18.06.2022 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Sabato, 18 giugno 2022

ore 15:00

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino


1ª domenica dopo Trinitatis Culto con Santa Centa con saluto del Pastore Heiner Bludau e sua moglie Annette Hagels-Bludau

Luca 16,19-31

Foto: Sarah Simonetti
Foto: Sarah Simonetti

Wo und Wann?


Samstag, 18. Juni 2022

15:00 Uhr

Kirche San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino 


1. Sonntag nach Trinitatis Gottesdienst mit Abendmahl, Verabschiedung von Pfarrer Heiner Bludau und seiner Frau Annette Hagels-Bludau

Lukas 16,19-31



Testo della Predica


«C'era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso, e ogni giorno si divertiva splendidamente; e c'era un mendicante, chiamato Lazzaro, che stava alla porta di lui, pieno di ulceri, e bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccargli le ulceri. Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abraamo; morì anche il ricco, e fu sepolto. 

E nell'Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo, e Lazzaro nel suo seno; ed esclamò: "Padre Abraamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell'acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma". Ma Abraamo disse: "Figlio, ricòrdati che tu nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato. Oltre a tutto questo, fra noi e voi è posta una grande voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a voi non possano, né di là si passi da noi". 

Ed egli disse: "Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento". Abraamo disse: "Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli". Ed egli: "No, padre Abraamo; ma se qualcuno dai morti va a loro, si ravvedranno". Abraamo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita"».

Cara comunità, cari ospiti!

Questo culto è dedicato al commiato. La mia funzione ufficiale di pastore nella Comunità evangelica luterana di Torino termina alla fine di questo mese e lo stesso anche per Annette nella sua funzione di predicatrice. Abbiamo programmato il trasloco solo per settembre, ma il servizio finisce adesso.

Non voglio parlare in questa occasione nella predica dei 12 anni trascorsi. Ognuna e ognuno di noi qui ne ha un’impressione personale, ha determinati ricordi e ha magari anche dimenticato certi avvenimenti. Alcune cose le abbiamo organizzate insieme, altre in parallelo (soprattutto nel mio periodo da Decano), ma niente – per come lo recepisco io – l’abbiamo fatto l’uno contro l’altro. Per me è stato un periodo particolarmente prezioso nel corso della mia vita. E vi sono molto grato per avermelo reso possibile e per la buona collaborazione, anche al di là dei confini della comunità luterana.

Il commiato porta ora in una nuova fase di vita. Questo vale sia per Annette e me, che abbiamo l’intenzione di tornare in Germania a settembre, sia per la comunità. Il 1° settembre inizia il servizio del mio successore il pastore Tobias Brendel che è stato eletto dall’Assemblea della comunità la Domenica delle Palme. Con lui la vita della comunità qui a Torino, nel resto del Piemonte e nella Valle D’Aosta continua e riceverà un’altra sfumatura, così come anche la mia vita in pensione in Germania riceverà un’altra sfumatura: né migliore né peggiore, soltanto diversa.

Questo cambiamento non significa che ora tutte le relazioni e i contatti tra di noi devono finire. Mi congedo come pastore, Annette come predicatrice. Dei legami personali saranno possibili anche in futuro. Ma non in relazione alla funzione che avevamo finora. Per me è tanto importante restare in contatto personale con alcune persone quanto è importante non relativizzare in nessun modo come vecchio pastore il libero sviluppo della vita in comune della comunità con il nuovo pastore Tobias Brendel.

Soprattutto però – e qui arrivo al tema vero e proprio di questa predica – il commiato di oggi non significa in nessun modo un commiato da ciò che ci unisce: la fede cristiana. In qualsiasi modo essa evolverà qui da voi a Torino e da noi in Germania, rimaniamo uniti in essa.

Il passo della Bibbia che il nostro libro delle pericopi prescrive per la domenica di domani come base per la predica è una vera sfida in questo senso. Si tratta del vangelo che abbiamo sentito prima, della storia “dell’uomo ricco e del povero Lazzaro”. La parola “vangelo” significa “buona notizia”, “consolazione”, “incoraggiamento”. La storia di oggi però fa più l’effetto di una  pretesa.

