09.01.2022 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 9 gennaio 2022

ore 11

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino


1ª domenica dopo l’Epifanìa

Giovanni 1,15-18

Grafica - Graphik: Pfeffer
Grafica - Graphik: Pfeffer

Wo und Wann?


Sonntag, 9 gennaio 2022

11 Uhr

Kirche San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino 


1. Sonntag nach Epiphanias

Johannes 1,15-18



Testo della Predica


Cara comunità!

L’inizio del nuovo anno è alle nostre spalle ormai da più di una settimana, ma questo è il primo culto di quest’anno che celebriamo insieme. Immagino che la maggioranza di noi porti ancora con sé la domanda su che cosa riserverà il nuovo anno.

Una risposta chiara a questa domanda la potremo avere soltanto alla fine dell’anno appena iniziato. È importante però renderci conto già adesso di come ci dobbiamo comportare verso quello che ci succederà, qualsiasi cosa sia.

Non sappiamo ancora come si evolverà la pandemia della quale stiamo vivendo la quarta o quinta ondata. Sarà possibile tenere sotto controllo il virus quest’anno o ci dovremo abituare a vivere con lui? E che cosa significa per ognuna e ognuno di noi?... Come si svilupperà il riscaldamento climatico? E dove porterà il comportamento che mette in dubbio una convivenza pacifica, sia in rapporto a tutti i paesi su tutta la terra, sia in rapporto alla società nella quale viviamo?

Non esistono però soltanto aspettative minacciose che dobbiamo affrontare; personalmente per esempio quest’anno mi attende il pensionamento e me ne rallegro. Una delle nostre figlie aspetta un secondo bambino. E spero che anche ognuna e ognuno di voi attenda o speri qualcosa di piacevole per sé.

Anche con le cose positive però dovremo saperci fare. Per quanto mi riguarda, il passaggio alla pensione comporterà di sicuro anche alcune sfide. Come devo reagire a esse in modo che non rimangano solo delle belle aspettative, ma si apra una via che posso davvero percorrere con gioia?

Per trovare una risposta in mérito devo ampliare le riflessioni. Non basta rimanere fermi al proprio stato d’animo. I testi biblici sulla festa dell’Epifania che abbiamo sentito offrono una buona cornice per questo anche se forse di primo acchito questa può sembrare non avere niente a che fare con noi personalmente.

Il passo dal Libro di Isaia parla della luce: “Infatti, ecco, le tenebre coprono la terra e una fitta oscurità avvolge i popoli; ma su di te sorge il SIGNORE e la sua gloria appare su di te”, ma si rivolge veramente a noi? Perlomeno in origine di sicuro no. Il brano è del periodo nel quale tanti cittadini di Gerusalemme erano tornati nella loro città dall’esilio in Babilonia. Questo ritorno era legato a grandi speranze, ma poi la vita di nuovo a Gerusalemme si rivelò essere molto deludente. L’economia era a terra e mancava l’energia per ricostruire le rovine.

In questa situazione Isaia promette in nome di Dio la luce, e non solo agli abitanti della città di Gerusalemme. “Le nazioni cammineranno alla tua luce, i re allo splendore della tua aurora”. Questo “pellegrinaggio dei popoli” lo si trova anche in altri libri dell’Antico Testamento. Israele si è sempre trovato sotto la minaccia di altri popoli, soprattutto delle grandi potenze Assiria, Babilonia ed Egitto. Il “pellegrinaggio dei popoli” annuncia che questa minaccia si tramuterà nel suo contrario: i popoli non torneranno per conquistare e distruggere Gerusalemme, bensì vi arriveranno per trovare e realizzare la pace mondiale. Questo aiuterà da una parte il popolo Israele e dall’altra il mondo intero.

