13.11.2022 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 13 novembre 2022

ore 11:00

Culto con Santa Cena e Commemorazione dei Defunti

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino


Domenica del Giudizio universale/Penultima domenica del calendario liturgico

Luca 18,1-8

Foto: Sabine Wolters
Foto: Sabine Wolters

Wo und Wann?


Sonntag,  13. November 2022

11:00 Uhr

Gottesdienst mit Abendmahl und Gedenken der Verstorbenen

Kirche San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino 


Sonntag vom Weltgericht/Vorletzter Sonntag im Kirchenjahr

Lukas 18,1-8



Testo della Predica


I

Cara comunità, cari fratelli e sorelle!

Com’è la situazione per quanto riguarda la tua vita di preghiera?

Con quale frequenza preghi? Preghi regolarmente? Preghi ogni tanto? Non preghi per niente?

E se preghi, perché preghi? Preghi perché semplicemente capita la situazione nella quale si prega? Preghi perché un’emergenza diventa sempre più grande e più urgente? O preghi perché sei convinto che Dio stia aspettando la tua preghiera, perché la vuole esaudire?

Per Gesù la questione è chiara: noi cristiani dobbiamo pregare regolarmente, con costanza e pieni di aspettative. Così è come lo insegna Gesù ai suoi discepoli sull’esempio di una vedova. Leggo il testo della predica per la domenica odierna dal capitolo 18 del Vangelo di Luca:

1 Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: 2 «In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; 3 e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: "Rendimi giustizia sul mio avversario". 4 Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: "Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, 5 pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa"». 6 Il Signore disse: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. 7 Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? 8 Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»

Questa vedova! È impressionante come lotti per il suo diritto! Dobbiamo sapere che le vedove ai tempi della Bibbia erano delle persone estremamente deboli dal punto di vista giuridico. Chi mai difende la causa di una vedova? Di questa vedova Gesù ci racconta di come un nemico le renda la vita difficile, ma ci dobbiamo immaginare la vedova come impotente nel modo più assoluto. Nella sua situazione di emergenza cerca assistenza legale presso un giudice. Questo però è un tipo meschino. Non ha né una coscienza verso Dio né gli interessano le persone e il loro destino. Conosce solo se stesso e il proprio vantaggio. Queste sono le condizioni peggiori che si possano immaginare per la vedova per trovare ascolto per la sua causa! E infatti il giudice le risponde continuamente picche. Ma lei ha qualcosa di speciale, un asso nella manica, che lei adesso si gioca: la sua tenacia. Si presenta continuamente davanti a questo giudice ed esige il suo diritto. In continuazione, giorno dopo giorno, senza mollare, senza stancarsi. Alla fine per il giudice dal cuore di pietra è troppo. La donna gli dà fastidio. Egli teme addirittura un attacco fisico: “perché non finisca per rompermi la testa”. Solo per liberarsi di lei finalmente si prende in carico la sua faccenda e le procura quello che è il suo diritto.

 

Gesù racconta questa parabola per dirci: così come questa vedova lotta per il suo diritto davanti al giudice, così, in questo modo, voi cristiani dovete lottare presso Dio perché ascolti le vostre richieste! Dovete pregare con perseveranza, senza mollare, con impeto! Dovete essere sicuri del fatto che Dio ascolterà la vostra causa!

 

Siamo sinceri: prega qualcuno tra di noi così? Lottiamo in questo modo incessante davanti a Dio? Ho piuttosto questa sensazione: quello che ci dice qui Gesù ci potrebbe far vergognare profondamente. Questo potrebbe mettere allo scoperto la nostra vita di preghiera piuttosto fiacca, che è probabilmente meno tenace e incessante. E questo potrebbe mettere allo scoperto il motivo per una tale vita di preghiera, cioè che semplicemente non ci aspettiamo tanto da Dio, come se egli fosse questo giudice dal cuore impietrito che non ha né una coscienza né conosce pietà per la gente che urla aiuto. Le parole di Gesù potrebbero mettere a nudo tutta la profondità della nostra miseria, la profondità del nostro scetticismo.

