22.05.2022 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 22 maggio 2022

ore 11:00

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino


Culto per la domenica di Rogate

Luca 11, 1-13

Foto: epd-bild - Rothermel
Foto: epd-bild - Rothermel

Wo und Wann?


Sonntag, 22. Mai 2022

11:00 Uhr

Kirche San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino 


Gottesdienst Rogate

Lukas 11, 1-13 



Testo della Predica


Cara comunità!

Il tema della domenica odierna è molto importante. Si tratta del pregare. Se ci sta a cuore la relazione con Dio, dovremmo avere ben chiaro che cosa significa pregare. Infatti così come per la relazione tra noi umani il dialogo è una base indispensabile, la preghiera è di importanza decisiva per la relazione con Dio.

Soltanto con la preghiera entriamo in una relazione diretta verso Dio. È una cosa diversa dal riflettere su Dio. Possiamo leggere dei libri su Dio, possiamo discutere sull’esistenza di Dio. Questo può portare alla convinzione che Dio esista. Ciò non significa però necessariamente che chi crede in Dio viva anche in una personale relazione con lui. È come con altre cose: sono consapevole del fatto che nella vita ci sia la luce. Mi rallegro dello splendere del sole, ma ho per questo una relazione personale verso i raggi del sole? No, non ce l’ho.

Però per la vita è importante una relazione personale verso Dio. Per questo veniamo incoraggiati a comunicare con lui. E questo avviene per mezzo della preghiera.

Che cos’è però la preghiera? Nella maggior parte dei casi la preghiera viene interpretata come una richiesta. Questo non è sbagliato, ma può portare facilmente in un vicolo cieco. Attualmente ci sono molte occasioni per pregare Dio, per esempio: perché faccia tornare la pace in Ucraina, perché porti l’umanità a non far aumentare il riscaldamento climatico, perché faccia finire la pandemia. Se Dio è davvero onnipotente, dovrebbe essere possibile! E ognuna e ognuno ha di sicuro ancora tante altre richieste individuali per le quali lui o lei si rivolge a Dio.

E poi? Ammesso che la guerra in Ucraina non finisca così in fretta, il riscaldamento climatico continui ad aumentare e la pandemia non cessi? E nemmeno le suppliche personali vengano esaudite come ci si aspettava… allora che cosa succede?

Allora tanti tenderanno a dire: pregare non ha senso, non serve.

Ma questo non è giusto. Questa deduzione si basa sull’idea che noi nella preghiera possiamo prescrivere a Dio quello che deve fare per noi. Questo però non è il senso della preghiera. Il senso della preghiera si trova piuttosto nel fatto che ci affidiamo completamente a Dio. Sì, egli è onnipotente e misericordioso. Se ci affidiamo alla sua potenza e al suo amore, otteniamo un altro sguardo sulla realtà che ci circonda. Non ci lasciamo più dominare quindi dalle paure che ci minacciano e otteniamo una nuova prospettiva per quanto riguarda il futuro. E se noi ci lasciamo trasformare in questo modo da Dio, possiamo anche contribuire a trasformare la realtà nella quale viviamo. In questa direzione possiamo aspettarci che Dio esaudisca la nostra preghiera.

Il Vangelo di oggi descrive ciò in modo molto concreto. Lo leggo ancora una volta, stavolta in italiano:

Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore, e non ci indurre in tentazione».

Poi aggiunse: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; e se quegli dall'interno gli risponde: Non m'importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza.

Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!».

In tre passaggi qui Gesù ci insegna a pregare. Egli stesso vive la sua relazione incessante verso il Dio Padre tramite la preghiera e ci esorta a entrare anche noi in una tale relazione. In concreto cita una versione breve del Padrenostro, racconta la parabola di un amico implorante e alla fine aggiunge delle affermazioni fondamentali sulla preghiera.

 

La cosa più colorita è senz’altro la parabola che paragona il rapporto verso Dio con il rapporto tra noi umani. Nel farlo dobbiamo però tenere presente che le condizioni di vita di 2000 anni fa erano molto diverse da oggi. Un visitatore non poteva annunciarsi prima, né con un’email né con il cellulare; il suo arrivo poteva essere quindi assolutamente inaspettato. L’ospitalità però era un comportamento molto importante, in particolare se il visitatore era un amico. E così l’ospite naturalmente doveva essere rifocillato. Com’era però possibile se egli arrivava a mezzanotte inaspettato? A quel tempo non c’era un supermercato aperto anche di notte e sovente c’erano poche provviste di cibo in casa. Il pane veniva infornato ogni mattino e forse si sapeva che il vicino ogni tanto ne avanzava un po’.

