10.04.2022 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 10 aprile 2022

ore 11

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino


Culto

Domenica delle Palme,  

Giovanni 17, 1-8

Foto: Wodicka
Foto: Wodicka

Wo und Wann?


Sonntag, 10. April 2022

11 Uhr

Kirche San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino 


Gottesdienst

Palmsonntag 

Johannes 17, 1-8



Testo della Predica


Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, l'ora è venuta; glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, poiché gli hai dato autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dati. Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data da fare. Ora, o Padre, glorificami tu presso di te della gloria che avevo presso di te prima che il mondo esistesse.

Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che mi hai date, vengono da te; poiché le parole che tu mi hai date le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute e hanno veramente conosciuto che io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato.

Cara comunità!

Andiamo verso tempi gloriosi!...

Mi credete? O magari no?

Alla fine di due secoli fa – a quel tempo non ero nato, ma così mi hanno raccontato e ho letto – cioè più di centoventi anni fa, questa era la convinzione di tanta gente: andiamo incontro a  tempi gloriosi. Il progresso rende la vita sempre più vivibile, la tecnica alleggerirà sempre più la vita di tutti i giorni, la scienza risolverà i problemi dell’umanità. E anche chi non prende ancora parte alle moderne conquiste in futuro ne potrà godere. Uno slancio economico e grandi progetti filosofici come l’utopia di una società senza classi, comunista, mostravano il cammino per arrivarci.

Questa era la convinzione di tanti fino all’inizio del secolo scorso, ma poi arrivò la Prima guerra mondiale. Le meraviglie della tecnica non rendevano la vita più facile, anzi con l’impiego di gas velenosi causò un orrore inimmaginabile. I vecchi ordini andarono in frantumi, ma al posto del benessere per tutti ci furono delle guerre civili e il crollo economico. Nemmeno il socialismo portò la sperata liberazione di tutti, bensì dei campi di lavoro per molti. In Italia iniziò il fascismo già 100 anni fa. In Germania il legame tra i potenti e i violenti ebbe successo circa 10 anni più tardi e coprì il mondo con una seconda guerra mondiale, ancora peggiore della prima.

Nei 75 anni successivi l’Europa fu pressoché risparmiata da altre guerre. Sono stati fatti davvero dei progressi tecnici incredibili; degli uomini sono atterrati sulla luna, si è imparato a utilizzare l’energia che è a disposizione nelle più piccole particelle della materia, gli atomi, potenzialmente si è persino in grado di riprodurre da una singola cellula del corpo di un qualsiasi essere vivente l’intero essere. Ma se oggi qualcuno dice “stiamo andando incontro a tempi gloriosi”, non troverà facilmente un gioioso assenso.

Siamo diventati disillusi e scettici. Di fronte a tante minacce cerchiamo di aggrapparci al presente. Più o meno della serie: godiamoci oggi quel che c’è da godere oggi; chissà come sarà domani. Anche questo diventa sempre più difficile però. Infatti le minacce come la guerra e il cambiamento climatico che ancora poco tempo fa sembravano relativamente lontani da noi negli ultimi tempi ci sono arrivati molto vicino.

In tale contesto come suona alle nostre orecchie quando Gesù parla della gloria che sta arrivando? Forse non abbiamo perso soltanto molte illusioni, ma addirittura la speranza?

Guardiamo innanzitutto di quale gloria parla qui Gesù in realtà. È la gloria di Dio. Gesù prega il padre di venire glorificato per rendere partecipi di questa gloria coloro che sono legati a lui, cioè noi: le cristiane e i cristiani. Che cosa ci dobbiamo immaginare con questa gloria?