 

Ma il nostro scetticismo è veramente fondato? Sarebbe fondato se la vedova fosse scettica. Lei è quella che davanti a questo giudice dal cuore duro come donna sola, senza diritti avrebbe tutti i motivi per non credere di trovare ascolto. La sua situazione è talmente disperata, è la situazione più sfavorevole che ci possiamo immaginare. Eppure arriva al suo obiettivo, trova ascolto, trova la sua giustizia. Questo per noi deve significare: quanto più ci dobbiamo aspettare in quanto comunità di Gesù di trovare la nostra giustizia presso Dio. Gesù dice: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti?»

 

È impossibile per noi stare davanti a Dio nello scetticismo, nella miscredenza, come se lui fosse questo giudice, che non si occupa di niente. Dio è assolutamente diverso da questo giudice! Nell’Antico Testamento Dio è l’origine e il garante di qualsiasi diritto. Dovrebbe tradire se stesso se un oppresso urlasse aiuto e lui non volesse sentire. E il padre di Gesù Cristo, come Dio diventa riconoscibile nel Nuovo Testamento, si prende cura dei suoi che sono andati perduti, di coloro cioè per i quali non c’è più da sperare niente. Dio e il giudice sono diversi che più non si può! Perché allora il nostro scetticismo?

 

E dunque sulla nostra situazione davanti a Dio: noi non siamo davanti a lui come la vedova impotente davanti al giudice. Gesù dice: “Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti…?” Gesù chiama noi, i suoi discepoli, la sua comunità, gli “eletti” di Dio. Dio ci ha già rivolto tutto il suo amore.

 

Non abbiamo forse tutti i motivi per trovare ascolto presso Dio, più motivo della vedova davanti al giudice? Le nostre prospettive presso Dio sono sostanzialmente più grandi. Gesù ci esorta: pregate nell’aspettativa di venir ascoltati! Pregate con caparbietà, instancabilmente, con impeto! Non stancatevi! Ne avete ogni motivo!

 

II

Ora però gettiamo a questo punto ancora un’occhiata ai contenuti delle nostre preghiere. Sono convinto di questo: Gesù vuol dire che possiamo pregare Dio di qualsiasi cosa, quindi per esempio: per favore guarisci il mio vicino malato! Fammi superare il prossimo esame! Non mi far finire in ristrettezze economiche!

 

Qui però, in questa parabola, mi sembra che a Gesù stia a cuore un particolare contenuto della preghiera. Gesù dice: “Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui?”. Il contenuto particolare della preghiera è che la comunità di Gesù, gli eletti, chieda a gran voce a Dio: rendici giustizia! Questo vuol dire: siamo in una situazione opprimente! Adesso abbiamo assolutamente bisogno di te! Tutto quello che abbiamo sentito sulla vedova, la sua situazione oppressa, si riflette qui sulla situazione della comunità, cosicché deve urlare a Dio “rendici giustizia!” A quale situazione della comunità si sta pensando qui?

 

Gesù intende qui secondo me la sua comunità, che soffre della persecuzione sulla Terra perché fa professione di fede a lui, il Signore Gesù Cristo. Esempi in proposito nel Nuovo Testamento ce ne sono più che a sufficienza. La giovane cristianità ha praticamente tutti contro: farisei, sadducei e zeloti, il sinedrio e i rabbini, i rappresentanti delle religioni pagane, infine l’impero romano con il suo culto dell’imperatore e il suo sacrificio a cui spinge i cristiani.

 

In questa situazione la comunità urla quindi a Dio: rendici giustizia! Fatti carico della nostra situazione oppressa! È ben la TUA PROPRIA COMUNITÀ che hai eletto tu stesso che qui soffre ed è oppressa. La comunità urla quindi: imponi tu, Dio, LA TUA causa, LA TUA opera, IL TUO diritto in questo mondo. La comunità potrebbe pregare la stessa cosa anche con le parole del Padrenostro: “Venga il tuo regno! Sia fatta la tua volontà, come in cielo così (finalmente anche!) in terra!

 

Chiediamo infine: se Dio esaudirà questa supplica, come, in che modo Dio renderà giustizia? La risposta ce la dà l’ultimo versetto della parabola. Gesù dice qui su se stesso: “Ma quando il Figlio dell’uomo (Gesù intende quindi con ciò se stesso) verrà, troverà la fede sulla terra?” Dio renderà giustizia alla comunità attraverso suo figlio Gesù Cristo. Noi cristiani aspettiamo lui come il giudice di questo mondo, come colui che imporrà il diritto di Dio in questo mondo. Così diciamo nel Credo: “Siede alla destra di Dio, Padre onnipotente. Da là verrà a giudicare i vivi e i morti”.