In riferimento al paragone con la preghiera, un’affermazione in apparenza insignificante di colui che offre ospitalità mi sembra essere di grande importanza. Egli si rivolge al vicino raccontandogli che è appena arrivato un suo amico dicendogli: “Non ho nulla da mettergli davanti”. Gesù racconta la parabola per incoraggiare alla preghiera. Tra vicini c’era l’usanza di aiutarsi l’un l’altro, anche quando le condizioni erano estremamente problematiche perché a mezzanotte i bambini dormivano e l’aiuto avrebbe potuto portare un certo caos. Ad ogni modo “l’insistenza” del postulante ha portato al successo. In questo modo ogni postulante si può aspettare da Dio che questi gli apra le porte. È importante però presentarsi davanti a lui a mani vuote. Non ci dobbiamo rivolgere a Dio con un’idea precisa, non con concetti concreti di come le cose ora debbano andare avanti, bensì nella consapevolezza di “non avere niente” noi stessi. Ci dobbiamo affidare a lui con le mani vuote, ci dobbiamo abbandonare completamente a lui. Nel farlo possiamo essere insistenti, possiamo essere sicuri che ci verrà aperta la porta, ma non dobbiamo associare la nostra speranza ad aspettative concrete prefissate.

 

Questo viene messo in risalto e confermato ancora più chiaramente nelle affermazioni conclusive della parabola: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto”. Gesù invita a bussare, come l’amico, dal suo vicino, qualsiasi cosa manchi in quel momento. Non ci dobbiamo far scoraggiare da una porta apparentemente chiusa. Dio nella nostra coscienza sembra ogni tanto non essere disponibile. Ma non è così. È sempre disponibile. Non nei suoi confronti, ma nei confronti della nostra coscienza a volte è necessaria una certa insistenza. Ci è promesso che il nostro bussare sarà ascoltato.

Però quello che riceveremo non è necessariamente ciò che ci aspettiamo. Del vicino di casa della parabola si dice: “si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono”. Non è una quantificazione vincolante dei tre pani attesi. Ciò di cui abbiamo bisogno Dio ce lo darà. Forse è tutt’altro da quello che ci aspettiamo o speriamo. Importante però è che accettiamo quello che egli ci dà. E questo non è per forza ovvio perché è possibile che ci succedano cose che ci sembrano essere addirittura il contrario di ciò che avevamo sperato. Gesù però ci invita a non interpretarle così. Sì, nella vita possiamo essere messi a confronto con molte cose difficili o pesanti, ma anche queste cose ci possono aiutare a portare la vita al completamento, come la crocifissione di Gesù ha portato alla Resurrezione. In riferimento alla preghiera Gesù si esprime così: “Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?”. Anche se dopo la preghiera riceviamo delle cose che ci sembrano avere l’effetto di una serpe o di uno scorpione, non ci dobbiamo sentire disorientati. Dobbiamo piuttosto essere fiduciosi del fatto che Dio ci dà ciò di cui abbiamo bisogno, cioè lo Spirito Santo sotto la cui guida possiamo trattare anche con apparenti serpi e scorpioni. E che lui alla fine ci dà molto di più di quello che ci saremmo mai potuti immaginare: una vita in pienezza.

 

Affidarsi completamente a Dio, di questo si tratta nella preghiera. Questo viene riassunto al meglio nelle suppliche centrali del Padrenostro con il quale inizia il passo della Bibbia sulla preghiera.

Ci rivolgiamo fiduciosi a Dio chiamandolo Padre. Non rispettiamo però soltanto il suo amore verso di noi, bensì anche il suo potere su tutte le cose e su tutti gli avvenimenti e diciamo quindi: “Sia santificato il tuo nome”. Il suo regno è la nostra prospettiva per il futuro, ma anche per il presente. “Venga il tuo regno” diciamo quindi. E preghiamo per ciò di cui abbiamo bisogno per vivere nella quotidianità: “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”. Che voglia allontanare da noi ciò che ci separa da lui; su questa base allora cambia anche la relazione di noi umani tra di noi: “perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore”. E infine che Dio ci risparmi, che la nostra fede in lui non venga messa in situazioni di prova troppo pericolose: “non ci indurre in tentazione”.

