten, liegt im Kongo näher. Und dennoch: Im Kongo wird bei Krankheit gebetet! Können wir das über uns in Europa auch behaupten? Beten wir, wenn wir krank sind? Rechnen wir mit der Kraft des Gebets? Rechnen wir mit Gott, dass er auf Gebet reagiert? 

 

Bitte versteht mich an dieser Stelle nicht falsch. Ich will uns keinesfalls die medizinischen Möglichkeiten schlecht reden, die wir hier bei uns haben. Im Gegenteil: Wie vielen Menschen wird bei uns täglich durch die moderne Medizin geholfen! Nutzen wir sie und gehen wir zum Arzt, wenn es nötig ist. Nur meine ich, Arzt und Medizin müssen für uns Christen nicht die einzigen Möglichkeiten sein, die wir haben, wenn wir krank sind. Wir haben auch das Gebet, das unsere menschlichen Bemühungen flankieren sollte.  

 

In der Bibel ist es besonders der Apostel Jakobus, der uns ganz konkret zum Gebet auffordert, wenn wir krank sind. So hören wir im 5. Kapitel seines Briefes: 

13 Leidet jemand unter euch, der bete; ist jemand guten Mutes, der singe Psalmen. 14 Ist jemand unter euch krank, der rufe zu sich die Ältesten der Gemeinde, dass sie über ihm beten und ihn salben mit Öl in dem Namen des Herrn. 15 Und das Gebet des Glaubens wird dem Kranken helfen, und der Herr wird ihn aufrichten; und wenn er Sünden getan hat, wird ihm vergeben werden. 16 Bekennt also einander eure Sünden und betet füreinander, dass ihr gesund werdet. Des Gerechten Gebet vermag viel, wenn es ernstlich ist.

II

Ist es nicht eigentlich wunderbar, gerade in Krankheit und Schwäche nicht alles mit menschlichen Mitteln versuchen zu müssen, sondern sich durch das Gebet Gott selbst anvertrauen zu können? Wir dürfen bei Krankheit beten und damit Sorge und Last abgeben! Ein Beispiel aus meiner Familie: Mein Vater, mittlerweile 82 Jahre alt, hatte lebenslang große Probleme mit seiner Lunge. Als ich ein Kind und Jugendlicher war, entzündete sich in regelmäßigen Abschnitten von einem Tag auf den anderen seine Lunge. Mein Vater wurde sehr schwach, bekam Fieber und das Atmen fiel ihm schwer. Aus medizinischer Sicht wäre es nötig gewesen, ihm bei solchen Attacken sofort Antibiotikum zu geben. Aber wir haben das als Familie nicht immer sogleich getan. Wir hatten Angst, dass bei der Vergabe von zu viel Antibiotikum der Körper meines Vaters eine Antibiotikumresistenz entwickeln würde. Stattdessen nahmen meine Mutter, meine Schwester und ich meinen Vater zuhause in die Mitte, legten ihm die Hände auf den Kopf und die Schulter und beteten für ihn. Nicht selten wurde es dann mit ihm besser, manchmal war die Krankheit am nächsten Tag sogar ganz verschwunden. Wie sehr haben wir die Möglichkeit des Gebetes geschätzt, anstatt uns ausschließlich auf Bettruhe, Antibiotikum und Arztbesuche zu verlassen!

 

Ich habe durch diese Erfahrungen in meiner Familie für meinen Dienst als Pfarrer gelernt. So ermutige ich jeden, der krank ist, selber zu beten oder auch seine Familie und seine Freunde um Gebet zu bitten. Dann aber biete ich es den Gliedern meiner Gemeinde und im Grunde genommen jedem Menschen an, für ihn zu beten, wenn er krank ist. Gerne komme ich dazu auch nach Hause oder in das Krankenhaus und bete dort für einen Kranken. Eben so legt es uns der Apostel Jakobus ja ans Herz: dass wir unseren Pfarrer zu uns rufen, wenn wir krank sind, und ihn um sein Gebet bitten. „Ist jemand unter euch krank, der rufe zu sich die Ältesten der Gemeinde – damit meint Jakobus nicht die Kirchenvorsteher, sondern die Pfarrer, die Amtsträger, die in besonderer Weise von Gott zu ihrem Amt berufen sind –, dass sie über ihm beten und ihn salben mit Öl in dem Namen des Herrn. Und das Gebet des Glaubens wird dem Kranken helfen, und der Herr wird ihn aufrichten.“ 

 

