30.01.2022 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 30 gennaio 2022

ore 11

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino


Ultima domenica dopo l’Epifania

2 Pietro 1,16-19

Foto: Heike Lyding
Foto: Heike Lyding

Wo und Wann?


Sonntag, 30. Januar 2022

11 Uhr

Kirche San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino 


Letzter Sonntag nach Epiphanias

2 Petrus 1,16-19



Testo della Predica


Cara comunità!

Come può arrivare qualcuno a credere in Gesù Cristo? Con “credere” intendo accettare Gesù Cristo come il riferimento cruciale per la propria vita. Non ritenerlo un qualche saggio o un qualche rivoluzionario sociale che 2000 anni fa ha detto e ha fatto cose importanti, ma vedere in lui il Figlio di Dio, il Dio fattosi uomo, nel quale Dio stesso interviene nella storia dell’umanità e dei singoli uomini portandoli a una buona meta. Come può arrivare qualcuno in questo senso a credere in Gesù Cristo?

La risposta della chiesa luterana è che la Bibbia è la fonte della fede.

La Bibbia, però, non ci rende le cose facili. È più di un libro, è piuttosto un’intera biblioteca. Unisce in sé scritti di un periodo di circa 1000 anni, i più recenti hanno quasi 1900 anni. Vi si trovano affermazioni contraddittorie tra di loro; e persino laddove parla espressamente del centro della nostra fede, di Gesù Cristo, presenta punti di vista diversi in modo scollegato, l’uno di fianco all’altro. Basti pensare al fatto che quattro diversi Vangeli raccontano della vita, della morte e della resurrezione di Gesù. In ognuno di questi Vangeli c’è una diversa concezione di chi sia questo Gesù Cristo.

Ci si può rammaricare di questo; ci si può lamentare per il fatto che la Bibbia non sia più chiara di quello che è; si può trovare terribile che oggi, facendo riferimento alla stessa Bibbia, gli uni, per esempio, ritengano il matrimonio l’unica forma di vita legittima – e assolutamente indissolubile – nella quale la sessualità umana possa essere vissuta, mentre altri ritengano desiderabile una benedizione alle coppie omosessuali.

Io da parte mia non condivido questo rammarico. Al contrario sono contento del fatto che il nostro documento fondamentale per la fede mostri una certa varietà e soprattutto anche delle tracce di sviluppo. Sono addirittura convinto del fatto che debba essere così poiché se credo che Gesù Cristo è il mio Signore, che mi rende accessibile la vita nella sua pienezza, allora – anche se questa affermazione suona semplice – si tratta di una fede molto complessa, personale, che non si può limitare a dire sempre di sì a qualsiasi affermazione fatta. Questa fede è piuttosto cresciuta in me nel corso del tempo. La varietà e persino le contraddizioni nella Bibbia non mi hanno aiutato meno delle sue affermazioni univoche.

Il brano della Bibbia sul quale oggi tengo la predica rende le due cose, trovo, molto evidenti: la difficoltà nell’approccio alla Bibbia, ma anche l’ispirazione che crea la fede, che ne può scaturire.

2 Pietro 1,16-19

Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà. Egli, infatti, ricevette da Dio Padre onore e gloria quando la voce giunta a lui dalla magnifica gloria gli disse: «Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto». E noi l'abbiamo udita questa voce che veniva dal cielo, quando eravamo con lui sul monte santo. Abbiamo inoltre la parola profetica più salda: farete bene a prestarle attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori. 

La seconda lettera di Pietro dalla quale deriva questo brano non è di certo uno degli scritti più letti del Nuovo Testamento. Ci sono dei perché. Questo scritto dà l’impressione di essere di Pietro, l’Apostolo di Gesù. Non soltanto dal titolo, anche dalla descrizione di dettagli biografici, ma in realtà non è di Pietro. Dallo stile e dal contenuto si capisce in modo chiaro che non è antecedente al secondo secolo. L’autore non è neppure lo stesso della prima lettera di Pietro, che, tra l’altro, non è stata scritta da Pietro nemmeno lei. Mentre, però, la prima lettera di Pietro contiene una teologia molto differenziata, la seconda si limita più o meno a esortare i cristiani del suo tempo a ritenere la vera fede solo quella apostolica, cioè quella degli apostoli. Proprio per questo motivo porta come mittente il nome di un apostolo.

Per un lettore odierno della Bibbia può essere un motivo sufficiente per mettere da parte piuttosto in fretta questo scritto. Secondo il modo di vedere di oggi, si tratta di una falsificazione. Altro in proposito non c’è da dire.