Così davvero immaginabile questa gloria in realtà non è. Se si deve trattare davvero della gloria di Dio, allora deve essere più gloriosa di qualsiasi cosa noi ci possiamo immaginare. Allora però è anche completamente diversa da come pensiamo noi. Questo ci diventa chiaro se teniamo presente in quale occasione Gesù ha pronunciato le parole che abbiamo sentito. Egli è seduto con i suoi discepoli all’ultima cena. Davanti a sé ha la cattura, gli interrogatori e la crocifissione. Dietro di lui c’è l’entrata in Gerusalemme di cui abbiamo sentito parlare prima nel vangelo. Non c’è in vista nessuno sfarzo e splendore. È vero… nell’entrata in Gerusalemme la gente lo ha osannato. Era stato chiaro: qui si saluta e si festeggia un re. Ma quale tipo di re! Un re su un asino! Assolutamente non un re che prende possesso con la sua corte di un trono dorato in un palazzo sfarzoso; piuttosto un re che ha davanti a sé una discesa radicale, dentro al dolore, alle torture, alla morte. Il cammino che fa questo re è agli occhi umani un totale fallimento, ma proprio questo cammino è evidentemente il cammino verso la gloria di Dio.

Ci viene chiesto per davvero di accettare questa affermazione inaudita: nella sofferenza e nella morte si compie la gloria di Gesù. In ciò che secondo il giudizio umano può significare solo fallimento è racchiusa la gloria di Dio. Eppure la sofferenza e la morte sono soltanto il culmine dell’intera vita terrena di Gesù. La croce è il punto esclamativo o l’amen alla fine di una vita per altri, di una vita dell’amore servizievole. E si constaterà che questo amore impotente, non appariscente è più forte di qualsiasi violenza dell’odio e della distruzione.

In questa consapevolezza Gesù prega già prima della sua esecuzione; È quello che sentiamo nel Vangelo di Giovanni nel passo odierno della Bibbia. Dagli altri evangelisti ci viene tramandata un’altra preghiera: la preghiera nel Giardino di Getsemani. Era al centro del culto di un mese fa. In questa si parla di estrema paura della morte, di timore e tremito e gocce di sudore come sangue. Questa preghiera si abbina con l’altra, quella piena di consapevolezza, che ci ha esposto l’Evangelista Giovanni? Sì, le si abbina se la gloria della quale parla il quarto evangelista è nascosta nella profonda disperazione che ci tramandano gli altri tre evangelisti.

Questa gloria è a tutti gli effetti diversa da quello che ogni giorno ci viene messo davanti agli occhi come gloria in immagini colorate. La vita gloriosa in televisione, in altri mass media e sui tabelloni pubblicitari; nei film, nella pubblicità in immagini e parole: vuol dire essere giovane, in salute e di bell’aspetto; significa benessere e lusso; significa allo stesso tempo essere indipendente e – a seconda – essere amati da un o una partner; significa riconoscimento e successo, significa l’assenza di dolore.

Ogni giorno veniamo messi a confronto non solo con notizie spaventose, ma anche con immagini scintillanti del genere che creano il miraggio di una vita senza preoccupazioni. Sono convinto che il mondo pieno di gloria che ci presentano la pubblicità e tanti film influenzi molto di più il nostro stile di vita di quanto normalmente ci rendiamo conto.

Siamo davvero in grado di immaginare che cosa potrebbe significare per la nostra vita la gloria di cui parla Gesù? Gesù in questo contesto parla di vita eterna. Per un uomo moderno – al di fuori del culto della domenica – questa può ancora essere una meta desiderabile? Non ci sono innanzitutto una felice relazione di coppia, un mestiere interessante, un bell’appartamento? La vita eterna come ciliegina sulla torta, questo sì. Ma come primo, basilare orientamento di vita?

Questo però è ciò che offre Gesù. Egli descrive la vita eterna come comunione con lui, il figlio di Dio, e quindi come comunione con Dio stesso. Egli offre di tirarci fuori dal nostro dispotismo, dal nostro girare intorno a noi stessi. Ci porta con sé dentro alla comunione con colui che è la fonte di qualsiasi vita e vitalità.