Il Padrenostro è quindi il nucleo di tutte le preghiere. Verso di esso ci dovremmo orientare quando preghiamo. Ma non snocciolando le parole senza riflettere, bensì consapevoli del loro significato. Anche in questo ci aiuti lo Spirito Santo.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Grafica - Graphik: Reichert
Grafica - Graphik: Reichert

Predigttext


Liebe Gemeinde!

Das Thema des heutigen Sonntags ist sehr wichtig. Es geht um das Beten. Wenn uns die Beziehung zu Gott am Herzen liegt, dann sollten wir uns darüber klar sein, was beten bedeutet. Denn so wie für die Beziehung zwischen uns Menschen das Gespräch eine entscheidende Grundlage ist, so ist das Gebet für die Beziehung zu Gott von entscheidender Wichtigkeit. 

Nur durch das Gebet treten wir ein in eine direkte Beziehung zu Gott. Das ist etwas anderes, als über Gott nachzudenken. Wir können Bücher über Gott lesen, über die Existenz Gottes miteinander diskutieren. Das kann zu der Überzeugung führen, dass es Gott gibt. Aber das bedeutet noch nicht unbedingt, dass wer an Gott glaubt, auch in einer persönlichen Beziehung mit ihm lebt. Das ist wie mit anderen Dingen: Ich bin mir bewusst, dass es Licht gibt im Leben. Ich freue mich am Sonnenschein, aber habe ich deshalb eine persönliche Beziehung zu den Sonnenstrahlen? Nein, das habe ich nicht.    

Für das Leben aber ist eine persönliche Beziehung zu Gott wichtig. Deshalb werden wir aufgefordert, mit ihm zu kommunizieren. Und dies geschieht über das Gebet.

Was aber ist das Gebet? Meist wird das Gebet als Bitte an Gott verstanden. Das ist nicht falsch, aber es kann leicht in eine Sackgasse führen. Derzeit gibt es viele Anlässe, Gott zu bitten, zum Beispiel: Er möge Frieden in der Ukraine schaffen, er möge die Menschheit dazu bringen, die Klimaerwärmung nicht weiter fortzuführen, er möge die Pandemie beenden. Wenn Gott tatsächlich allmächtig ist, müsste das doch möglich sein! Und dazu hat jede und jeder sicher auch noch viele individuelle Bitten, mit denen er oder sie sich an Gott wenden.

Und dann? Angenommen, der Krieg in der Ukraine endet nicht so schnell, die Klimaerwärmung schreitet weiter fort und die Pandemie hört auch nicht auf? Und auch die persönlichen Bitten werden nicht in der Weise erhört, wie erwartet … was dann?

Dann werden viele Menschen dazu neigen, zu sagen: Das Beten hat keinen Sinn, es hilft nicht weiter. 

Aber das ist nicht richtig. Diese Konsequenz basiert auf der Vorstellung, dass wir Gott im Gebet vorschreiben könnten, was er für uns zu tun hat. Das ist jedoch nicht der Sinn des Gebets. Der Sinn des Gebets liegt vielmehr darin, dass wir uns vollständig Gott anvertrauen. Ja, er ist allmächtig und barmherzig. Wenn wir uns seiner Macht und seiner Liebe anvertrauen, gewinnen wir einen anderen Blick auf die Realität, die uns umgibt. Wir lassen uns dann nicht mehr von den Ängsten bestimmen, die uns bedrohen, und bekommen eine neue Perspektive in Bezug auf die Zukunft. Und wenn wir uns auf diese Weise von Gott verändern lassen, dann können wir auch etwas dazu beitragen, die Realität, in der wir leben, zu verändern. In dieser Richtung können wir von Gott erwarten, dass er unser Gebet erhört. 

Das heutige Evangelium beschreibt dies sehr konkret. Ich lese es noch einmal:

Und es begab sich, dass er an einem Ort war und betete. Als er aufgehört hatte, sprach einer seiner Jünger zu ihm: Herr, lehre uns beten, wie auch Johannes seine Jünger lehrte.  Er aber sprach zu ihnen: Wenn ihr betet, so sprecht: Vater! Dein Name werde geheiligt. Dein Reich komme. Gib uns unser täglich Brot Tag für Tag und vergib uns unsre Sünden; denn auch wir vergeben jedem, der an uns schuldig wird. Und führe uns nicht in Versuchung.