 

Ma ci aspettiamo davvero che arrivi? Gesù ci pone questa domanda: “Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?”. La vedo come una domanda di Gesù a noi, la sua comunità, come sfida verso di noi. Troverà ancora questa fede da noi? Ci aspettiamo davvero ancora la sua venuta? Lottiamo per questo senza sosta affinché egli ci mandi finalmente questo giudice, affinché Gesù finalmente faccia giustizia in questo mondo? Preghiamo ancora con le ultimissime frasi della Bibbia “Amen! Vieni, Signore Gesù!”?

 

Dopo tutto quello che abbiamo sentito e imparato da Gesù oggi, che cosa c’è di più logico che esigere il nostro diritto come comunità di Gesù presso Dio – in modo costante, con la vedova e la sua tenacia come esempio davanti agli occhi – e in continuazione, cocciuti, senza sosta diciamo a gran voce: “Amen! Vieni, Signore Gesù!

 

“E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

epd-Bild Rietschel
epd-Bild Rietschel

Predigttext


I

Liebe Gemeinde, liebe Brüder und Schwestern!

Wie ist es um dein Gebetsleben bestellt? 

Wie oft betest du? Betest du regelmäßig? Betest du ab und zu? Betest du gar nicht? 

Und wenn du betest, warum betest du? Betest du, weil das Gebet gerade über dich kommt? Betest du, weil eine Not immer größer und dringlicher wird? Oder betest du, weil du überzeugt bist, dass Gott auf dein Gebet wartet, weil er es erhören möchte?

 

Für Jesus ist die Frage klar: Wir Christen sollen regelmäßig, ausdauernd und erwartungsvoll beten. So lehrt es Jesus seine Jünger am Beispiel einer Witwe. Ich verlese uns den Predigttext für den heutigen Sonntag aus dem 18. Kapitel des Lukasevangeliums:

1 Jesus sagte seinen Jüngern ein Gleichnis davon, dass man allezeit beten und nicht nachlassen sollte, 2 und sprach: Es war ein Richter in einer Stadt, der fürchtete sich nicht vor Gott und scheute sich vor keinem Menschen. 3 Es war aber eine Witwe in derselben Stadt, die kam immer wieder zu ihm und sprach: Schaffe mir Recht gegen meinen Widersacher! 4 Und er wollte lange nicht. Danach aber dachte er bei sich selbst: Wenn ich mich schon vor Gott nicht fürchte noch vor keinem Menschen scheue, 5 will ich doch dieser Witwe, weil sie mir so viel Mühe macht, Recht schaffen, damit sie nicht zuletzt komme und mir ins Gesicht schlage. 6 Da sprach der Herr: Hört, was der ungerechte Richter sagt! 7 Sollte aber Gott nicht Recht schaffen seinen Auserwählten, die zu ihm Tag und Nacht rufen, und sollte er bei ihnen lange warten? 8 Ich sage euch: Er wird ihnen Recht schaffen in Kürze. Doch wenn der Menschensohn kommen wird, wird er dann Glauben finden auf Erden?

Diese Witwe! Beeindruckend, wie sie um ihr Recht kämpft! Wir müssen wissen: Witwen sind in biblischen Zeiten rechtlich äußerst schwach gestellte Personen. Wer macht sich schon für eine Witwe stark? Von einer solchen Witwe erzählt uns Jesus, wie ihr von einem Widersacher das Leben schwer gemacht wird. Jesus lässt nichts weiter verlauten über die näheren Umstände, wie ihr das Leben schwer gemacht wird. Aber wir müssen uns die Witwe völlig hilflos vorstellen. In ihrer Not sucht sie Rechtsbeistand bei einem Richter. Dieser aber ist ein fieser Kerl. Er hat weder ein Gewissen vor Gott, noch kümmern ihn die Menschen und ihr Schicksal. Er kennt nur sich selbst und seinen eigenen Vorteil. Das sind die denkbar schlechtesten Voraussetzungen für die Witwe, mit ihrer Sache Gehör zu finden! Und tatsächlich lässt sie der Richter immer wieder abblitzen. Aber sie hat etwas Besonderes an sich, einen Trumpf, den sie jetzt ausspielt: ihre Hartnäckigkeit. Sie tritt immer wieder neu vor diesen Richter und fordert von ihm ihr Recht ein. Immer wieder, Tag für Tag, ohne nachzulassen, ohne müde zu werden. Schließlich wird es dem hartherzigen Richter zu viel. Die Frau wird ihm lästig. Er fürchtet gar einen tätlichen Angriff: „damit sie nicht zuletzt komme und mir ins Gesicht schlage (Vers 5)“. Nur um sie loszuwerden, nimmt er sich endlich ihrer Sache an und verschafft ihr Recht. 

