24.12.2021 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Venerdì, 24 dicembre 2021

ore 16

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino


Vigilia di Natale

Tito 2,11-14 

Grafica - Graphik: Pfeffer
Grafica - Graphik: Pfeffer

Wo und Wann?


Freitag, 24. Dezember 2021

16 Uhr

Kirche San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino 


Heiligabend

Titus 2,11-14



Testo della Predica


Cara comunità!

Abbiamo appena ascoltato la storia del Natale dal Nuovo Testamento insieme a delle profezie dall’Antico Testamento e abbiamo cantato dei canti tradizionali di Natale. Questo è il fondamento della chiesa della festa natalizia.

Il Natale non consiste solo in luci colorate, farsi visita a vicenda, mangiare sontuosamente e scambiarsi dei regali. Tutto questo può evidenziare il significato della festa del Natale. Ci sono però anche delle cose in questo che distraggono piuttosto dal messaggio del Natale. Babbo Natale per esempio. Con il messaggio del Natale in realtà non ha niente a che fare, ma si trova spesso al posto del Bambin Gesù al centro dei festeggiamenti del Natale. Egli viene rappresentato come un portatore di regali, non crea però un collegamento con l’origine della festa del Natale.

Di questa origine parlano invece i brani biblici che abbiamo appena ascoltato. Eppure rimane la domanda: e che cosa significa questo per noi? A Betlemme è nato Gesù Cristo, un re, come dice Geremia, un Principe della pace, come è scritto in Isaia, un salvatore, come annuncia l’angelo ai pastori. Ma che cosa significa questo per noi? Veniamo governati in tutt’altro modo e dominati da tutt’altre cose, o no?

Il brano biblico per la predica della vigilia di Natale ci può aiutare a capire il messaggio del Natale. Leggo dalla Lettera di Tito nel secondo capitolo i versetti 11-14:

Infatti la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata, e ci insegna a rinunciare all'empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l'apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù. Egli ha dato se stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità e purificarsi un popolo che gli appartenga, zelante nelle opere buone.

La Lettera a Tito appartiene ai testi tardi del Nuovo Testamento, anche se come autore viene menzionato Paolo. Qui appaiono delle parole che non sono presenti nei testi più vecchi; per esempio la parola greca “Epifania” sulla base della quale nella traduzione si dice che la grazia di Dio si è “manifestata”. L’Epifania è un concetto che nel regno romano – nel quale venivano venerati tanti dei – definiva l’apparizione di divinità. In tale contesto la parola aveva però anche un significato politico poiché anche l’imperatore veniva venerato come divinità. E così anche l’insediamento al potere di un nuovo imperatore veniva definito Epifania.

In esso c’è una prima risposta importante alla domanda sul significato della festa del Natale per noi. Anche i profeti annunciavano l’inizio del governo di un nuovo signore, come abbiamo sentito. Non si tratta qui però di un imperatore o un altro presidente di governo secolare. Alcuni di loro aspirano anche oggi al potere assoluto e volentieri si farebbero venerare come degli dei. Ma anche coloro che regnano sulla base di principi democratici secondo il messaggio di Natale non sono coloro che devono determinare la nostra vita in modo esclusivo. Certo, li dobbiamo rispettare e in casi normali non ci dobbiamo opporre alle leggi statali. Ma l’orientamento per la nostra vita viene da un’altra parte. Ciò che è apparso a Natale è la salvifica grazia di Dio. Con la nascita di Gesù la grazia di Dio è diventata uomo. In unione con lui la grazia di Dio deve regnare su di noi, deve determinare la nostra vita. Questo dà senso alla nostra vita, ci rende liberi e lieti.

E che cosa provoca la grazia di Dio in noi concretamente? In che senso è “salvifica”? Ci riconcilia con Dio.

Noi viviamo separati da Dio. E questo non per una decisione personale con la quale ogni singola persona si sarebbe resa indipendente da Dio. No, tutta l’umanità è nata nella divisione da Dio e vi si è sviluppata. Certo, molte persone sono alla ricerca di Dio. Le religioni hanno determinato la storia dell’umanità e in molti paesi giocano ancora oggi un ruolo importante. Ma l’unione con Dio non si trova nel potere degli uomini. Lo sviluppo dell’umanità lo rende chiaramente visibile. L’umanità ha abbandonato la vita comune in equilibrio tra piante e animali. Ed essa inoltre provoca persino un surriscaldamento climatico catastrofico.