Questa comunione con Dio non porta necessariamente alla felicità esteriore. Ma essa sostiene tutta una vita. Essa dà alla vita senso e orientamento e sostegno. Essa rende liberi da legami schiavizzanti e da dipendenze. Libera anche dalla costrizione di dover avere successo. Dà la forza che è necessaria per non scansare i lati bui della vita. Essa accompagna anche attraverso i più profondi bassi della vita, attraverso la malattia, la perdita, il morire e la morte. E rende aperti la comunione con Dio: aperti per la felicità che ci viene regalata senza che noi dobbiamo lottare per averla. La piccola felicità qui e là in questa vita e la grande felicità che sta nell’adempimento della vita come tutt’uno e che indica al di là della nostra fugacità.

Siamo maturi per questa gloria? Una gloria che né ci possiamo né ci dobbiamo guadagnare con degli sforzi? Non lo so. Ma sento come Gesù ce la offre. Come prega perché la accogliamo. E spero. Sia in prospettiva di me stesso sia in prospettiva di tutti noi.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Grafica - Graphik: Schönert
Grafica - Graphik: Schönert

Predigttext


Jesus hob seine Augen auf zum Himmel und sprach: Vater, die Stunde ist gekommen: Verherrliche deinen Sohn, auf dass der Sohn dich verherrliche; so wie du ihm Macht gegeben hast über alle Menschen, auf dass er ihnen alles gebe, was du ihm gegeben hast: das ewige Leben. Das ist aber das ewige Leben, dass sie dich, der du allein wahrer Gott bist, und den du gesandt hast, Jesus Christus, erkennen. Ich habe dich verherrlicht auf Erden und das Werk vollendet, das du mir gegeben hast, damit ich es tue. Und nun, Vater, verherrliche du mich bei dir mit der Herrlichkeit, die ich bei dir hatte, ehe die Welt war.

Ich habe deinen Namen den Menschen offenbart, die du mir aus der Welt gegeben hast. Sie waren dein, und du hast sie mir gegeben, und sie haben dein Wort bewahrt. Nun wissen sie, dass alles, was du mir gegeben hast, von dir kommt. Denn die Worte, die du mir gegeben hast, habe ich ihnen gegeben, und sie haben sie angenommen und wahrhaftig erkannt, dass ich von dir ausgegangen bin, und sie glauben, dass du mich gesandt hast.

Liebe Gemeinde!

Wir gehen herrlichen Zeiten entgegen! ...

Glaubt Ihr mir das? Oder eher nicht? 

Am Ende des vorletzten Jahrhunderts – ich habe damals zwar nicht gelebt, aber so ist es mir erzählt worden und so habe ich es gelesen – also vor mehr als hundertzwanzig Jahren, da war dies die Überzeugung vieler Menschen: Wir gehen herrlichen Zeiten entgegen. Der Fortschritt macht das Leben immer lebenswerter, die Technik wird den Alltag immer mehr erleichtern, die Wissenschaft wird die Menschheitsprobleme lösen. Und auch wer jetzt noch keinen Anteil an den modernen Errungenschaften hat, der wird sich doch in Zukunft daran erfreuen können. Wirtschaftlicher Aufschwung und große philosophische Entwürfe wie die Utopie einer klassenlosen, kommunistischen Gesellschaft zeigten den Weg dorthin. 

Das war die Überzeugung vieler Menschen bis zum Beginn des letzten Jahrhunderts. Dann kam der erste Weltkrieg. Die Wunder der Technik erleichterten das Leben nicht, sondern brachten mit dem Einsatz von Giftgas unvorstellbares Grauen. Die alten Ordnungen zerbrachen, aber statt Wohlstand für alle kamen Bürgerkriege und wirtschaftlicher Zusammenbruch. Auch der Sozialismus brachte nicht die erhoffte Befreiung aller, sondern Arbeitslager für viele. In Italien begann der Faschismus bereits vor 100 Jahren. In Deutschland hatte die Verbindung der Mächtigen mit den Gewalttätigen erst etwa 10 Jahre später Erfolg und überzog die Welt mit einem zweiten, noch schrecklicheren Weltkrieg. 