 

Jesus erzählt dieses Gleichnis, um uns zu sagen: So wie diese Witwe vor dem Richter um ihr Recht kämpft, so, auf diese Weise sollt ihr Christen bei Gott um die Erhörung eurer Anliegen kämpfen! Ihr sollt beharrlich beten, hartnäckig, ohne nachzulassen, beherzt! Ihr sollt euch eurer Sache sicher sein, dass Gott sie erhören wird!

 

Seien wir ehrlich: Betet jemand von uns so? Ringen wir auf solche unablässige Weise vor Gott im Gebet? Ich habe eher das Gefühl: Was Jesus uns hier sagt, könnte uns tief beschämen. Es könnte unser laues Gebetsleben aufdecken, das womöglich wenig hartnäckig und unablässig ist. Und es könnte den Grund für ein solches Gebetsleben aufdecken, nämlich dass wir von Gott einfach nicht viel erwarten, so als wäre er wie dieser hartherzige Richter, der weder ein Gewissen hat, noch Barmherzigkeit für Menschen kennt, die um Hilfe schreien. Jesu Worte könnten die ganze Tiefe unserer Not, die Tiefe unseres Unglaubens aufdecken.

 

Aber ist unser Unglaube tatsächlich begründet? Begründet wäre es, wenn die Witwe Unglauben hätte. Sie ist es, die bei diesem hartherzigen Richter, als einsame, rechtlose Frau, allen Grund hätte, nicht zu glauben, dass sie Gehör findet. Ihre Lage ist so etwas von aussichtslos, die ungünstigste Lage, die wir uns vorstellen können. Und trotzdem kommt sie an ihr Ziel, findet sie Gehör, findet sie ihr Recht. Das muss doch für uns heißen: Wieviel mehr dürfen wir als Gemeinde Jesu erwarten, dass wir bei Gott unser Recht finden. Jesus sagt: „Hört, was der ungerechte Richter sagt! Sollte Gott nicht auch Recht schaffen seinen Auserwählten, die zu ihm Tag und Nacht rufen, und sollte er bei ihnen lange warten? Ich sage euch: Er wird ihnen Recht schaffen in Kürze. (Verse 6-7)“

 Wir können doch unmöglich im Unglauben vor Gott stehen, als wäre er dieser Richter, der sich um nichts kümmert. Gott ist doch ganz anders als dieser Richter! Im Alten Testament ist Gott der Ursprung und der Bürge allen Rechts. Er müsste sich ja selbst aufgeben, wenn ein Bedrängter um Hilfe schreite und er nicht hören wollte. Und der Vater Jesu Christi, wie Gott im Neuen Testament erkennbar wird, nimmt sich seiner Verlorenen an, derer also, für die sonst nichts zu hoffen ist. Gott und der Richter sind so verschieden wie nur möglich! Warum dann unser Unglaube?

 

Und dann zu unserer Lage vor Gott: Wir sind vor ihm doch nicht wie die hilflose Witwe vor dem Richter. Jesus sagt: „Sollte Gott nicht auch Recht schaffen seinen Auserwählten…?“ Jesus nennt uns, seine Jünger, seine Gemeinde, Gottes „Auserwählte“. Gott hat uns bereits seine ganze Liebe zugewandt.

 

Haben wir nicht allen Grund, bei Gott Gehör zu finden, viel mehr Grund als die Witwe vor dem Richter? Unsere Aussichten bei Gott sind doch so wesentlich größer. Jesus ruft uns auf: Betet in Erwartung eurer Erhörung! Betet hartnäckig, unermüdlich, beherzt! Werdet nicht müde! Ihr habt doch allen Grund dazu!

II

Nun lasst uns an dieser Stelle aber noch einen Blick auf die Inhalte unserer Gebete werfen. Ich bin überzeugt: Jesus meint, dass wir Gott um alles bitten dürfen, also etwa darum: Bitte heile meinen kranken Nachbarn! Lass mich die kommende Prüfung bestehen! Lass mich finanziell nicht in Nöte geraten! 