Ma forse è una buona cosa che veniamo confrontati con questo proprio oggi. Guardiamo in avanti, alla strada che si trova davanti a noi. Come dobbiamo camminare su questa strada?

Non so come abbiate recepito la storia dell’uomo ricco e del povero Lazzaro. Io ad ogni modo leggendo la storia non riesco a fare a meno di identificarmi con l’uomo ricco. È vero che posso guardare alla mia vita e affermare che non vivo “ogni giorno divertendomi splendidamente” e non sono nemmeno vestito “di porpora e di bisso” come un re, eppure non mi tolgo l’impressione di vivere piuttosto in un palazzo che di stare per terra davanti alla porta. I presupposti per delineare la mia vita erano e sono ricchi. Il povero Lazzaro però giace davanti alla porta, non soltanto qui a Torino, in tanti luoghi, abbattuto con le ulcere della guerra, la violenza e un ordine economico mondiale ingiusto. Trafficanti senza scrupoli di esseri umani gli si buttano sopra come i cani nella parabola per approfittare di queste ulcere. L’aiuto dell’uomo ricco è tutt’altro che sufficiente.

La seconda parte della storia suona piuttosto come un mito. Lazzaro nel seno di Abramo, separato da una grande voragine dall’inferno nel quale si trova l’uomo ricco. Questo stare affianco di cielo e inferno per noi oggi forse non è comprensibile facilmente, ma anche senza pensare all’aldilà continuo a chiedermi: dove porterà lo stile di vita al quale prendo parte? Già a lezione a scuola 50 anni fa ho sentito dire che la divisione del mondo in Paesi ricchi e poveri avrebbe portato a flussi di profughi ed è proprio quello che viviamo oggi. E anche il Club of Rome già circa 50 anni fa ha fatto notare la necessità di un impiego sostenibile delle risorse dell’ambiente e si è reagito troppo poco a questo. Nel frattempo viviamo però in un riscaldamento climatico che aumenta continuamente.

Di sicuro è un’interpretazione piuttosto secolarizzata. Anche se viene presa molto sul serio, nessun individuo può arrestare il flusso mondiale di profughi e porre fine al riscaldamento climatico cambiando il proprio stile di vita.

Di che cosa si tratta quindi più precisamente nella storia dell’uomo ricco e del povero Lazzaro? Si tratta della volontà di Dio. Dio si aspetta da noi uomini un’attenzione vigile verso il prossimo e un comportamento – amorevole, misericordioso – di conseguenza. Questo vale verso tutti gli esseri umani, senza limitazioni.

L’ingiustizia sociale nella quale viviamo noi esseri umani, non corrisponde alla volontà di Dio, non è parte dell’ordine della sua creazione voluto da Dio. Questo valeva già 2000 anni fa e vale anche per lo stato della nostra terra oggi. La divisione del mondo in Paesi ricchi e Paesi poveri non è un ordine di Dio e per quanto impotenti stiamo di fronte a questa suddivisione, non ce la possiamo semplicemente far piacere. Non è giusta, Dio invece vuole la giustizia.

Come ci dovremmo quindi comportare nei suoi confronti? Un’osservazione utile della storia in relazione alla domanda consiste nel fatto che il ricco venga descritto come ricco e il povero come povero e che nel farlo non vengano espressi giudizi morali di alcun tipo. Lazzaro non viene descritto come uomo buono e il ricco come uomo cattivo. Credo sia importante che questo sia chiaro. Può essere senz’altro che il ricco sia un uomo pio, che va regolarmente alla sinagoga e che forse doni in continuazione dei soldi. Nella storia si tratta solo del fatto che egli non prende atto di Lazzaro davanti alla sua porta. Non è nemmeno detto che Lazzaro non riceva ciò che “brama”, cioè quello che cade dalla tavola del ricco. Ma evidentemente questo non basta. D’altra parte non c’è nessuna affermazione su Lazzaro che lo caratterizzi come sincero e retto. Se sia sempre gentile e amichevole resta da vedere. Per noi ciò significa che possiamo incontrare Lazzaro anche in forma diversa, non solo come supplicante con umiltà. Lazzaro non è soltanto il profugo distante da noi, ma anche colui che incontriamo davanti alla nostra porta di casa e nel quale c’è sempre un motivo per disapprovarne il comportamento.