In den darauffolgenden 75 Jahren blieb Europa dann von weiteren Kriegen weitgehend verschont. Es wurden auch tatsächlich erstaunliche technische Fortschritte gemacht. Menschen landeten auf dem Mond, man lernte die Energie zu nutzen, die in den kleinsten Bausteinen der Materie, den Atomen vorhanden ist, man ist inzwischen sogar prinzipiell fähig, aus einer einzelnen Körperzelle eines beliebigen Lebewesens das ganze Wesen zu reproduzieren. Aber wenn heute jemand sagt: Wir gehen herrlichen Zeiten entgegen, dann wird er oder sie dennoch nicht so leicht freudige Zustimmung finden.

Wir sind ernüchtert und skeptisch geworden. Angesichts vieler Bedrohungen versuchen wir, uns an die Gegenwart zu klammern. Etwa nach dem Motto: Lasst uns heute genießen, was zu genießen ist; wer weiß, was morgen sein wird. Aber auch das wird immer schwieriger. Denn Bedrohungen wie Krieg und Klimaveränderungen, die noch vor kurzem einigermaßen weit entfernt von uns zu sein schienen, sind uns in jüngster Zeit sehr nahe gekommen.   

Wie hören wir es vor diesem Hintergrund, wenn Jesus von der kommenden Herrlichkeit redet? Vielleicht haben wir ja nicht nur viele Illusionen verloren, sondern auch die Hoffnung schlechthin?

Schauen wir zunächst, von welcher Herrlichkeit Jesus hier eigentlich redet. Es ist die Herrlichkeit Gottes. Jesus bittet den Vater darum, verherrlicht zu werden, um denen, die mit ihm verbunden sind – also uns, den Christinnen und Christen – Anteil an dieser Herrlichkeit zu geben. Was sollen wir uns vorstellen unter dieser Herrlichkeit?

So richtig vorstellbar ist diese Herrlichkeit eigentlich nicht. Wenn es wirklich um die Herrlichkeit Gottes gehen soll, dann muss sie herrlicher sein als alles, was wir uns vorstellen können. Dann ist sie aber auch ganz anders als wir denken. Das letztere wird deutlich wenn wir uns klarmachen, bei welcher Gelegenheit Jesus die Worte spricht, die wir gehört haben. Er sitzt zusammen mit seinen Jüngern beim letzten Abendmahl. Vor sich hat er die Gefangennahme, die Verhöre und die Kreuzigung. Hinter ihm liegt der Einzug in Jerusalem, von dem wir vorhin im Evangelium gehört haben. Da ist weit und breit kein Prunk und kein Glanz wahrzunehmen. Gut – beim Einzug in Jerusalem haben ihm die Menschen zugejubelt. Es wurde deutlich: Hier wird ein König begrüßt und gefeiert. Aber was für ein König! Ein König auf einem Esel! Ein König, der keineswegs zusammen mit seinem Hofstaat einen goldenen Thron in einem prunkvollen Palast in Besitz nimmt. Ein König vielmehr, der einen radikalen Abstieg vor sich hat, hinein in das Leiden, in die Folter, in den Tod. Der Weg, den dieser König geht, ist in menschlichen Augen der des völligen Scheiterns. Aber gerade dieser Weg ist offenbar der Weg zu Gottes Herrlichkeit.

Diese unerhörte Behauptung wird uns tatsächlich hier zugemutet: Im Leiden und im Tod vollzieht sich die Verherrlichung von Jesus. In dem, was nach menschlichem Ermessen nur Scheitern bedeuten kann, ist Gottes Herrlichkeit verborgen. Und dabei sind Leiden und Tod nur der Höhepunkt des ganzen Erdenlebens von Jesus. Das Kreuz ist das Ausrufezeichen oder auch das Amen am Ende eines Lebens für andere, eines Lebens der dienenden Liebe. Und es wird sich herausstellen, dass diese ohnmächtige, unscheinbare Liebe stärker ist, als alle Gewalten des Hasses und der Vernichtung. 