E questo non è iniziato soltanto negli ultimi decenni. La Bibbia descrive l’inizio di questa tendenza come il peccato originale di Adamo ed Eva. Qui non si tratta di un reato qualsiasi, bensì consiste nel fatto che Adamo ed Eva fuoriescono dalle indicazioni di Dio e si separano da Dio mangiando il frutto dell’albero della conoscenza. Con ciò inizia lo sviluppo dell’umanità. Ha senz’altro dei lati positivi: la conoscenza porta alla nascita della scienza e della tecnica, senza le quali noi oggi non ci potremmo assolutamente immaginare la nostra vita. Ma porta anche a conflitti, a guerre, alla distruzione del Creato e ad altre minacce che mettono continuamente in forse il futuro dell’umanità.

Una riconciliazione dell’umanità con il Creatore del mondo non è nel potere degli esseri umani. Solo Dio stesso può realizzare questa riconciliazione e lo fa venendo incontro agli uomini. Il culmine di questa azione riconciliatrice di Dio è che suo figlio si sia fatto uomo. In lui Dio non solo ci mostra la sua grazia, bensì assume la nostra forma umana.

In Gesù Cristo la separazione da Dio viene cancellata. Restiamo sì nel mondo così come è diventato, ma nel legame con Gesù Cristo ci è possibile una vita come l’hanno condotta Adamo ed Eva prima del peccato originale.

Questo è il significato più profondo del Natale. Nell’inno che canteremo dopo la predica nella sesta strofa si dice:

 

Ed oggi, Dio la porta già

dell’Eden apre ancor;

ha tolto l’angelo guardian.

A Dio lode, onor!

 

Ma naturalmente non è un atto magico. La grazia di Dio non è una formula magica. Nella Lettera a Tito viene detto che lei ci “insegna”. La parola greca “Paideia” che c’è dietro racchiude un concetto altamente sviluppato di un’evoluzione ideale dell’individuo attraverso la formazione. Anche i termini “moderazione” e “giustizia” nella lettera derivano da quest’idea. Ma qui il fondamento non è una qualche filosofia, bensì la grazia di Dio che si è manifestata. Essa istruisce gli esseri umani insegnandoci a non orientarci in base alle promesse attuali che incontriamo, bensì verso la volontà di Dio. E questo con “moderazione”, riflettendo quindi su ciò che è buono, ragionevole e d’aiuto. E con “giustizia”, che di fronte alla grazia significa non voler imporre le proprie idee di giustizia, bensì confidare nella giustizia di Dio. E “in modo santo”, cioè nell’accoglienza del legame con Dio che ci offre la sua grazia, rivolgendoci a lui nella preghiera sia con il ringraziamento che con suppliche, domande e dubbi.

Dio sovente ci sembra essere lontano. Riteniamo di essere in grado di sbrigarcela con il mondo e i suoi problemi e con i nostri impegni nella vita anche senza Dio. Che ci rivolgiamo a lui può succedere soltanto se incontriamo la sua grazia, quando ci viene vicinissimo in modo molto umano in Cristo. Allora può avvenire il miracolo che veniamo tirati fuori dal nostro egocentrismo e veniamo condotti nella libertà della comunione con Dio. E proprio questo è ciò che vuole realizzare il messaggio di Natale.

E quando questo avviene, si apre lo sguardo in avanti, verso il futuro. La speranza che questo aziona non consiste però nel fatto che riusciamo a raggiungere qualcosa di determinato, bensì consiste nella promessa di Dio che ciò che è iniziato con Gesù Cristo arriverà anche a conclusione.

In che modo questo succederà viene accennato nel passo della Lettera a Tito. Lì si parla del salvatore Gesù Cristo che “ha dato se stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità”. Questa passione, attraverso la quale egli ci fa diventare il suo popolo, diventa chiara nella descrizione della sua vita terrena. Gesù è tutt’altro che un modello per coloro che cercano il successo. Anzi, secondo il giudizio umano egli fallisce sulla croce. Questo non lo dobbiamo dimenticare nemmeno a Natale. La mangiatoia non è un’atmosfera romantica della sua nascita. Essa indica piuttosto la bassezza nella quale Gesù ha vissuto sin dall’inizio. In questo senso la mangiatoia e la croce vanno insieme. La sovranità di Dio si compie nella bassezza. Nell’inno che canteremo dopo si dice:

 

La sua potenza abbandonar

Ei vuol per lo squallor

ed umil servo diventar

il sommo Creator.