Chi, però, nonostante tutto si prende la briga di analizzare più da vicino che cosa dice questo scritto può fare delle scoperte sorprendenti. Si deve però sapere qualcosa di più sul contesto e sul motivo di questo scritto. Apparentemente presso i cristiani ai quali questa lettera si rivolge era apparsa della gente che parlava della fede in modo diverso dai missionari originali che avevano fondato la comunità. Di preciso non possiamo afferrare il loro insegnamento, ma sembra che abbiano ridotto la fede cristiana, e soprattutto l’abbiano individualizzata. La nuova dottrina metteva la salvezza del singolo al centro; la dimensione che cambiava il mondo, la buona novella per l’umanità nel suo insieme rischiava di andare perduta. Per contro l’autore della seconda lettera di Pietro sottolinea che Gesù non è venuto soltanto per salvare l’anima dei singoli, bensì che egli ha annunciato il regno di Dio, un futuro guidato dalla giustizia e dall’amore. E che Gesù ritornerà per portare a compimento questo regno che è iniziato con la sua prima venuta.

Si può senz’altro rinfacciare all’autore della lettera di non presentare quasi nessun argomento per rafforzare la sua posizione. A differenza di Paolo, che argomenta sempre in maniera teologica, lo scrittore della seconda lettera di Pietro si limita ad abbellirsi con il nome dell’apostolo. In fondo dice soltanto che la fede che rappresenta è la fede degli apostoli, dei testimoni oculari di Gesù, e quindi è la vera fede.

Suona un po’ deboluccio, eppure ci si può chiedere se si può davvero dire molto di più e in altro modo. Oggi viviamo in un mondo del pluralismo religioso, che non è poi tanto diverso da quello dell’Impero romano di allora. Anche noi siamo messi a confronto con le diverse correnti religiose. Quale corrente è quella giusta? Come si può giudicare quale fede sia vera e quale sia falsa? Magari personalmente mi è più congeniale una dottrina invece di un’altra. Magari trovo un maestro, un Pastore, un prete più simpatico di un altro, ma possono essere i criteri determinanti?

In fondo la verità di una fede non si può dimostrare, la si può soltanto testimoniare.

Ed è proprio questo quello che fa lo scrittore della lettera, anche se sotto falso nome. Egli racconta ciò che abbiamo già sentito prima, durante la lettura del Vangelo: come Gesù apparve trasfigurato su una montagna. Nella lettura del Vangelo abbiamo sentito la versione di Matteo. Nemmeno lui è stato un testimone oculare dell’avvenimento, come nemmeno lo sono stati Marco e Luca che riferiscono la stessa cosa. Lo scrittore della lettera racconta dalla prospettiva di Pietro: “Siamo stati testimoni oculari della sua maestà”, scrive. Non è vero – come sappiamo –, per lo meno non come affermazione biografica. Fa riferimento, però, a un’esperienza fondamentale sulla quale in fondo si basa tutta la Chiesa, e non solo quella luterana e le altre protestanti, anche quella cattolica e quella ortodossa. È l’esperienza che gli apostoli hanno fatto con Gesù Cristo, con la sua vita, la sua morte e la sua resurrezione. Poiché la loro fede si fonda su questa esperienza basilare, esse si autodefiniscono chiese apostoliche, e professano questo Credo apostolico in ogni culto o messa.

Un’esperienza che vada al di là di quella degli apostoli, dei discepoli di Gesù, non ce l’abbiamo. Come sia stata questa esperienza nel senso biografico originale non lo sappiamo. Un racconto personale lo abbiamo soltanto da Paolo che definisce se stesso l’ultimo apostolo... però egli non ha mai incontrato Gesù prima della sua resurrezione. Le esperienze degli altri hanno trovato espressione innanzitutto nei racconti dei Vangeli e poi sono state fissate nel Credo.

Sembra essere un fondamento piuttosto insicuro, eppure regge. Regge perché la fede non è la semplice approvazione di affermazioni date. La fede non ripete a pappagallo quello che sente dire. La testimonianza degli apostoli risveglia piuttosto la fede personale in coloro che la accettano. Coloro che arrivano così alla fede diventano loro stessi testimoni per gli altri. Ovviamente si possono aggiungere anche altri influssi. Per scoprire se ci si trova ancora sulla base della testimonianza apostolica non c’è altro mezzo in fondo se non quello di andare a vedere continuamente nella Bibbia.