La storia dell’uomo ricco e del povero Lazzaro finisce per l’uomo ricco all’inferno. Non è una fine incoraggiante. E una descrizione precisa per una fine positiva non è contenuta nella storia. Certo, ci dobbiamo orientare verso Mosè, i profeti e il Cristo risorto, che sottolinea il messaggio dell’Antico Testamento. Ma che cosa significa ciò concretamente per l’atteggiamento verso i problemi mondiali, di fronte ai quali ci troviamo e per le situazioni individuali nelle quali ci troviamo?

La risposta a questa domanda nell’epistola di oggi è più facile da recepire che nel vangelo: “Dio è amore” viene detto lì “e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”. E ancora “Nell’amore non c’è paura; anzi, l’amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi chi ha paura non è perfetto nell’amore”. E infine “Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello”, e naturalmente sua sorella.

Questa è la prospettiva che ci porta – anche se siamo ricchi – dalla paura del tormento dell’inferno alla speranza nel benessere nel seno di Abramo. Ed è l’unica prospettiva nella quale possiamo aiutare il povero Lazzaro e tutti quelli che associamo a lui. Gesù Cristo ci ha rivelato l’amore di Dio e nella fede in lui veniamo liberati dalla paura. Sì, certo, l’amore che riceviamo da lui lo dobbiamo trasmettere ad altri. Ma nel legame con Cristo non abbiamo bisogno di farlo per paura di conseguenze infernali, abbiamo invece la libertà di rivolgerci al nostro prossimo assolutamente senza un proprio bisogno personale.

Con questo messaggio che non è il mio, bensì che io avevo e ho da annunciare, mi vorrei congedare da voi come pastore. Ci auguro che noi tutti rimaniamo legati a questo messaggio. Dio è l’amore e noi prendiamo parte a questo amore nella fede in Gesù Cristo e da lui veniamo resi in grado di trasmetterlo. Non grazie alle nostre proprie forze ci possiamo comportare in modo giusto nei confronti del povero Lazzaro, ma soltanto grazie alla forza dell’amore di Dio. Nella Santa Cena possiamo vedere e gustare in Cristo l’amore di Dio. E così vi invito tutti alla Santa Cena per il commiato.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Grafica - Graphik: Mester
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Grafica - Graphik: Kostka
Grafica - Graphik: Kostka

Dio ti benedica!

Dio ti dia qualcosa della sua forza creativa, dell'amore di Suo Figlio, qualcosa della consolazione del Suo Spirito! E tu condividi qualcosa di tutto ciò con gli altri! 


Predigttext


Es war ein reicher Mann, der kleidete sich in Purpur und kostbares Leinen und lebte alle Tage herrlich und in Freuden. Ein Armer aber mit Namen Lazarus lag vor seiner Tür, der war voll von Geschwüren und begehrte sich zu sättigen von dem, was von des Reichen Tisch fiel, doch kamen die Hunde und leckten an seinen Geschwüren. Es begab sich aber, dass der Arme starb, und er wurde von den Engeln getragen in Abrahams Schoß. Der Reiche aber starb auch und wurde begraben.

Als er nun in der Hölle war, hob er seine Augen auf in seiner Qual und sah Abraham von ferne und Lazarus in seinem Schoß. Und er rief und sprach: Vater Abraham, erbarme dich meiner und sende Lazarus, damit er die Spitze seines Fingers ins Wasser tauche und kühle meine Zunge; denn ich leide Pein in dieser Flamme. Abraham aber sprach: Gedenke, Kind, dass du dein Gutes empfangen hast in deinem Leben, Lazarus dagegen hat Böses empfangen; nun wird er hier getröstet, du aber leidest Pein. Und in all dem besteht zwischen uns und euch eine große Kluft, dass niemand, der von hier zu euch hinüberwill, dorthin kommen kann und auch niemand von dort zu uns herüber. 