 

Hier aber, in diesem Gleichnis, scheint es mir Jesus um einen besonderen Gebetsinhalt zu gehen. Jesus sagt: „Sollte Gott nicht auch Recht schaffen seinen Auserwählten, die zu ihm Tag und Nacht rufen?“ Der besondere Gebetsinhalt ist, dass die Gemeinde Jesu, die Auserwählten, zu Gott rufen: Schaffe uns Recht! Das heißt: Wir sind in einer bedrängten Lage! Wir brauchen dich jetzt unbedingt! Alles, was wir über die Witwe gehört haben, ihre bedrängte Lage, spiegelt sich hier wider in der Lage der Gemeinde, so dass sie zu Gott rufen muss: Schaffe uns Recht! An welche Lage der Gemeinde ist hier gedacht?

 

Jesus meint hier nach meiner Überzeugung seine Gemeinde, die auf der Erde Verfolgung erleidet, weil sie sich zu ihm, dem Herrn Jesus Christus, bekennt. Beispiele dafür gibt es im Neuen Testament mehr als genug. Die junge Christenheit hat nahezu alle gegen sich: Pharisäer, Sadduzäer und Zeloten, den Hohen Rat und die Rabbiner, die Vertreter heidnischer Religionen, schließlich das Imperium Romanum mit seinem Kaiserkult und dessen Opfer, zu dem es die Christen herausfordert. 

 

In dieser Lage schreit also die Gemeinde zu Gott: Schaffe uns Recht! Nimm dich unserer bedrängten Lage an! Es ist ja DEINE EIGENE GEMEINDE, die du selbst erwählt hast, die hier leidet und bedrängt ist. Die Gemeinde ruft also zugleich: Setze du, Gott, DEINE Sache, DEIN Werk, DEIN Recht durch in dieser Welt. Die Gemeinde könnte dasselbe auch mit den Worten des Vaterunsers beten: „Dein Reich komme! Dein Wille geschehe, wie im Himmel so (endlich auch!) auf Erden!

 

Fragen wir zuletzt: Wenn Gott diese Bitte erhören wird, wie, auf welche Weise wird Gott dann Recht schaffen? Die Antwort darauf gibt uns der letzte Vers des Gleichnisses. Jesus sagt hier über sich selbst: „Doch wenn der Menschensohn kommen wird (Jesus meint sich also damit selbst), wird er dann Glauben finden auf Erden? (Vers 8)“ Gott wird der Gemeinde Recht schaffen durch seinen Sohn Jesus Christus. Ihn erwarten wir Christen als den Richter dieser Welt, als denjenigen, der Gottes Recht in dieser Welt durchsetzen wird. So sprechen wir es im Glaubensbekenntnis: „Er sitzt zur Rechten Gottes, des allmächtigen Vaters. Von dort wird er kommen, zu richten die Lebenden und die Toten.“ 

 

Aber erwarten wir ihn tatsächlich? Jesus stellt uns diese Frage: „Wenn der Menschensohn kommen wird, wird er dann Glauben finden auf Erden? (Vers 8)“ Ich verstehe das als Anfrage Jesu an uns, seine Gemeinde, als Herausforderung an uns. Wird er bei uns noch diesen Glauben finden? Erwarten wir tatsächlich noch sein Kommen? Ringen wir deswegen unablässig vor Gott darum, dass er uns endlich diesen Richter Jesus schicke, dass Jesus endlich Gottes Recht in dieser Welt aufrichte? Beten wir noch mit den allerletzten Sätzen der Bibel: „Amen, ja, komm, Herr Jesus! (Offenbarung 22,20)“?

 

Nach allem, was wir heute von Jesus gehört und gelernt haben: Was liegt näher, als dass wir als Gemeinde Jesu bei Gott unser Recht einfordern! Haben wir die Witwe und ihre Hartnäckigkeit als Beispiel vor Augen und rufen immer wieder, hartnäckig, ohne Unterlass: „Amen, ja, komm, Herr Jesus!

„Und der Friede Gottes, der höher ist als alle Vernunft, der bewahre eure Herzen und Sinne in Christus Jesus.“

Pfarrer Tobias Brendel   

epd-Bild Jens Schulze
epd-Bild Jens Schulze