Purtroppo però così come viene annunciato nell’Antico Testamento non è mai successo: fino ad oggi Gerusalemme è un centro di conflitti e non un luogo di pace. Il Nuovo Testamento apre invece una nuova prospettiva. Riprende la promessa dell’Antico Testamento, ne descrive la realizzazione, ma in forma totalmente diversa. Nel vangelo che abbiamo sentito oggi arrivano tre “magi” dall’Oriente in Israele e cercano “il neonato re dei Giudei”. In diverse tradizioni cristiane non si parla di magi, bensì dei “tre re magi”. Potrebbero quindi essere identificati con i re che vengono menzionati nel brano di Isaia. Ma anche se non fosse questo il caso e si trattasse di “magi” e non di “re”, essi rappresentano altri popoli. E questi magi trovano il “re dei Giudei” non nel palazzo reale della capitale Gerusalemme, ma nella città di provincia Betlemme. Già da qui si capisce che la realizzazione delle promesse dell’Antico Testamento che cercano si realizzano evidentemente in modo molto diverso da come ci si aspettava.

Nel Vangelo di Giovanni il “re dei Giudei” viene descritto diversamente di come ci si aspetta da un regnante umano. Nel primo capitolo si dice di lui:

Giovanni gli ha reso testimonianza, esclamando: «Era di lui che io dicevo: "Colui che viene dopo di me mi ha preceduto, perché era prima di me. Infatti, dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia"». Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo. Nessuno ha mai visto Dio; l'unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l'ha fatto conoscere. 

Ciò che è successo 2000 anni fa in Israele corrisponde quindi senz’altro alle promesse dell’Antico Testamento: “su di te sorge il SIGNORE e la sua gloria appare su di te”, ma d’altro canto non così come ce lo si aspettava. La luce cambia solo poco la situazione esteriore del mondo. La pace sulla nostra terra la aspettiamo ancora oggi. E anche se non c’è più la peste che imperversava nel Medioevo, veniamo confrontati con il Covid-19.

Il re che è nato a Betlemme non è un sovrano potente secolare che avrebbe imposto nuove condizioni politiche. Egli non è però di meno di un tale regnante, egli è molto di più. Egli è “l’unigenito”, il solo figlio di Dio nato nel quale sia presente Dio stesso. Ed egli non si presenta come un sovrano per le condizioni esteriori, ma permette a ognuno una nuova prospettiva interiore, un altro sguardo sul mondo e sulla vita. Dio non lo può vedere nessuno, l’esistenza di Dio si può mettere in dubbio e negare. Però tramite il Cristo nato a Betlemme, tramite il quale Dio si è manifestato a noi, nasce una relazione assolutamente diversa verso Dio per coloro che credono in lui.

A metà del passo si fa riferimento all’Antico Testamento: “Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo”, viene detto lì. Mosè è stato il più grande di tutti quelli che hanno annunciato a Israele la volontà di Dio. Egli è stato la guida del popolo di Dio dalla schiavitù verso la libertà. Ed egli ha ricevuto da Dio la Legge sul Monte Sinai che è contenuta nei primi cinque libri della Bibbia e che viene considerata fino a oggi la legge sacra nell’ebraismo. Gli uomini hanno però sempre fallito nel tentativo di seguire questa legge e quindi di vivere secondo la volontà di Dio. Poi però è successo quello di cui si tratta oggi: in Cristo non è apparso un nuovo Mosè o un altro profeta, Dio stesso è apparso come salvatore in suo figlio Gesù Cristo; non ha posto nuove condizioni, ma ha rivelato il suo amore e dedizione verso gli esseri umani e questa è la verità su Dio che ci viene trasmessa per mezzo suo.

Grazia” viene chiamata questa dedizione e amore di Dio e noi siamo invitati a farci trasportare da questa grazia nella nostra vita; essa scorre dalla fede in Gesù Cristo come una corrente che non finisce mai. Dalla “pienezza” di quello che Gesù Cristo ha portato nel mondo possiamo ricevere “grazia su grazia”. E quando questo succede non ci orientiamo più verso le richieste della legge e le sfide con le quali veniamo confrontati, anche se senz’altro non ignoriamo né le une né le altre. Prendiamo però la base per le decisioni davanti alle quali ci troviamo e la forza per vivere di conseguenza queste decisioni dall’amore e dalla dedizione di Dio. La grazia di Dio diventa quindi la verità fondamentale che imposta la nostra vita.