Da sprach er: So bitte ich dich, Vater, dass du ihn sendest in meines Vaters Haus; denn ich habe noch fünf Brüder, die soll er warnen, damit sie nicht auch kommen an diesen Ort der Qual. Abraham aber sprach: Sie haben Mose und die Propheten; die sollen sie hören. Er aber sprach: Nein, Vater Abraham, sondern wenn einer von den Toten zu ihnen ginge, so würden sie Buße tun. Er sprach zu ihm: Hören sie Mose und die Propheten nicht, so werden sie sich auch nicht überzeugen lassen, wenn jemand von den Toten auferstünde.

Liebe Gemeinde, liebe Gäste!

Dieser Gottesdienst heute ist dem Abschied gewidmet. Meine offizielle Funktion als Pfarrer in der evangelisch-lutherischen Gemeinde Turin endet am Ende dieses Monats und das betrifft auch Annette in ihrer Funktion als Prädikantin. Wir haben erst für September den Umzug geplant, aber der Dienst endet jetzt. 

Ich will bei dieser Gelegenheit in der Predigt nicht über den Ablauf der vergangenen 12 Jahre reden. Jede und jeder von uns hier hat einen persönlichen Eindruck davon, hat bestimmte Erinnerungen und hat manche Ereignisse vergessen. Manches haben wir miteinander gestaltet, anderes nebeneinander (vor allem in meiner Zeit als Dekan), nichts aber – nach meiner Wahrnehmung – gegeneinander. Für mich war es ein besonders wertvoller Abschnitt im Ablauf meines Lebens. Und ich bin Euch sehr dankbar, dass Ihr mir dies ermöglicht habt und für die gute Zusammenarbeit, auch über die Grenzen der lutherischen Gemeinde hinaus.

Der Abschied führt nun in eine neue Lebensphase. Das gilt sowohl für Annette und mich, die wir planen, im September nach Deutschland zurückzukehren, als auch für die Gemeinde. Am 1. September beginnt der Dienst meines Nachfolgers Pfarrer Tobias Brendel, der am Palmsonntag von der Gemeindeversammlung gewählt wurde. Mit ihm geht das Leben der Gemeinde hier in Turin, im Piemont, im Aostatal weiter und wird eine andere Färbung bekommen, so wie auch mein Leben im Ruhestand in Deutschland eine andere Färbung bekommen wird: nicht besser oder schlechter, sondern einfach nur anders.

Diese Veränderung bedeutet nicht, dass nun alle Beziehungen und Kontakte zwischen uns enden müssen. Ich verabschiede mich als Pfarrer, Annette als Prädikantin. Persönliche Verbindungen werden auch in Zukunft möglich sein. Aber nicht in Bezug auf die Funktion, die wir bisher hatten. So wichtig es mir ist, mit manchen Personen in persönlichem Kontakt zu bleiben, so wichtig ist es mir ebenfalls, die freie Entwicklung des Zusammenlebens der Gemeinde mit dem neuen Pfarrer Tobias Brendel in keiner Weise als ehemaliger Pfarrer zu relativieren.

Vor allem aber – und damit komme ich zum eigentlichen Thema dieser Predigt – bedeutet der heutige Abschied in keiner Weise Abschied von dem, was uns miteinander verbindet: dem christlichen Glauben. Wie auch immer er sich bei Euch hier in Turin und bei uns in Deutschland weiterentwickeln wird, wir bleiben in ihm miteinander verbunden. 

Der Bibelabschnitt, den unser Perikopenbuch für den morgigen Sonntag als Grundlage für die Predigt vorschreibt, ist eine echte Herausforderung in diesem Sinn. Es handelt sich um das Evangelium, das wir vorhin gehört haben, die Geschichte „vom reichen Mann und armen Lazarus“. Das Wort „Evangelium“ bedeutet „gute Nachricht“, „Zuspruch“. Die heutige Geschichte wirkt aber mehr wie eine Forderung.

