12.12.2021 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 12 dicembre 2021

ore 11

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino


3ª domenica dell’Avvento

1 Corinzi 4,1-5 

Foto: Wodicka - Okapia
Foto: Wodicka - Okapia

Wo und Wann?


Sonntag, 12. Dezember 2021

11 Uhr

Kirche San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino 


3. Sonntag im Advent

1. Korinther 4,1-5



Testo della Predica


Cara comunità!

Dio farà valere la sua giustizia. È questo il tema di oggi, terza domenica d’Avvento. Nelle letture di oggi abbiamo sentito come l’affermazione della giustizia di Dio sia stata annunciata più di 2500 anni fa dal Profeta Isaia e come questa sia stata interpretata da Zaccaria, il padre di Giovanni il Battista. Nel periodo dell’Avvento guardiamo ora verso Gesù. Con lui si è diffusa la speranza nella giustizia di Dio in tutto il mondo. Lui stesso la trasmette nella sua persona. Ma come la dobbiamo interpretare noi? E come ci dovremmo comportare nei confronti del messaggio che la giustizia di Dio viene a noi in Gesù Cristo? Abbiamo appena cantato “Com’è che si conviene ch’io ti riceva, allor?”. Come ci dobbiamo comportare verso Gesù Cristo e quale è la prospettiva di questo comportamento?

In un passo dalla prima Lettera alla Comunità di Corinto l’Apostolo Paolo dà una risposta esemplare a queste domande in riferimento alla sua propria persona. Leggo dalla prima Lettera ai Corinzi, capitolo 4, i versetti 1-5:

1 Così ognuno ci consideri servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. 2 Del resto, quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele. 3 A me poi pochissimo importa di essere giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, non mi giudico neppure da me stesso. 4 Infatti non ho coscienza di alcuna colpa; non per questo però sono giustificato; colui che mi giudica è il Signore. 5 Perciò non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio.

Per comprendere in modo corretto queste frasi si deve essere consapevoli del contenuto dei primi capitoli della Lettera ai Corinzi: Paolo si trova in conflitto con la Comunità di Corinto; egli critica il fatto che nella comunità ci siano delle divisioni. La comunità è divisa in diversi gruppi che fanno riferimento a persone diverse come loro capo. Paolo però dice che una comunità può avere soltanto un capo, più precisamente Cristo stesso. E coloro che nella comunità sono attivi in un ruolo di comando non sono altro che servitori di Cristo.

Questo è lo sfondo del passo che ho letto. Per colpa delle divisioni nella comunità Paolo non viene riconosciuto da tutti e forse viene persino rifiutato da alcuni. In proposito egli dice: “A me poi pochissimo importa di essere giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, non mi giudico neppure da me stesso”. Con ciò viene menzionato il tema della giustizia. Né il giudizio del suo prossimo né un tribunale umano secondo questa affermazione sono in fondo validi. Egli ritiene invece di competenza un altro tribunale, cioè quello tramite il quale Dio farà valere la sua giustizia.

Per farsi giudicare da questo tribunale bisogna avere una certa immagine di sé stessi. Paolo scrive: “Così ognuno ci consideri servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio”. Questo vale per tutti i cristiani. Siamo servitori e servitrici di Cristo e amministratori e amministratrici dei misteri di Dio. La cosa determinante in questo è che un servitore deve rendere conto soltanto al suo padrone, a nessun altro; deve chiedere solo quali sono le sue disposizioni, tutte le altre disposizioni sono secondarie. E un amministratore non è un proprietario. Se i “misteri di Dio” si riferiscono alla sua rivelazione in Gesù Cristo, e quindi si intende la Parola di Dio, noi cristiani siamo invitati a orientarci verso di essa. Non abbiamo però la verità in tasca come suoi possessori.

Paolo si presenta personalmente come un esempio di ciò. Per illustrare le sue affermazioni riprendo questo esempio per me personalmente.

In quanto pastore ho – come Paolo – il compito di annunciare la Parola di Dio. Le aspettative rivolte a un pastore non consistono però solo in questo, sono molte di più. Ho dei compiti di amministrazione nella comunità, da me ci si aspetta un certo comportamento verso il mio prossimo, soprattutto con i membri della comunità. Un pastore deve essere attraente nel suo comportamento e nelle sue parole, a volte ci si aspetta da lui anche un certo atteggiamento verso la società e la politica. E di sicuro ci sono anche altre aspettative. Soprattutto però deve avere successo.