In fondo è anche quello che raccomanda di fare chi ha scritto la seconda lettera di Pietro. Ai suoi tempi non esisteva ancora il Nuovo Testamento; la Bibbia era costituita dagli scritti dell’Antico Testamento. Questi, però, egli li chiama “parola profetica”, e scrive ai suoi lettori “farete bene a prestarle attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il giorno e la stella mattutina sorga ai vostri cuori”.

Come può arrivare qualcuno a credere in Gesù Cristo? Non c’è nessuna ricetta che si possa mettere in pratica in scala 1:1. La fede cristiana è più di una convinzione, è una relazione personale con Gesù. Nella Bibbia si possono apprendere alcune cose su Gesù, per esempio che lui stesso non si è presentato come messia, ma che il Dio Padre “dalla magnifica gloria”, come viene detto nella seconda lettera di Pietro, lo ha presentato per così dire ai suoi discepoli: «Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto». Acquista significato, però, soltanto quando uno ha iniziato a credere. La fede nel Figlio di Dio viene tramandata da uno all’altro da 2000 anni. Per molti è diventato “la stella mattutina” che è sorta nel cuore. E alla fine – è ciò in cui crediamo – si realizzerà la speranza che ne è legata, cioè che sorgerà il giorno e che verrà compiuto ciò che è iniziato con Gesù.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Foto: Wodicka
Foto: Wodicka

Predigttext


Liebe Gemeinde!

Wie kommt jemand dazu, an Jesus Christus zu glauben? Mit „glauben“ meine ich: Jesus Christus als die entscheidende Orientierung für sein Leben anzunehmen. Ihn nicht nur für einen Weisen zu halten oder für einen Sozialrevolutionär, der vor 2000 Jahren wichtige Dinge gesagt und getan hat. Sondern in ihm den Sohn Gottes zu sehen, den menschgewordenen Gott, in dem Gott selbst in die Geschichte der Menschheit und der einzelnen Menschen eingreift und sie zu einem guten Ziel führt. Wie kommt jemand dazu, in diesem Sinn an Jesus Christus zu glauben?

Die Antwort der Lutherischen Kirche ist: Die Bibel ist die Quelle des Glaubens.

Die Bibel allerdings macht es uns nicht leicht. Sie ist mehr als ein Buch, sie ist eher eine ganze Bibliothek. Sie vereinigt in sich Schriften aus einem Zeitraum von ungefähr 1000 Jahren, deren jüngste fast 1900 Jahre alt sind. Man findet widersprüchliche Aussagen in ihr. Und sogar dort, wo sie ausdrücklich von dem Zentrum unseres Glaubens, von Jesus Christus redet, präsentiert sie verschiede Sichtweisen unverbunden nebeneinander. Man braucht bloß an die Tatsache zu denken, dass vier verschiedene Evangelien vom Leben, vom Sterben und von der Auferstehung Jesu erzählen. In jedem dieser Evangelien steckt ein eigenes Verständnis davon, wer dieser Jesus Christus ist.

Man kann das bedauern. Man kann beklagen, dass die Bibel nicht eindeutiger ist. Man kann es schrecklich finden, dass heute unter Berufung auf dieselbe Bibel zum Beispiel die einen die Ehe für die einzig legitime - und absolut unauflösliche - Lebensform halten, in der menschliche Sexualität gelebt werden kann, andere aber eine Segnung homosexueller Paare für wünschenswert halten. 

Ich meinerseits teile dieses Bedauern nicht. Ich bin im Gegenteil froh darüber, dass unser Grunddokument des Glaubens eine gewisse Vielfalt und vor allem auch Entwicklungsschritte zeigt. Ich bin sogar überzeugt davon, dass das so sein muss. Denn wenn ich glaube, dass Jesus Christus mein Herr ist, der mir das Leben in seiner Fülle erschließt, dann ist dies – auch wenn es einfach klingt – ein sehr komplexer, persönlicher Glaube. Er kann sich nicht darauf beschränken, zu einer vorgegebenen Aussage Ja und Amen zu sagen. Dieser Glaube ist vielmehr in mir im Laufe der Zeit gewachsen. Die Vielfalt und sogar die Widersprüche in der Bibel haben mir dabei nicht weniger geholfen als ihre eindeutigen Aussagen.

Der Bibelabschnitt, der heute die Grundlage der Predigt ist, macht – wie ich finde – beides sehr deutlich: die Schwierigkeit im Umgang mit der Bibel, aber auch die glaubensschaffende Inspiration, die von ihr ausgehen kann.