Und er sprach zu ihnen: Wer unter euch hat einen Freund und ginge zu ihm um Mitternacht und spräche zu ihm: Lieber Freund, leih mir drei Brote; denn mein Freund ist zu mir gekommen auf der Reise, und ich habe nichts, was ich ihm vorsetzen kann, und der drinnen würde antworten und sprechen: Mach mir keine Unruhe! Die Tür ist schon zugeschlossen und meine Kinder und ich liegen schon zu Bett; ich kann nicht aufstehen und dir etwas geben. Ich sage euch: Und wenn er schon nicht aufsteht und ihm etwas gibt, weil er sein Freund ist, so wird er doch wegen seines unverschämten Drängens aufstehen und ihm geben, so viel er bedarf.

Und ich sage euch auch: Bittet, so wird euch gegeben; suchet, so werdet ihr finden; klopfet an, so wird euch aufgetan. Denn wer da bittet, der empfängt; und wer da sucht, der findet; und wer da anklopft, dem wird aufgetan. Wo bittet unter euch ein Sohn den Vater um einen Fisch, und der gibt ihm statt des Fisches eine Schlange? Oder gibt ihm, wenn er um ein Ei bittet, einen Skorpion?  Wenn nun ihr, die ihr böse seid, euren Kindern gute Gaben zu geben wisst, wie viel mehr wird der Vater im Himmel den Heiligen Geist geben denen, die ihn bitten

In drei Abschnitten lehrt uns Jesus hier beten. Er selbst lebt seine ununterbrochene Beziehung zu Gott Vater im Gebet und fordert auch uns auf, in solch eine Beziehung einzutreten. Konkret zitiert er eine kurze Fassung des Vaterunsers, erzählt das Gleichnis von einem bittenden Freund und fügt am Ende grundsätzliche Aussagen über das Gebet hinzu.

 

Am buntesten ist dabei wohl das Gleichnis. Es vergleicht die Beziehung zu Gott mit der Beziehung zwischen uns Menschen. Dabei müssen wir uns allerdings klar machen, dass die Lebensbedingungen vor 2000 Jahren sehr anders waren als heute. Ein Besucher konnte sich weder per E-Mail noch per Handy vorher ankündigen. Seine Ankunft konnte deshalb vollkommen überraschend sein. Gastfreundschaft aber war ein sehr wichtiges Verhalten, besonders dann, wenn es sich bei dem Besucher um einen Freund handelte. Und so musste der Gast natürlich versorgt werden. Wie aber war das möglich, wenn er um Mitternacht unerwartet eingetroffen ist? Einen auch nachts geöffneten Supermarkt gab es damals nicht und auch Vorräte im eigenen Haushalt gab es oft wenige. Das Brot wurde jeden Morgen frisch gebacken und vielleicht wusste man vom Nachbarn, dass gelegentlich etwas davon übrig blieb. 

In Bezug auf den Vergleich mit dem Gebet scheint mir eine unscheinbare Aussage des Gastgebers von großer Bedeutung zu sein. Er wendet sich an seinen Nachbarn, indem er ihm von dem Freund erzählt, der gerade angekommen sei. Und dabei sagt er: „Ich habe nichts, was ich ihm vorsetzen kann“. Jesus erzählt das Gleichnis, um zum Gebet zu ermutigen. Unter Nachbarn war es üblich, einander zu helfen, selbst wenn die Bedingungen höchst problematisch waren, weil um Mitternacht die Kinder schliefen und die Hilfe leicht ein gewisses Chaos hervorbringen konnte. Gegebenenfalls führte das „unverschämte Drängen“ des Bittstellers zum Erfolg. Auf diese Weise kann auch jeder Bittsteller von Gott erwarten, dass dieser ihm die Türe öffnet. Wichtig dabei ist aber, mit leeren Händen vor ihn zu treten. Nicht mit einem bestimmten Konzept sollen wir uns an Gott wenden, nicht mit konkreten Vorstellungen, wie nun alles weitergehen soll, sondern im Bewusstsein, selbst „nichts zu haben“. Wir sollen uns mit leeren Händen ihm anvertrauen, uns ganz auf ihn einlassen. Wir können dabei aufdringlich sein, dürfen dabei sicher sein, dass uns die Türe geöffnet wird, aber sollen unsere Hoffnung nicht mit konkreten Erwartungen verbinden.