E questo non vale soltanto per me come pastore. Tutti vengono messi a confronto con determinate aspettative. E a nessuno riesce di esaudirle tutte. Paolo però dice: “Così ognuno ci consideri servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Del resto, quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele”. Ci viene chiesto di essere fedeli a Gesù Cristo e a corrispondere a ciò di cui lui ci incarica. Con questo incarico dobbiamo dare forma alla nostra vita e con ciò amministrare fedelmente l’incarico.

Dove questo porti è piuttosto aperto. Dalla fedeltà dell’amministratore non si può predire con certezza il successo del suo servizio. Anzi, questo servizio svolto con fedeltà può anche portare a sofferenze, delusioni, ostilità, conflitti, in casi estremi persino al martirio.

D’altra parte, però, il servitore e amministratore di Gesù Cristo nel suo vincolo profondo ed esclusivo verso il suo signore è un uomo davvero libero. Paolo scrive: “A me poi pochissimo importa di essere giudicato da voi o da un tribunale umano”. Come si può stare così al di sopra dei rimproveri e delle condanne del proprio prossimo? Lo può fare in quanto come persona legata al suo signore è libero di fronte a qualsiasi condanna umana.

E la libertà va ancora oltre: così poco come è sottomesso al tribunale di altri, così poco è sottomesso al tribunale della sua propria coscienza. Per lui la coscienza non è la voce di Dio dentro di sé, bensì un auto-giudizio umano.

Questo è molto importante. Infatti non sono assolutamente solo le aspettative degli altri che ci mettono sotto pressione. Certo, che abbiamo successo se lo aspettano anche gli altri da noi, ma non siamo soprattutto noi stessi ad aspettarci di raggiungere un buon risultato in ciò per cui ci impegniamo? Mi sarei tanto augurato di riuscire negli undici anni e mezzo nei quali sono stato pastore finora a Torino a ingrandire la comunità. Non ci sono riuscito. Forse altri diranno: va be’, ti sei occupato di altre cose nella chiesa; e in una certa misura lo dico anche io a me stesso, ma questo non mi rende realmente libero.

È qualcos’altro a rendermi libero. Sono le parole dell’Apostolo Paolo verso le quali mi posso orientare: “…non mi giudico neppure da me stesso. Infatti non ho coscienza di alcuna colpa; non per questo però sono giustificato; colui che mi giudica è il Signore”. Secondo queste parole non mi posso e non mi devo autogiudicare secondo le mie proprie misure morali, bensì mi devo far giudicare e giustificare dal mio signore Gesù Cristo. Nemmeno se non avessi alcun problema con il giudizio di me stesso questo giudizio mi aiuterebbe. Ciò che mi aiuta è la giustificazione per mezzo di Dio solo nella fede senza le opere della legge.

Il Signore è colui che mi giudica. Soltanto in questa certezza della fede l’uomo può essere servitore di Cristo e amministratore della Parola di Dio, senza disperarsi per la sua debolezza e per il suo fallimento. E per questo motivo tutto il giudicare che c’è stato prima può essere rifiutato. “Non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore”, scrive Paolo.

Che cosa ci aspetta però, quando arriva, il Signore? Il giorno del Giudizio viene spesso rappresentato come minaccioso. Per molti cristiani è fonte di paura; essi temono di essere condannati. Martin Lutero scrive però nel Piccolo Catechismo: Credo che lo Spirito Santo “l’ultimo giorno risusciterà me e tutti i morti, e mi donerà, insieme ai credenti in Cristo, una vita eterna”. Questo è tutt’altro del dies irae, del giorno dell’ira. È la rivelazione definitiva della grazia, la meta del cammino di Dio con Gesù Cristo, il prevalere della giustizia di Dio. Paolo lo descrive come la venuta del Signore “il quale metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio”.