2 Petrus 1,16-19

(Denn) wir sind nicht ausgeklügelten Fabeln gefolgt, als wir euch kundgetan haben die Kraft und das Kommen unseres Herrn Jesus Christus; sondern wir haben seine Herrlichkeit selber gesehen. Denn er empfing von Gott, dem Vater, Ehre und Preis durch eine Stimme, die zu ihm kam von der großen Herrlichkeit: Dies ist mein lieber Sohn, an dem ich Wohlgefallen habe. Und diese Stimme haben wir gehört vom Himmel kommen, als wir mit ihm waren auf dem heiligen Berge.

Umso fester haben wir das prophetische Wort, und ihr tut gut daran, dass ihr darauf achtet als auf ein Licht, das da scheint an einem dunklen Ort, bis der Tag anbreche und der Morgenstern aufgehe in euren Herzen.

Der zweite Petrusbrief, aus dem dieser Abschnitt stammt, gehört sicher nicht zu den meistgelesenen Schriften im Neuen Testament. Dafür gibt es Gründe. Diese Schrift erweckt den Anschein, als stamme sie von Petrus, dem Jünger Jesu. Nicht nur durch den Titel, sondern auch durch die Schilderung biographischer Einzelheiten. Aber sie stammt nicht von Petrus. Aus dem Stil und dem Inhalt der Schrift geht eindeutig hervor, dass sie erst im zweiten Jahrhundert entstanden ist. Der Verfasser ist nicht einmal derselbe wie derjenige des ersten Petrusbriefes, der übrigens auch nicht von Petrus geschrieben wurde. Während allerdings der erste Petrusbrief eine sehr differenzierte Theologie beinhaltet, beschränkt sich der zweite mehr oder weniger darauf, den Christen seiner Zeit einzuschärfen, dass der wahre Glaube nur der apostolische sein kann, also derjenige der Apostel. Genau aus diesem Grund trägt er als Absender auch den Namen eines Apostels.

Für einen heutigen Bibelleser kann das Grund genug sein, diese Schrift ziemlich schnell beiseite zu legen. Nach heutigem Verständnis handelt es sich um eine Fälschung. Mehr muss man dazu  nicht sagen.

Wer sich aber die Mühe macht, sich trotzdem näher darauf  einzulassen, was diese Schrift sagt, kann erstaunliche Entdeckungen machen. Dazu muss man allerdings ein wenig über den Hintergrund und den Anlass dieses Schreibens wissen. Offenbar waren bei den Christen, an die sich dieser Brief wendet, Menschen aufgetaucht, die vom Glauben anders redeten als die ursprünglichen Missionare, die die Gemeinde gegründet hatten. Genau lässt sich deren Lehre nicht fassen, aber es scheint so, als hätten sie den Glauben an Jesus Christus verkürzt, reduziert, und vor allem: individualisiert. Die neue Lehre stellte das Heil des Einzelnen in den Mittelpunkt; die weltverändernde Dimension, die gute Nachricht für die Menschheit als Ganze drohte verloren zu gehen. Demgegenüber betont der Verfasser des zweiten Petrusbriefes, dass Jesus nicht nur gekommen sei, um die Seelen Einzelner zu retten, sondern dass er das Reich Gottes verkündet habe, eine Zukunft, die von Gerechtigkeit und Liebe bestimmt sei. Und dass Jesus wiederkommen werde, um dieses Reich, das mit seinem ersten Kommen angebrochen ist, zu vollenden.

Man kann dem Briefschreiber durchaus vorwerfen, dass er kaum Argumente vorbringt, um seine Position zu stärken. Anders als Paulus, der immer theologisch argumentiert, beschränkt sich der Verfasser des zweiten Petrusbriefes darauf, sich mit dem Namen des ersten Apostels zu schmücken. Er sagt im Grunde nur: Der Glaube, den ich vertrete, ist der Glaube der Apostel, der Augenzeugen Jesu. Und deshalb ist er der richtige Glaube.

Das klingt ein bisschen dünn. Und doch: Kann man wirklich viel mehr und anderes sagen? Wir leben heute in einer Welt des religiösen Pluralismus, die der im römischen Reich von damals wohl gar nicht so unähnlich ist. Auch wir sind mit den verschiedensten religiösen Strömungen konfrontiert. Welche Strömung ist die richtige? Wie soll man beurteilen, welcher Glaube wahr ist und welcher falsch? Vielleicht liegt mir persönlich eine Lehre näher als eine andere. Vielleicht finde ich einen Lehrer, einen Pastor, einen Priester sympathischer als einen anderen. Aber können das die entscheidenden Kriterien sein?