 

Das wird mit den an das Gleichnis anschließenden Aussagen noch deutlicher hervorgehoben und bestätigt. „Bittet, so wird euch gegeben; suchet, so werdet ihr finden; klopfet an, so wird euch aufgetan. Denn wer da bittet, der empfängt; und wer da sucht, der findet; und wer da anklopft, dem wird aufgetan.“ Jesus lädt ein anzuklopfen, wie der Freund bei seinem Nachbarn, was immer auch gerade fehlen mag. Wir sollen uns nicht von einer scheinbar verschlossenen Türe abschrecken lassen. Gott wirkt in unserem Bewusstsein gelegentlich nicht ansprechbar. Aber das stimmt nicht. Er ist immer ansprechbar. Nicht ihm gegenüber, sondern gegenüber unserem Bewusstsein ist manchmal eine gewisse Aufdringlichkeit nötig. Es ist uns zugesagt, dass unser Anklopfen erhört wird.

Allerdings ist das, was wir empfangen werden, nicht unbedingt das, was wir erwarten. Vom Nachbarn im Gleichnis hieß es: er wird aufstehen und ihm geben, soviel er bedarf. Das ist keine Festlegung auf die drei erwarteten Brote. Das, was wir brauchen, wird uns Gott geben. Möglicherweise ist das etwas ganz anderes, als das, was wir erwarten und erhoffen. Wichtig aber ist, dass wir uns darauf einlassen, was er uns gibt. Und das ist nicht unbedingt selbstverständlich, denn es könnte sein, dass uns Dinge zustoßen, die vielleicht sogar das Gegenteil dessen zu sein scheinen, was wir erhofft haben. Jesus aber lädt uns dazu ein, sie nicht so zu verstehen. Ja, wir können im Leben mit vielen schweren Dingen konfrontiert werden. Aber auch diese Dinge können uns helfen, das Leben zur Vollendung zu bringen, so wie die Kreuzigung Jesus zur Auferstehung geführt hat. In Bezug auf das Gebet formuliert Jesus das so: „Wo ist unter euch ein Vater, der seinem Sohn, wenn der ihn um einen Fisch bittet, eine Schlange für den Fisch biete? Oder der ihm, wenn er um ein Ei bittet, einen Skorpion dafür biete?“ Auch wenn wir nach dem Gebet Dinge empfangen, die auf uns wie eine Schlange oder ein Skorpion wirken, sollen wir uns davon nicht irritieren lassen. Wir sollen vielmehr darauf vertrauen, dass Gott uns gibt, was wir brauchen, nämlich den Heiligen Geist, unter dessen Führung wir auch mit scheinbaren Schlangen und Skorpionen umgehen können. Und dass er uns am Ende viel mehr gibt als wir uns je hätten vorstellen können – ein Leben in Fülle.

 

Sich ganz auf Gott einlassen, darum geht es beim Beten. Zusammengefasst ist dies am besten mit den zentralen Bitten des Vaterunsers, mit dem der Bibelabschnitt über das Gebet beginnt.  

Wir sprechen Gott vertrauensvoll als den Vater an. Aber wir respektieren nicht nur seine Liebe zu uns, sondern auch seine Macht über alle Dinge und Ereignisse und sagen deshalb: „Dein Name werde geheiligt.“ Sein Reich ist unsere Perspektive für die Zukunft,  aber auch für die Gegenwart. „Dein Reich komme“ sagen wir deshalb. Und wir bitten um das, was wir benötigen um im Alltag zu leben: „Unser tägliches Brot gib uns Tag für Tag.“ Das, was uns von Gott trennt, möge er von uns entfernen; auf dieser Grundlage verändert sich dann auch das Verhältnis von uns Menschen untereinander: „Vergib uns unsre Sünden; denn auch wir vergeben allen, die an uns schuldig werden.“ Und schließlich möge uns Gott davor bewahren, dass unser Glauben an ihn in allzu gefährliche Situationen der Erprobung gerät: „Und führe uns nicht in Versuchung.“

Das Vaterunser ist somit der Kern aller Gebete. An ihm sollten wir uns beim Beten orientieren. Aber nicht, indem wir die Worte gedankenlos herunter haspeln, sondern indem wir ihre Bedeutung wahrnehmen. Auch dabei helfe uns der Heilige Geist.

Pfarrer Heiner Bludau