 

Questo cammino che ha percorso Gesù Cristo non è senz’altro senza relazione con coloro che lo seguono. Non è che anche noi dobbiamo temere di essere crocifissi, ma la miseria e gli insuccessi in questo mondo non ci separano da colui che ci ha preceduti. Alla fine però lui è risorto dai morti. Questa è la meta finale.

Siamo invitati a buone opere, si dice alla fine del passo. Non ci dobbiamo limitare ad aspettare la salvezza finale. Ma non dobbiamo neanche pensare di costruire la salvezza con le nostre opere buone. Si tratta piuttosto di accogliere la grazia di Dio che è apparsa salvifica a tutti gli esseri umani a Natale, e non accoglierla soltanto nella testa, bensì rispondere ad essa con tutta la propria vita.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Grafica - Graphik: Pfeffer
Grafica - Graphik: Pfeffer

Predigttext


Liebe Gemeinde!

Wir haben soeben die Weihnachtsgeschichte aus dem Neuen Testament in Verbindung mit verschiedenen Weissagungen der Propheten aus dem Alten Testament gehört und haben traditionelle Weihnachtslieder dazu gesungen. Das ist die kirchliche Grundlage des Weihnachtsfestes. 

Weihnachten besteht nicht nur aus bunten Lichtern, aus gegenseitigen Besuchen, einem Festessen und Geschenken. Das alles kann die Bedeutung des Weihnachtsfestes hervorheben. Es gibt aber auch Dinge dabei, die eher von der Weihnachtsbotschaft ablenken. Der Weihnachtsmann zum Beispiel. Er hat mit der Weihnachtsbotschaft im Grunde nichts zu tun. An Stelle des Christkinds steht er aber oft im Mittelpunkt von Weihnachtsfeiern. Er wird als Geber von Geschenken dargestellt, eine Verbindung zum Ursprung des Weihnachtsfestes stellt er aber nicht her.  

Von diesem Ursprung erzählen hingegen die Bibelabschnitte, die wir eben gehört haben. Dennoch bleibt die Frage: Und was bedeutet das für uns? In Bethlehem wurde Jesus Christus geboren, ein König, wie Jeremia sagt, ein Friede-Fürst, wie es bei Jesaja heißt, ein Heiland, wie der Engel den Hirten verkündigt. Aber was heißt das für uns? Wir werden doch auf ganz andere Weise regiert und von ganz anderen Dingen beherrscht, oder nicht? 

Der Bibelabschnitt für die Predigt am Vorabend von Weihnachten kann uns helfen, die Weihnachtsbotschaft zu verstehen. Ich lese aus dem Brief an Titus im 2. Kapitel die Verse 11-14:

Denn es ist erschienen die heilsame Gnade Gottes allen Menschen  und erzieht uns, dass wir absagen dem gottlosen Wesen und den weltlichen Begierden und besonnen, gerecht und fromm in dieser Welt leben  und warten auf die selige Hoffnung und Erscheinung der Herrlichkeit des großen Gottes und unseres Heilands, Jesus Christus,  der sich selbst für uns gegeben hat, damit er uns erlöste von aller Ungerechtigkeit und reinigte sich selbst ein Volk zum Eigentum, das eifrig wäre zu guten Werken.

Der Brief an Titus gehört zu den späten Texten im Neuen Testament, auch wenn als Autor der Apostel Paulus angegeben wird. Es erscheinen hier Worte, die in früheren Texten nicht vorkommen. Zum Beispiel das griechische Wort „Epiphanie“, auf dessen Grundlage es in der Übersetzung heißt, Gottes Gnade sei „erschienen“. Epiphanie ist ein Begriff, der im römischen Reich, in dem viele verschiedene Götter verehrt wurden, das Auftreten von Gottheiten bezeichnete. In diesem Zusammenhang hatte das Wort aber auch eine durchaus politische Bedeutung, denn auch der Kaiser wurde als Gottheit verehrt. Und so wurde der Herrschaftsantritt eines neuen Kaisers ebenfalls als Epiphanie bezeichnet.