Questa è la risposta alla domanda che ho posto all’inizio: come ci dovremmo comportare con ciò che ci aspetta nel nuovo anno, che sia minaccioso o lieto? Siamo invitati ad andargli incontro in modo molto pacato. La gioia in questo modo non viene ridotta, anzi. La paura ci viene però tolta, o perlomeno ridotta. Naturalmente le nostre emozioni rimangono presenti, ma non abbiamo bisogno di farci guidare da esse, bensì – appunto – dalla grazia di Dio.

E questa grazia non è un pensiero astratto. È reale come ciò che viviamo: non la incontriamo solo nell’ascoltare la Parola di Dio e nel rifletterci su, bensì in modo molto fisico nel mangiare e nel bere la Santa Cena che celebreremo dopo.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Grafica - Graphik: Martin
Grafica - Graphik: Martin
Grafica - Graphik: Dathe
Grafica - Graphik: Dathe

Predigttext


Liebe Gemeinde!

Der Beginn des neuen Jahres liegt nun schon mehr als eine Woche zurück. Aber es ist der erste Gottesdienst in diesem Jahr, den wir heute miteinander feiern. Ich nehme an, dass die meisten unter uns die Frage noch bei sich tragen, was das neue Jahr wohl bringen wird. 

Eine eindeutige und zutreffende Antwort auf diese Frage wird sich erst am Ende dieses Jahres ergeben. Aber schon jetzt ist es wichtig, sich darüber klar zu werden, wie wir denn mit dem umgehen sollen, was da auf uns zukommt, was immer es auch sein mag.

Noch wissen wir nicht, wie die Pandemie, deren vierte oder fünfte Welle wir gerade erleben, sich weiterentwickeln wird. Wird es gelingen, den Virus in diesem Jahr unter Kontrolle zu bringen, oder werden wir uns daran gewöhnen müssen, mit ihm zu leben? Und was bedeutet das konkret für jede Einzelne und jeden Einzelnen unter uns? – Wie wird sich die Klimaerwärmung weiterentwickeln? Und wohin wird das Verhalten führen, das ein friedliches Zusammenleben in Frage stellt, sowohl im Blick auf alle Länder auf der ganzen Erde, als auch im Blick auf die Gesellschaft, in der wir leben?

Aber es gibt ja nicht nur bedrohliche Erwartungen, mit denen wir umgehen müssen. Mich zum Beispiel erwartet in diesem Jahr die Pensionierung, und darauf freue ich mich. Eine unserer Töchter erwartet ihr zweites Kind. Und ich hoffe, dass auch jede und jeder von Euch auf etwas wartet oder hofft, was ihr oder ihm Freude macht.  

Auch mit den erfreulichen Dingen werden wir allerdings richtig umgehen müssen. Was mich betrifft: Der Übergang in den Ruhestand wird sicherlich auch bestimmte Herausforderungen an mich stellen. Wie soll ich auf sie reagieren, damit es nicht bei der freudigen Erwartung bleibt, sondern sich ein Weg öffnet, den ich tatsächlich mit Freude gehen kann?

Um eine Antwort darauf zu finden, muss ich die Überlegungen ausweiten. Es genügt nicht, bei der eigenen Befindlichkeit stehen zu bleiben. Die Bibeltexte zum Epiphaniasfest, die wir gehört haben, bieten dafür einen guten Rahmen, auch wenn dieser vielleicht zunächst so wirkt, als hätte er gar nichts mit uns persönlich zu tun.