Né il biasimo né la lode con i quali veniamo confrontati nella nostra vita quotidiana sono determinanti. Soltanto il Giudizio di Dio è di verità e validità eterne. Questo giudizio però non è presente, bensì futuro. Si verificherà soltanto nel giorno del Giudizio. Tutto ciò che è nascosto viene alla luce, i pensieri dei cuori verranno rivelati. Allora sarà finalmente chiaro chi è stato davvero il fedele servitore di Cristo. Chi in questa fedeltà chiamerà il nome del Signore nel Giudizio sarà salvato. E poi ciascuno e ciascuna avrà la sua lode da Dio.

È inconcepibile come possa succedere una cosa del genere a noi. Eppure è la speranza dei credenti dagli inizi della Chiesa cristiana.

L’affermazione della giustizia di Dio deve ancora venire; noi possiamo però vivere già adesso in vista di lei e in sua aspettativa. Liberi e gioiosi possiamo vivere, nonostante tutte le difficoltà, le crisi e i conflitti nell’attesa di ricevere la lode di Dio.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Finalmente torno su terra solida sotto i piedi. 

Non le mie preoccupazioni o i miei desideri, ma neanche la mia forza performativa. 

Non quello che ho ottenuto con il lavoro, 

e tanto meno quello che non mi è riuscito. 

Non i miei successi e non ciò per cui devo chiedere scusa........

ma quello che Dio ha fatto per me. 

Su quello posso costruirci. 

Reinhard Ellsel

traduzione: Sabine Wolters


Predigttext


Liebe Gemeinde!

Gott wird seine Gerechtigkeit durchsetzen. Das ist das Thema des heutigen dritten Sonntags im Advent. In den heutigen Lesungen haben wir gehört, wie die Durchsetzung der Gerechtigkeit Gottes vor mehr als 2500 Jahren vom Propheten Jesaja angekündigt wurde und wie sie von Zacharias, dem Vater Johannes des Täufers, interpretiert wurde. In der Adventszeit schauen wir nun auf Jesus. Mit ihm hat sich die Hoffnung auf Gottes Gerechtigkeit in aller Welt verbreitet. Er selbst in seiner Person vermittelt sie. Wie aber sollen wir sie verstehen? Und wie sollen wir uns verhalten gegenüber der Botschaft, dass die Gerechtigkeit Gottes in Jesus Christus zu uns kommt? Wie soll ich dich empfangen? haben wir eben gesungen. Wie sollen wir uns verhalten gegenüber Jesus Christus, und was ist die Perspektive dieses Verhaltens?

In einem Abschnitt aus seinem ersten Brief an die Gemeinde in Korinth gibt der Apostel Paulus eine exemplarische Antwort auf diese Fragen in Bezug auf seine eigene Person. Ich lese aus dem 1. Korintherbrief, Kapitel 4, die Verse 1 bis 5.

1Dafür halte uns jedermann: für Diener Christi und Haushalter über Gottes Geheimnisse. 2Nun fordert man nicht mehr von den Haushaltern, als dass sie für treu befunden werden. 3Mir aber ist’s ein Geringes, dass ich von euch gerichtet werde oder von einem menschlichen Gericht; auch richte ich mich selbst nicht. 4Ich bin mir zwar keiner Schuld bewusst, aber darin bin ich nicht gerechtfertigt; der Herr ist’s aber, der mich richtet. 5Darum richtet nicht vor der Zeit, bis der Herr kommt, der auch ans Licht bringen wird, was im Finstern verborgen ist, und das Trachten der Herzen offenbar machen wird. Dann wird auch einem jeden von Gott Lob zuteilwerden.

 sprachen die Hirten untereinander: Lasst uns nun gehen gen Bethlehem und die Geschichte sehen, (…) die uns der Herr kundgetan hat. (Lukas 2,8-10.12-15)

Um diese Sätze richtig zu verstehen, muss man sich bewusst sein, worum es in den ersten Kapiteln des 1. Korintherbriefes geht. Paulus steht in einem Konflikt mit der Gemeinde in Korinth. Er kritisiert, dass es Spaltungen in der Gemeinde gibt. Die Gemeinde ist aufgespalten in verschiedene Gruppen, die sich auf verschiedene Personen als ihre Anführer beziehen. Paulus aber sagt: Eine Gemeinde kann nur einen Anführer haben, nämlich Christus selbst. Und diejenigen, die leitend in der Gemeinde tätig sind, sind nichts anderes als Diener Christi.