Darin steckt eine erste wichtige Antwort auf die Frage nach der Bedeutung des Weihnachtsfestes für uns. Auch die Propheten verkündigten ja den Regierungsbeginn eines neuen Herrschers, wie wir gehört haben. Es geht hier aber nicht um einen Kaiser oder einen anderen weltlichen Regierungspräsidenten. Manche von ihnen streben auch heute nach absoluter Macht und würden sich gerne vergöttlichen lassen. Aber auch jene, die auf der Grundlage von demokratischen Prinzipien regieren, sind gemäß der Weihnachtsbotschaft nicht diejenigen, die unser Leben ausschließlich bestimmen sollen. Wir sollen sie durchaus achten und uns den staatlichen Gesetzen im Normalfall nicht entgegenstellen. Aber die Orientierung für unser Leben kommt von woanders her. Was an Weihnachten erschienen ist, ist die heilsame Gnade Gottes. Mit der Geburt von Jesus ist die Gnade Gottes Mensch geworden. In Verbindung mit ihm soll die Gnade Gottes über uns herrschen, soll unser Leben bestimmen. Das gibt unserem Leben Sinn, macht uns frei und froh.

Und was bewirkt die Gnade Gottes bei uns konkret? Inwiefern ist sie „heilsam“? Sie versöhnt uns mit Gott. 

Wir leben von Gott getrennt. Und dies nicht aufgrund einer persönlichen Entscheidung, mit der sich jede einzelne Person von Gott unabhängig gemacht hätte. Nein, die ganze Menschheit ist in der Trennung von Gott entstanden und hat sich in ihr entwickelt. Sicher, viele Menschen suchen nach Gott. Religionen haben die Geschichte der Menschheit geprägt und spielen in vielen Ländern auch heute noch eine wichtige Rolle. Aber die Verbindung mit Gott liegt nicht in der Macht der Menschen. Die Entwicklung der Menschheit macht das klar sichtbar. Die Menschheit ist ausgestiegen aus dem ausgeglichenen Zusammenleben von Pflanzen und Tieren. Und sie bewirkt sogar darüber hinaus eine katastrophale Erwärmung des Klimas. 

Und dies hat nicht erst in den letzten Jahrzehnten begonnen. Die Bibel beschreibt den Anfang dieser Entwicklung als den Sündenfall von Adam und Eva. Die Sünde ist dabei nicht irgendein Verbrechen, sondern sie besteht darin, dass Adam und Eva aus den Vorgaben Gottes heraustreten und sich durch das Essen der Frucht des Baumes der Erkenntnis von Gott trennen. Damit beginnt die Entwicklung der Menschheit. Sie hat durchaus positive Seiten: Die Erkenntnis führt zur Entstehung von Wissenschaft und Technik, ohne die wir uns unser Leben heute gar nicht vorstellen könnten. Aber sie führt auch zu Konflikten, zu Kriegen, zur Zerstörung der Schöpfung und zu anderen Bedrohungen, die die Zukunft der Menschheit immer wieder in Frage stellen.

Eine Versöhnung der Menschheit mit dem Schöpfer der Welt liegt nicht in der Macht der Menschen. Nur Gott selbst kann diese Versöhnung bewirken, und er tut es, indem er der Menschheit entgegenkommt. Der Höhepunkt dieses versöhnenden Handelns Gottes ist die Menschwerdung seines Sohnes. In ihm zeigt uns Gott nicht nur seine Gnade, sondern sie nimmt unsere menschliche Gestalt an. 

In Jesus Christus wird die Trennung von Gott aufgehoben. Wir bleiben zwar in der Welt, so, wie sie sich entwickelt hat, aber in der Verbindung mit Jesus Christus wird uns ein Leben möglich, wie Adam und Eva es vor dem Sündenfall geführt haben. 

Das ist die tiefste Bedeutung von Weihnachten. In dem Lied, das wir nach der Predigt singen werden (Innario 113) heißt es in der 6. Strophe:

 

Heut schließt er wieder auf die Tür

zum schönen Paradeis;

der Cherub steht nicht mehr dafür.

Gott sei Lob, Ehr und Preis!