Der Abschnitt aus dem Buch des Jesaja spricht vom Licht. „Siehe, Finsternis bedeckt das Erdreich und Dunkel die Völker; aber über dir geht auf der HERR, und seine Herrlichkeit erscheint über dir.“ (Jesaja 60,2) Aber werden wirklich wir damit angesprochen? Ursprünglich jedenfalls sicherlich nicht. Der Abschnitt stammt aus der Zeit, als viele Bürger der Stadt Jerusalem aus dem Exil in Babylon in ihre Stadt zurückgekehrt waren. Diese Rückkehr war mit großen Hoffnungen verbunden gewesen. Aber dann erwies sich das Leben erneut in Jerusalem als sehr enttäuschend. Die Wirtschaft lag am Boden und es fehlte die Kraft, die Ruinen wieder aufzubauen.

In dieser Situation verspricht Jesaja im Namen Gottes das Licht, und zwar nicht nur den Bewohnern der Stadt Jerusalem. „Die Völker werden zu deinem Lichte ziehen und die Könige zum Glanz, der über dir aufgeht.“ Diese „Völkerwallfahrt“ ist auch in anderen Büchern des Alten Testaments zu finden. Israel stand immer unter der Bedrohung anderer Völker, vor allem der Großmächte Assyrien, Babylonien und Ägypten. Die „Völkerwallfahrt“ kündigt an, dass diese Bedrohung in ihr Gegenteil umschlägt. Die Völker werden nicht wieder kommen, um Jerusalem zu erobern und zu zerstören, sondern sie werden kommen um dort den weltweiten Frieden zu finden und zu realisieren. Das wird einerseits dem Volk Israel helfen, und andererseits der ganzen Welt.

Doch so, wie es im Alten Testament angekündigt wurde, ist es nie geschehen. Bis heute ist Jerusalem ein weltweites Zentrum von Konflikten und kein Ort des Friedens. Das Neue Testament hingegen eröffnet eine neue Perspektive. Sie nimmt die Verheißung des Alten Testaments auf, beschreibt deren Umsetzung aber in ganz anderer Form. In dem Evangelium, das wir heute gehört haben, kommen drei „Weise“ aus dem Orient nach Israel und suchen „den neugeborenen König der Juden“. (Matthäus 2,2) In verschiedenen christlichen Traditionen ist dabei nicht von Weisen die Rede, sondern von den „heiligen drei Königen“. Damit könnten sie identifiziert werden mit den Königen, die in dem Abschnitt von Jesaja erwähnt werden. Aber auch wenn das nicht der Fall ist, und es sich um „Weise“ handelt, so repräsentieren sie doch andere Völker. Und diese Weisen finden den „König der Juden“ nicht im Königspalast der Hauptstadt Jerusalem, sondern in der Provinzstadt Bethlehem. Schon damit wird deutlich, dass die Erfüllung der Verheißungen des Alten Testaments, die sie suchen, sich offenbar ganz anders realisiert, als es erwartet wurde. 

Im Johannesevangelium wird der „König der Juden“ dann auch ganz anders beschrieben, als man es sich von einem menschlichen Herrscher erwartet. Im ersten Kapitel heißt es von ihm: 

Johannes zeugt von ihm und ruft: Dieser war es, von dem ich gesagt habe: Nach mir wird kommen, der vor mir gewesen ist; denn er war eher als ich.

Von seiner Fülle haben wir alle genommen Gnade um Gnade.  Denn das Gesetz ist durch Mose gegeben; die Gnade und Wahrheit ist durch Jesus Christus geworden.  Niemand hat Gott je gesehen; der Eingeborene, der Gott ist und in des Vaters Schoß ist, der hat es verkündigt.

Was da vor 2000 Jahren in Israel geschehen ist, entspricht also einerseits durchaus den Verheißungen des Alten Testaments: „Über dir geht auf der HERR, und seine Herrlichkeit erscheint über dir.“ (Jesaja 60,2b) Aber andererseits nicht so, wie es erwartet wurde. Das Licht verändert die äußere Situation der Welt nur wenig. Auf den Frieden auf unserer Erde warten wir auch heute noch. Und wenn auch die Pest, wie sie im Mittelalter gewütet hat, heute nicht mehr wirksam ist, so sind wir doch mit Covid 19 konfrontiert.