Dies ist der Hintergrund des Abschnitts den ich vorgelesen habe. Wegen der Spaltungen in der Gemeinde wird Paulus nicht von allen anerkannt und vielleicht sogar von manchen abgelehnt. Dazu sagt er nun: „Mir aber ist’s ein Geringes, dass ich von euch gerichtet werde oder von einem menschlichen Gericht;“ Damit wird das Thema Gerechtigkeit angesprochen. Weder das Urteil seiner Mitmenschen noch ein menschliches Gerichtsurteil ist nach dieser Aussage letztlich gültig. Er hält hingegen ein anderes Gericht für zuständig, nämlich das, durch welches Gott seine Gerechtigkeit durchsetzen wird. 

Um sich diesem Gericht zu stellen ist aber ein bestimmtes Selbstverständnis notwendig. Er schreibt: „Dafür halte uns jedermann: für Diener Christi und Haushalter über Gottes Geheimnisse.“ Das trifft für alle Christen zu. Wir sind Diener und Dienerinnen Christi und Haushalter und Haushalterinnen über Gottes Geheimnisse. Entscheidend ist dabei: Ein Diener ist nur seinem Herrn verantwortlich, nicht irgendwelchen anderen Menschen. Nur nach dessen Anweisungen hat er zu fragen. Alle anderen Anweisungen sind demgegenüber sekundär. Und ein Haushalter ist kein Besitzer. Wenn „Gottes Geheimnisse“ sich auf dessen Offenbarung in Jesus Christus beziehen und somit das Wort Gottes gemeint ist, dann sind wir Christen aufgefordert uns daran zu orientieren. Wir haben die Wahrheit aber nicht als deren Besitzer in unserer Tasche.

Paulus präsentiert sich dabei persönlich als ein Beispiel dafür. Um seine Aussagen zu verdeutlichen übernehme ich dieses Beispiel für mich. 

Als Pfarrer habe ich wie Paulus den Auftrag Gottes Wort zu verkünden. Die Erwartungen an einen Pfarrer bestehen aber keineswegs nur darin. Ich habe Leitungsaufgaben in der Gemeinde, man erwartet von mir einen bestimmten Umgang mit meinen Mitmenschen, vor allem mit den Gemeindegliedern. Ein Pfarrer soll in seinem Verhalten und in seinen Worten attraktiv sein, gelegentlich wird auch eine bestimmte Haltung gegenüber der Gesellschaft und der Politik von ihm erwartet. Und sicher gibt es noch weitere Erwartungen. Vor allem aber: er soll erfolgreich sein. 

Und das trifft nicht nur für mich als Pfarrer zu. Alle Menschen werden mit bestimmten Erwartungen konfrontiert. Und niemandem gelingt es, all diese Erwartungen zu erfüllen. Paulus aber sagt: „Dafür halte uns jedermann: für Diener Christi und Haushalter über Gottes Geheimnisse. Nun fordert man nicht mehr von den Haushaltern, als dass sie für treu befunden werden.“ Wir sind aufgefordert treu an Jesus Christus festzuhalten und dem zu entsprechen, womit er uns beauftragt. Mit diesem Auftrag sollen wir unser Leben gestalten und den Auftrag somit treu verwalten.

Wohin das führt ist ziemlich offen. Der Treue des Verwalters ist nicht ohne Weiteres der Erfolg seines Dienstes verheißen. Im Gegenteil, solch ein treuer Dienst kann auch ins Leiden führen, in Enttäuschungen, in Anfeindungen, in Konflikte, im Extremfall sogar ins Martyrium.

Andererseits aber ist der Diener und Haushalter Jesu Christi in seiner tiefen und ausschließlichen Gebundenheit an seinen Herrn ein wahrhaft freier Mensch. Paulus schreibt: Es macht mir nicht das Geringste aus, wenn ich von euch gerichtet werde oder von einem menschlichen Gericht. Wie kann man so souverän über den Vorwürfen und Verurteilungen seiner Mitmenschen stehen? Er kann es , weil er als der an seinen Herrn Gebundene jeder menschlichen Verurteilung gegenüber frei ist.

Und die Freiheit geht noch weiter: So wenig wie dem Gericht anderer Menschen, so wenig ist er dem Gericht seines eigenen Gewissens unterworfen. Für ihn ist das Gewissen nicht die Stimme Gottes in seinem Innern, sondern eine menschliche Selbstbeurteilung.