Letztlich lässt sich die Wahrheit eines Glaubens nicht beweisen, sie lässt sich nur bezeugen. 

Und genau das tut der Briefschreiber, wenn auch unter falschem Namen. Er erzählt, was wir vorhin bei der Lesung des Evangeliums schon einmal gehört haben: Wie Jesus auf einem Berg verklärt wurde. Bei der Evangeliumslesung haben wir die Version des Matthäus gehört. Auch er war kein Augenzeuge des Geschehens, sowenig wie Markus und Lukas, die dasselbe berichten. Der Briefschreiber erzählt aus der Perspektive des Petrus: „Wir haben seine Herrlichkeit selber gesehen“ schreibt er. Das stimmt nicht, wie wir wissen, jedenfalls nicht als biographische Aussage. Aber er nimmt damit Bezug auf eine Grunderfahrung, auf der letztlich die ganze Kirche ruht, und zwar nicht nur die Lutherische und die anderen protestantischen Kirchen, sondern auch die Katholische und die Orthodoxe. Es ist die Erfahrung, die die Apostel mit Jesus Christus gemacht haben, mit seinem Leben, seinem Sterben und seiner Auferstehung. Weil ihr Glaube auf dieser Grunderfahrung ruht, nennen sie sich apostolische Kirchen, und bekennen diesen apostolischen Glauben in jedem Gottesdienst im Glaubensbekenntnis.

Mehr als die Grunderfahrung der Apostel, der Jünger Jesu haben wir nicht. Wie diese Erfahrung ursprünglich im biographischen Sinn ausgesehen hat, wissen wir nicht. Einen persönlichen Bericht haben wir nur von Paulus, der sich als den letzten der Apostel bezeichnet – er aber ist Jesus vor seiner Auferstehung nie begegnet. Die Erfahrungen der anderen haben ihren Niederschlag gefunden zunächst in den Erzählungen der Evangelien und sind später im Glaubensbekenntnis fixiert worden.

Das sieht nach einem ziemlich unsicheren Fundament aus, und doch: es trägt. Es trägt deshalb, weil der Glaube nicht einfach Zustimmung zu vorgegebenen Aussagen ist. Der Glaube spricht das, was er hört, nicht einfach nach. Das Zeugnis der Apostel weckt vielmehr den persönlichen Glauben in denen, die es annehmen. Diejenigen, die so zum Glauben finden, werden selbst zu Zeugen für andere. Natürlich können auch andere Einflüsse dazu kommen. Um herauszufinden, ob man noch auf dem Grund des apostolischen Zeugnisses steht, gibt es letztlich kein anderes Mittel als immer wieder  in der Bibel nachzusehen.

Das ist letztlich auch das, was der Verfasser des zweiten Petrusbriefes nahelegt. Zu seiner Zeit gab es noch kein Neues Testament, die Bibel bestand aus den Schriften des Alten Testaments. Die aber nennt er „prophetisches Wort“ und er schreibt seinen Lesern, dass sie darauf achten sollen als auf „ein Licht, das da scheint an einem dunklen Ort, bis der Tag anbreche und der Morgenstern aufgehe in euren Herzen.“ 

Wie kommt jemand dazu an Jesus Christus zu glauben? Es gibt kein Rezept, das sich 1:1 in die Wirklichkeit umsetzen ließe. Christlicher Glaube ist mehr als eine Überzeugung, er ist eine persönliche Beziehung zu Jesus. In der Bibel kann man einiges über Jesus erfahren, zum Beispiel dass er sich nicht selbst als Messias präsentiert hat, sondern Gott Vater, „die große Herrlichkeit“ wie es im zweiten Petrusbrief heißt, hat ihn den Jüngern sozusagen präsentiert: „Dies ist mein lieber Sohn, an dem ich Wohlgefallen habe.“ Bedeutsam wird das aber wohl erst, wenn einer angefangen hat zu glauben. Der Glaube an den Sohn Gottes wird seit 2000 Jahren von einem zum andern weitergegeben. Vielen ist er zum „Morgenstern“ geworden, der im Herzen aufgegangen ist. Und am Ende, so glauben wir, wird sich die damit verbundene Hoffnung bewahrheiten, dass nämlich der Tag anbricht und sich das vollendet, was mit Jesus begonnen hat.

Pfarrer Heiner Bludau