Der König, der in Bethlehem geboren wurde, ist kein mächtiger weltlicher Herrscher, der für neue politische Verhältnisse gesorgt hätte. Er ist aber auch nicht weniger als solch ein Herrscher, sondern er ist viel mehr. Es ist der „Eingeborene“, der einzig geborene Sohn Gottes, in dem Gott selbst präsent ist. Und er tritt nicht auf als ein Herrscher über die äußeren Verhältnisse, sondern er ermöglicht jedem Menschen eine neue innere Perspektive, einen anderen Blick auf die Welt und das Leben. Sehen kann Gott niemand, die Existenz Gott lässt sich bezweifeln und negieren. Aber über den in Bethlehem geborenen Christus, durch den Gott sich uns offenbart hat, entsteht ein ganz neues Verhältnis zu Gott für diejenigen, die an ihn glauben.  

In der Mitte des Abschnitts wird auf das Alte Testament Bezug genommen: „das Gesetz ist durch Mose gegeben; die Gnade und Wahrheit ist durch Jesus Christus geworden.“ heißt es dort. Mose war der größte von all denen, die Israel den Willen Gottes verkündet haben. Er war der Führer des Gottesvolkes aus der Knechtschaft in die Freiheit. Und er hat auf dem Berg Sinai von Gott das Gesetz empfangen, das in den ersten fünf Büchern der Bibel enthalten ist und bis heute im Judentum als das heilige Gesetz geachtet wird. Aber die Menschen sind immer wieder gescheitert bei dem Versuch, diesem Gesetz zu folgen und damit nach dem Willen Gottes zu leben. Doch dann ist geschehen, worum es heute geht: In Christus erschien nicht ein neuer Mose oder ein weiterer Prophet. Gott selbst ist als Retter in seinem Sohn Jesus Christus erschienen. Und er hat nicht neue Forderungen aufgestellt, sondern hat seine Liebe und Zuwendung zu den Menschen offenbart, und dies ist die Wahrheit über Gott, die uns durch ihn vermittelt wird.

Gnade“ wird diese Zuwendung und Liebe Gottes genannt, und wir sind eingeladen, uns von dieser Gnade in unserem Leben tragen zu lassen. Sie fließt aus dem Glauben an Jesus Christus wie ein nicht endender Strom. Aus der „Fülle“ dessen was Jesus Christus in unsere Welt gebracht hat, können wir „Gnade um Gnade“ empfangen. Und wenn dies geschieht, orientieren wir uns nicht länger an den Forderungen des Gesetzes und den Herausforderungen, mit denen wir konfrontiert werden, auch wenn wir beides keineswegs ignorieren. Wir beziehen aber die Grundlage für die Entscheidungen, vor denen wir stehen, und die Kraft diesen Entscheidungen entsprechend zu leben, aus Liebe und der Zuwendung Gottes. Die Gnade Gottes wird somit zur grundlegenden Wahrheit, die unser Leben gestaltet.

Das ist die Antwort auf die Frage, die ich eingangs gestellt habe: Wie sollen wir umgehen mit dem, was uns im neuen Jahr entgegen kommt, sei es bedrohlich oder sei es erfreulich? Wir sind eingeladen, ganz gelassen darauf zuzugehen. Die Freude wird dadurch nicht gemindert, im Gegenteil. Aber die Angst wird uns genommen, oder wenigstens reduziert. Natürlich bleiben unsere Gefühle präsent. Aber wir brauchen uns nicht von ihnen leiten lassen, sondern eben von der Gnade Gottes.

Und diese Gnade ist kein abstrakter Gedanke. Sie ist real wie dass, was wir erleben. Wir begegnen ihr nicht nur im Hören des Wortes Gottes und im Nachdenken darüber, sondern ganz körperlich beim Essen und Trinken im Heiligen Abendmahl, das wir heute im Anschluss feiern.

Pfarrer Heiner Bludau