 

Aber natürlich ist das kein magischer Akt. Die Gnade Gottes ist keine Zauberformel. Im Brief an Titus heißt es von ihr, dass sie uns „erzieht“. Das griechische Wort „Paideia“, das dahinter steht, beinhaltet ein hoch entwickeltes Konzept einer idealen Entwicklung des Individuums durch Bildung. Auch die Begriffe „Besonnenheit“ und „Gerechtigkeit“ im Brief stammen aus diesem Konzept. Aber hier ist nicht irgendeine Philosophie die Grundlage, sondern die Gnade Gottes, die erschienen ist. Sie erzieht den Menschen dadurch, dass sie uns lehrt, uns nicht an den aktuellen Versprechungen zu orientieren, denen wir begegnen, sondern an dem Willen Gottes. Und dies mit „Besonnenheit“, also indem wir bedenken, was gut, vernünftig und hilfreich ist. Und mit „Gerechtigkeit“, was angesichts der Gnade bedeutet, nicht die eigenen Vorstellungen von Gerechtigkeit durchsetzen zu wollen, sondern sich auf die Gerechtigkeit Gottes zu verlassen. Und mit „Frömmigkeit“, also in der Aufnahme der Verbundenheit mit Gott, die uns seine Gnade anbietet, indem wir uns sowohl mit Dank als auch mit Bitten, Fragen und  Zweifeln im Gebet an ihn wenden.   

Gott scheint uns oft weit entfernt zu sein. Wir meinen, mit der Welt und ihren Problemen und mit unseren Lebensaufgaben auch ohne Gott fertig werden zu können. Dass wir uns zu ihm wenden, kann nur geschehen, wenn wir seiner Gnade begegnen, wenn er uns in Christus ganz menschlich nahe kommt. Dann kann das Wunder geschehen, dass wir herausgezogen werden aus unserer Ichbezogenheit und hineingeführt werden in die Freiheit der Gemeinschaft mit Gott. Und genau das will die Weihnachtsbotschaft bewirken.

Und wenn dies geschieht, öffnet sich der Blick nach vorne, in die Zukunft. Die Hoffnung, die dies bewirkt, besteht aber nicht darin, dass es uns gelingt, irgendetwas Bestimmtes zu erreichen. Sondern sie besteht in der Zusage Gottes, dass das, was mit Jesus Christus begonnen hat, auch zur Vollendung kommen wird.

Auf welche Weise dies geschehen wird, ist in dem Abschnitt aus dem Titusbrief immerhin angedeutet. Vom Heiland Jesus Christus ist dort die Rede, „der sich selbst für uns gegeben hat, damit er uns erlöste von aller Ungerechtigkeit“. Diese Hingabe, durch die er uns zu seinem Volk macht, wird in der Beschreibung seines irdischen Lebens sichtbar. Jesus ist alles andere als ein Vorbild für Menschen, die nach Erfolg suchen. Im Gegenteil, nach menschlichem Urteil scheitert er am Kreuz. Das dürfen wir auch an Weihnachten nicht vergessen. Die Krippe ist kein romantisches Flair seiner Geburt. Sie weist vielmehr auf die Niedrigkeit hin, in der Jesus von Anfang an gelebt hat. In diesem Sinn gehören Krippe und Kreuz zusammen. Die Hoheit Gottes vollendet sich in der Niedrigkeit. In dem Lied, das wir nachher singen werden heißt es:

 

„Er äußert sich all seiner G’walt,

wird niedrig und gering

und nimmt an eines Knechts Gestalt,

der Schöpfer aller Ding.“

 

Dieser Weg, den Jesus Christus gegangen ist, ist sicher nicht ohne Beziehung zu denen, die ihm folgen. Nicht dass wir fürchten müssen, ebenfalls gekreuzigt zu werden. Aber Nöte und Misserfolge in dieser Welt trennen uns nicht von dem, der uns vorausgegangen ist. Am Ende aber ist er auferstanden von den Toten. Das ist das endgültige Ziel. 

Wir sind eingeladen zu guten Werken heißt es am Ende des Abschnitts. Wir sollen uns nicht darauf beschränken, auf das endgültige Heil zu warten. Aber wir sollen auch nicht meinen, dass wir mit unseren guten Werken das Heil aufbauen würden. Es geht vielmehr darum, dass die Gnade Gottes, die an Weihnachten heilsam allen Menschen erschienen ist, anzunehmen und sie nicht nur im Kopf aufzunehmen, sondern mit dem ganzen Leben darauf zu antworten. 

Pfarrer Heiner Bludau

Grafica - Graphik: Plaßmann
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