Das ist sehr wichtig. Denn es sind ja keineswegs nur die Erwartungen Anderer, die uns unter Druck setzen. Sicher: Dass wir erfolgreich sind, erwarten auch andere von uns. Aber erwarten nicht vor allem wir selbst von uns, dass wir mit dem, wofür wir uns einsetzen, ein gutes Ergebnis erzielen? Ich hätte mir sehr gewünscht, dass es mir gelungen wäre, in den 11 ½ Jahren, die ich bisher Pfarrer in Turin war, die Gemeinde zu vergrößern. Das ist mir nicht gelungen. Vielleicht sagen andere: Na ja, du hast dich ja um andere Dinge in der Kirche gekümmert. Und in einem gewissen Maß sage ich das auch zu mir selbst. Aber es macht mich nicht wirklich frei.

Frei macht mich etwas anderes. Es sind die Worte des Apostels Paulus, an denen ich mich orientieren kann: „auch richte ich mich selbst nicht. Ich bin mir zwar keiner Schuld bewusst, aber darin bin ich nicht gerechtfertigt; der Herr ist’s aber, der mich richtet.“ Demnach kann und soll ich mich nicht selbst prüfen an meinen eigenen moralischen Maßstäben, sondern soll mich prüfen und rechtfertigen lassen durch meinen Herrn Jesus Christus. Selbst wenn ich kein Problem mit der Beurteilung von mir selbst hätte, würde mir das nicht helfen. Was mir hilft, ist die Rechtfertigung durch Gott allein im Glauben ohne des Gesetzes Werke.

Der Herr ist’s, der mich richtet. Nur in dieser Gewissheit des Glaubens kann der Mensch Diener Christi und Haushalter des Wortes Gottes sein, ohne zu verzweifeln an seiner Schwachheit und an seinem Versagen. Und deshalb kann alles vorhergehende Richten abgelehnt werden. Richtet nicht vor der Zeit, ehe der Herr kommt, schreibt Paulus.

Was aber erwartet uns, wenn er kommt, der Herr? Das Gericht am Jüngsten Tag wird oft als bedrohlich dargestellt. Für viele Christen ist es eine Quelle der Angst. Sie fürchten, verurteilt zu werden. Martin Luther aber schreibt im Kleinen Katechismus: Ich glaube, dass der Heilige Geist „am Jüngsten Tag mich und alle Toten auferwecken wird und mir samt allen Gläubigen in Christus ein ewiges Leben geben wird.“ Das ist alles andere als der dies irae, der Tag des Zorns. Es ist die endgültige Offenbarung des Heils, das Ziel des Weges Gottes mit Jesus Christus, die Durchsetzung der Gerechtigkeit Gottes.

Paulus beschreibt es als das Kommen des Herrn, „der auch ans Licht bringen wird, was im Finstern verborgen ist, und das Trachten der Herzen offenbar machen wird. Dann wird auch einem jeden von Gott Lob zuteilwerden.“ 

Weder Tadel noch Lob, mit dem wir in unserem Alltag konfrontiert werden, ist maßgebend. Nur des Herrn Urteil im Gericht ist von ewiger Wahrheit und Gültigkeit. Dies Gericht aber ist nicht gegenwärtig, sondern zukünftig. Erst am Jüngsten Tag wird es vollzogen. Alles Verborgene kommt dabei ans Licht, alles Trachten des Herzens wird offengelegt. Dann wird endlich klar, wer der treue Diener Christi wirklich gewesen ist. Wer in dieser Treue den Namen des Herrn im Gericht anrufen wird, der wird gerettet werden. Und dann wird einem jeden und einer jeden von Gott Lob zuteilwerden.

Unbegreiflich wie so etwas mit uns geschehen kann. Aber es ist doch die Hoffnung der Glaubenden seit den Anfängen der christlichen Kirche. 

Die Durchsetzung der  Gerechtigkeit Gottes steht noch aus. Wir können aber jetzt schon leben im Blick auf sie und in Erwartung auf sie. Frei und fröhlich können wir leben, trotz aller Schwierigkeiten, Krisen und Konflikte in der Erwartung, dass uns Gottes Lob zuteilwerden wird.

Pfarrer Heiner Bludau