In dieser Gewissheit betet Jesus schon vor seiner Hinrichtung; so hören wir es bei Johannes im heutigen Bibelabschnitt. Bei den anderen Evangelisten wird uns ein anderes Gebet überliefert: Das Gebet im Garten Gethsemane. Im Gottesdienst vor vier Wochen ging es darum. Da ist von äußerster Todesangst die Rede, von Furcht und Zittern und Schweißtropfen wie Blut. Geht dieses Gebet überhaupt zusammen mit dem anderen, von Gewissheit getragenen, das uns der Evangelist Johannes schildert? Ja, es geht zusammen, wenn die Herrlichkeit, von der der vierte Evangelist spricht, verborgen ist unter der abgründigen Verzweiflung, die uns die anderen drei Evangelisten überliefern.  

Diese Herrlichkeit ist in der Tat ganz anders als das, was uns täglich in bunten Bildern als Herrlichkeit vorgeführt wird. Herrliches Leben im Fernsehen, in anderen Medien und auf Plakatwänden; im Spielfilm, in der Werbung, auf Bildern und in Worten: das bedeutet jung, gesund und schön zu sein; es bedeutet Wohlstand und Luxus; es bedeutet gleichzeitig unabhängig zu sein und  - je nachdem - von einem Partner oder einer Partnerin geliebt zu werden; es bedeutet Anerkennung und Erfolg, es bedeutet die Abwesenheit von Leiden.

Nicht nur mit furchterregenden Nachrichten, sondern auch mit solchen Glitzerbildern, die uns ein sorgenfreies Leben vorgaukeln, werden wir jeden Tag konfrontiert. Ich bin überzeugt davon, dass die herrliche Welt, die uns die Werbung und viele Spielfilme präsentieren, uns in unserem Lebensstil viel mehr beeinflusst, als wir uns das normalerweise klar machen.

Ob wir überhaupt erahnen können, was die Herrlichkeit, von der Jesus spricht, für unser Leben bedeuten könnte? Jesus redet in diesem Zusammenhang von ewigem Leben. Kann das für einen modernen Menschen – außerhalb des Sonntagsgottesdienstes – noch ein erstrebenswertes Ziel sein? Kommt nicht erst mal eine glückliche Partnerschaft, ein interessanter Beruf, eine hübsche Wohnung? Ewiges Leben als Sahnehäubchen oben drauf, das schon. Aber als erste, grundlegende Lebensorientierung?

Das aber ist es, was Jesus anbietet. Er beschreibt ewiges Leben als Gemeinschaft mit ihm, dem Sohn Gottes und dadurch als Gemeinschaft mit Gott selbst. Er bietet an, uns herauszuholen aus unserer Selbstherrlichkeit, aus unserem Kreisen um uns selbst. Er nimmt uns hinein in die Gemeinschaft mit dem, der die Quelle allen Lebens und aller Lebendigkeit ist. 

Diese Gemeinschaft mit Gott führt nicht unbedingt zu äußerlichem Glück. Aber sie trägt ein ganzes Leben. Sie gibt dem Leben Sinn und Richtung und Halt. Sie macht frei von versklavenden Bindungen und Süchten. Sie befreit auch von dem Zwang, erfolgreich sein zu müssen. Sie verleiht die Kraft, die nötig ist, um den dunklen Seiten des Lebens nicht auszuweichen. Sie begleitet auch durch die tiefsten Tiefen des Lebens hindurch, durch Krankheit, Verlust, Sterben und Tod. Und sie macht offen, die Gemeinschaft mit Gott; offen für das Glück, das uns geschenkt wird ohne dass wir darum kämpfen müssen. Das kleine Glück hier und da in diesem Leben und das große Glück, das in der Erfüllung des Lebens als ganzem liegt und das über unsere Endlichkeit hinausweist.  

Sind wir reif für diese Herrlichkeit? Eine Herrlichkeit, die wir uns weder selbst erarbeiten können, noch erarbeiten müssen? Ich weiß es nicht. Aber ich höre, wie Jesus sie uns anbietet. Wie er darum betet, dass wir sie annehmen. Und ich hoffe. Sowohl im Blick auf mich selbst als auch im Blick auf uns alle.

Pfarrer Heiner Bludau