Aber vielleicht ist es gut, dass wir gerade heute damit konfrontiert werden. Wir sehen nach vorne, auf den Weg, der vor uns liegt. Wie sollen wir gehen auf diesem Weg?

Ich weiß nicht, wie Ihr die Geschichte vom reichen Mann und armen Lazarus gehört habt. Ich jedenfalls komme nicht darum herum, mich beim Lesen der Geschichte mit dem reichen Mann zu identifizieren. Zwar kann ich auf  mein Leben schauen und feststellen: „alle Tage herrlich und in Freuden“ lebe ich nicht und wie ein König „in Purpur und kostbarem Leinen“ bin ich auch nicht gekleidet. Ich werde trotzdem den Eindruck nicht los, eher in einem Palast zu leben als vor der Tür zu liegen. Die Voraussetzungen für die Gestaltung meines Lebens waren und sind reich. Der arme Lazarus aber liegt vor der Tür, nicht nur hier in Turin, sondern ist an vielen Orten geschlagen mit den Geschwüren von Krieg, Gewalt und einer ungerechten Weltwirtschaftsordung. Skrupellose Menschenhändler fallen über ihn her, wie die Hunde in dem Gleichnis, um von diesen Geschwüren zu profitieren. Die Hilfe des reichen Mannes ist alles andere als ausreichend.

Der zweite Teil der Geschichte klingt eher wie ein Mythos. Lazarus im Schoß von Abraham, getrennt durch eine große Kluft von der Hölle, in der sich der reiche Mann befindet. Dieses Nebeneinander von Himmel und Hölle ist für uns heute vielleicht nicht ohne weiteres nachvollziehbar. Aber auch ohne ans Jenseits zu denken frage ich mich immer wieder: Wohin wird der Lebensstil, an dem ich Anteil habe, führen? Schon im Schulunterricht vor 50 Jahren habe ich gehört, dass die Aufteilung der Welt in reiche Länder und arme Länder zu Flüchtlingsströmen führen wird und genau das erleben wir heute. Und der Club of Rome hat ebenfalls bereits vor ungefähr 50 Jahren auf die Notwendigkeit von einem nachhaltigen Umgang mit den Ressourcen und der Umwelt hingewiesen und es wurde viel zu wenig darauf reagiert. Inzwischen aber leben wir in einer sich kontinuierlich erhöhenden Klimaerwärmung.

Sicherlich ist dies eher eine säkularisierende Interpretation. Auch wenn sie sehr ernst genommen wird, kann kein Individuum durch die Änderung seines Lebensstils den weltweiten Flüchtlingsstrom aufhalten und die Klimaerwärmung beenden. 

Worum geht es also genauer in der Geschichte vom reichen Mann und armen Lazarus? Es geht um den Willen Gottes. Gott erwartet von uns Menschen wache Aufmerksamkeit gegenüber den Mitmenschen und ein entsprechendes – liebevolles, barmherziges – Verhalten. Dies gilt gegenüber allen Menschen, ohne Einschränkung. 

Die soziale Ungerechtigkeit, in der wir Menschen leben, entspricht nicht dem Willen Gottes, ist nicht Teil der von Gott gewollten Ordnung seiner Schöpfung. Dies galt schon vor 2000 Jahren und es gilt  auch für den Zustand unserer Erde heute. Die Aufteilung der Welt in reiche Länder und arme Länder ist keine Ordnung Gottes und wie hilflos auch immer wir dieser Aufteilung gegenüber stehen, wir dürfen uns damit nicht einfach abfinden. Sie ist nicht gerecht, Gott aber will Gerechtigkeit.