Es ist sicherlich den meisten von uns fremd, in Krankheit den Pfarrer zu rufen. Den Pfarrer ruft man meistens erst dann, wenn’s ans Sterben geht, wenn man ihn überhaupt ruft. Aber warum sollten wir alles mit uns selber ausmachen, wenn wir die Last der Krankheit mittels des Gebets und der Hilfe eines anderen Menschen Gott ans Herz legen können? Und wenn wir noch dazu von der Bibel dazu aufgerufen werden? Ich meine es wirklich ernst, dass ich sehr gerne zu jedem komme und für jeden bete, der krank ist und mich um sein Gebet bittet. Wenn sich die Krankheit als sehr hartnäckig herausstellt, komme ich auch mehrere Male. Ich bringe auch Öl mit, das der Apostel Jakobus erwähnt und das überhaupt in der Bibel das Gebet oft begleitet, und zeichne mit dem Öl dem Kranken ein Kreuz auf die Stirn. Was heißen soll: Sorge dich nicht, du gehörst deinem Herrn Jesus Christus. Du bist unter seiner Fürsorge, gerade jetzt in der Zeit Deiner Krankheit.

Foto: Lotz
Foto: Lotz

III

Nun nennt uns neben dem Gebet der Apostel Jakobus noch etwas Zweites, das wir tun sollen, wenn wir krank sind, etwas, das uns wiederum recht fremd sein wird, noch dazu, wenn wir evangelisch sind. Jakobus schreibt: Wenn ein Kranker „Sünden getan hat, wird ihm vergeben werden. Bekennt also einander eure Sünden und betet füreinander, dass ihr gesund werdet.“ Hier geht es um die Beichte, um das Bekenntnis unserer Schuld. „Bekennt einander eure Sünden.“ Es muss nicht nur unser kranker Körper sein, der uns belastet. Auch Schuld kann uns bedrücken.  Wir wissen doch, was uns innerlich umtreibt, kann sich negativ auf unseren Körper auswirken. Aber durch die Beichte haben wir die Möglichkeit, Sünde zu bekennen und damit – abzuladen.

 

Es wäre aber schlimm, wenn zu beichten nur etwas für Katholiken wäre. Nein, auch uns Evangelischen steht diese Möglichkeit offen. So hatte nicht nur der katholische Priester Don Bosco, der hier in dieser Kirche seinen Dienst begann, einen Beichtvater, eine Person, der er seine Sünden anvertraute; Don Cafasso war sein Beichtvater, dessen Beichtstuhl wir hier in der Kirche im Eingangsbereich finden. Nein, auch Martin Luther selbst hatte einen Beichtvater, Johann von Staupitz, und Luther empfiehlt die Beichte auch wärmstens in seinem Großen Katechismus. Sehr deutlich bringt Luther sein Sicht zum Ausdruck: „Wenn ich zur Beichte ermahne, so ermahne ich dazu, ein Christ zu sein.“ Und Dietrich Bonhoeffer, auch evangelisch, wie Ihr alle wisst, formuliert in seinem Büchlein „Gemeinsames Leben“: „In der Beichte geschieht der Durchbruch zum neuen Leben. […] ‚Das Alte ist vergangen.‘ […] Beichte ist Bekehrung. ‚Siehe, es ist alles neu geworden‘ (2. Kor 5,17). Christus hat einen neuen Anfang mit uns gemacht.

 

Ich halte es für etwas ganz und gar Wertvolles, einen Menschen zu haben, dem man sich so sehr anvertrauen und öffnen kann, dass man ihm die eigenen Sünden beichtet. Wer einen solchen Menschen hat, der darf sich glücklich schätzen. Das kann ein Freund oder eine Freundin sein. Als Pfarrer aber ist es mir sehr wichtig, dass Ihr, meine Gemeindeglieder, wisst, dass Ihr mich auch zur Beichte rufen könnt – eben wie Ihr mich in Krankheit zum Gebet rufen könnt. Selbstverständlich gehört es zu meinem seelsorgerlichen Dienst, dass ich einem jedem die Beichte abnehme, der mich darum bittet, und dass ich ihm im Namen Gottes die befreiende Vergebung zuspreche. Habt Mut und kommt auf mich zu!

 

Nun ist mir am Ende der Predigt wichtig, noch ein Letztes über das Gebet und die Beichte zu sagen: Ich glaube, wenn wir diese beiden Dinge intensiver praktizieren, in Zeiten der Krankheit beten und beichten, aber dieses auch in guten Zeiten tun, jeder und jede für sich, aber auch untereinander, füreinander, im gegenseitigen Dienen in unserer Gemeinde, dann dürfte vieles in unserem persönlichen Leben, aber auch im Leben unserer Gemeinde neu werden. Dann strecken wir uns gemeinsam nach Gottes Gaben erwartungsvoll aus, und Gottes Kraft wird unter uns lebendig.

„Und der Friede Gottes, der alles menschliche Begreifen weit übersteigt, bewahre euer Denken und Wollen im Guten, geborgen in der Gemeinschaft mit Jesus Christus.“ (Philipper 4,7)

Pfarrer Tobias Brendel


Grafica - Graphik: Plaßmann
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