Wie also sollen wir damit umgehen? Eine hilfreiche Beobachtung der Geschichte im Blick auf diese Frage besteht darin, dass der Reiche als reich und der Arme als arm beschrieben wird und dabei keinerlei moralische Urteile gefällt werden. Lazarus wird nicht als guter Mensch dargestellt und der Reiche nicht als böser Mensch. Ich glaube, es ist wichtig, sich das klar zu machen. Es kann durchaus sein, dass der Reiche ein frommer Mann ist, der regelmäßig in die Synagoge geht und vielleicht sogar immer wieder Geld spendet. In der Geschichte geht es allein darum, dass er den Lazarus vor seiner Türe nicht wahrnimmt. Es ist nicht einmal gesagt, dass Lazarus das, was er „begehrt“, nämlich das, was vom Tisch des Reichen fällt, nicht bekommt. Aber offenbar genügt das nicht. Andererseits gibt es keine Aussage über Lazarus, die ihn als ehrlich und rechtschaffen charakterisiert. Ob er immer nett und freundlich ist, muss dahingestellt bleiben. Für uns heißt das, dass uns Lazarus auch anders begegnen kann als nur demütig bittend. Nicht nur der Flüchtling weit weg von uns ist Lazarus, sondern auch derjenige, dem wir vor der eigenen Haustüre begegnen und bei dem es immer einen Grund gibt, sein Verhalten zu missbilligen.

Die Geschichte vom reichen Mann und armen Lazarus endet für den reichen Mann in der Hölle. Das ist kein ermutigendes Ende. Und eine genaue Beschreibung für ein positives Ende ist in der Geschichte nicht enthalten. Sicher, wir sollen uns an Mose, den Propheten und dem auferstandenen Christus orientieren, der die Botschaft des Alten Testaments unterstreicht. Aber was heißt das konkret für den Umgang mit den weltweiten Problemen, vor denen wir stehen und für die individuellen Situationen, in denen wir uns befinden?

Die Antwort auf diese Frage ist in der heutigen Epistel leichter wahrzunehmen als im Evangelium. „Gott ist Liebe“ heißt es dort, „und wer in der Liebe bleibt, der bleibt in Gott und Gott in ihm.“ (1 Joh 4,16b) Und weiter: „Furcht ist nicht in der Liebe, sondern die vollkommene Liebe treibt die Furcht aus. Denn die Furcht rechnet mit Strafe; wer sich aber fürchtet, der ist nicht vollkommen in der Liebe.“ (V 18) Und schließlich: „Und dies Gebot haben wir von ihm, dass wer Gott liebt, dass der auch seinen Bruder liebe“ (V 21) – und natürlich auch seine Schwester. 

Das ist die Perspektive, die uns, auch wenn wir reich sind, von der Furcht vor der Qual der Hölle zur Hoffnung auf das Wohlbefinden im Schoß von Abraham führt. Und es ist die einzige Perspektive, in der wir dem armen Lazarus helfen können und allen, die wir mit ihm in Verbindung bringen. Jesus Christus hat uns die Liebe Gottes offenbart und im Glauben an ihn werden wir von der Furcht befreit. Ja sicher, wir sollen die Liebe, die wir von ihm empfangen, weitergeben. Aber in der Bindung an Christus brauchen wir dies nicht aus Angst vor höllischen Konsequenzen zu tun, sondern haben die Freiheit, uns unserem Nächsten ganz ohne Eigeninteresse zuzuwenden.

Mit dieser Botschaft, die nicht meine ist, sondern die ich zu verkünden hatte und habe, möchte ich mich von Euch als Pfarrer verabschieden. Ich wünsche uns, dass wir alle mit ihr verbunden bleiben. Gott ist die Liebe, und wir bekommen im Glauben an Jesus Christus Anteil an dieser Liebe und werden von ihm in die Lage versetzt, sie weiterzugeben. Nicht aus eigener Kraft können wir uns dem armen Lazarus gegenüber recht verhalten, sondern nur aus der Kraft der Liebe Gottes. Im Heiligen Abendmahl können wir die Liebe Gottes in Christus sehen und schmecken. Und so lade ich Euch alle zum Abschied dazu ein.   

Pfarrer Heiner Bludau