24.10.2021 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 24 ottobre 2021

ore 11

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino


Culto alla 21ª domenica dopo la Trinità

Giovanni 15,9-12

Foto: Lehmann
Foto: Lehmann

Wo und Wann?


Sonntag, 24. Oktober 2021

11 Uhr

Kirche San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino 


Gottesdienst am 21. Sonntag nach Trinitatis

Joh 15,9-12 



Testo della Predica


Come il Padre mi ha amato, così anch'io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa.

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. 

Cara comunità! 

Il tema di oggi è l’amore. L’amore... è una parola grossa. Una parola che qui in Italia gioca ancora un ruolo più importante che in Germania, ma forse è così solo in apparenza. Che sia in Italia o in Germania, tutti desiderano l’amore. Forse molti italiani esprimono di più questo desiderio, mentre in Germania è piuttosto poco popolare mostrarlo. Là si preferisce presentarsi indipendenti e non come qualcuno che ha bisogno dell’amore di altri. Eppure si sogna del grande amore là come qui, oggi come un tempo viene descritto nei romanzi e cantato nelle canzoni.

A volte c’è anche nella realtà il grande amore, ma c’è anche il contrario: la noncuranza, l’incomprensione e l’infedeltà nelle relazioni personali, la solitudine, la mancanza di riguardo e le pretese eccessive nelle famiglie. E inoltre c’è molta mancanza d’amore nei contesti più grandi nei quali viviamo: persone qui a Torino alle quali manca il minimo per vivere, mentre altre vivono nel superfluo; sul giornale leggiamo continuamente di fatti di violenza sulle donne in diversi luoghi d’Italia o vediamo immagini della guerra in altri luoghi del mondo; guerre in Paesi come la Siria nei quali la gente per generazioni ha vissuto piuttosto in pace e che adesso si combatte e si ammazza.

Non c’è soltanto l’amore in questo mondo, c’è anche il suo contrario: l’indifferenza o l’odio. E ci sono diversi tipi di amore: oltre all’amore romantico e passionale c’è l’amore verso il prossimo e persino l’amore verso i nemici.

Questo porta alla domanda “Di che cosa parla in realtà Gesù?” La risposta a questa domanda non è per niente facile, come invece potrebbe sembrare a prima vista poiché già nei due passi della Bibbia che abbiamo sentito nel culto egli parla – se lo si ascolta attentamente – di due forme diverse di amore. Nel Vangelo di oggi dice espressamente che si devono amare i nemici, e nel passo della Bibbia che ho appena letto dice ai suoi discepoli che si dovrebbero amare gli uni gli altri. Lì si tratta dunque dell’amore nella comunità di coloro che credono in Gesù, dell’amore all’interno della comunità cristiana. Tutte e due le volte, però, parla sotto forma di precetti: “Amate i vostri nemici!”… “Amatevi gli uni gli altri!”

L’amore lo si può imporre, ordinare? La Bibbia lo fa, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. “Ama il tuo prossimo!” è un comandamento centrale che unisce le due parti della Bibbia. E fino a un certo punto sembra anche essere palese: i sentimenti non possono essere imposti, ma alcuni comportamenti sì. E nell’amore per il prossimo si tratta prima di tutto di concedere un posto all’altro. Non devo pensare soltanto a me stesso, ma anche a chi mi sta accanto. Lo devo rispettare, devo tener presenti le sue esigenze, lo devo aiutare se necessario. Tutto questo lo posso fare senza esserne innamorato/a, senza provare per lui un’inclinazione affettuosa. Lo posso far valere come essere umano, posso riconoscere il suo diritto alla vita. Posso – solo per motivi della ragione – distanziarmi dal lottare contro di lui. Ci sono quindi senz’altro forme d’amore che non sono legate ai sentimenti; forme d’amore che si basano sulla ragione e la coscienza, e che quindi si possono anche raccomandare in un comandamento.

Ciononostante ho il sospetto che nell’insieme l’amore non lo si possa separare completamente dai sentimenti. E che, laddove questo succede, l’amore diventa o senza cuore e burocratico o – peggio ancora – i sentimenti che gli sono legati, che forse vanno in tutt’altra direzione, cercano la loro propria realizzazione: chi fa qualcosa soltanto comandato dalla testa o per senso del dovere verso un precetto ignorando i propri sentimenti o soffocandoli vedrà questi sentimenti sviluppare una vita propria. Può allora succedere che una persona vada verso qualcuno in modo in apparenza totalmente disinteressato, ma che ogni sua singola azione in realtà urli a squarciagola: “Guardate che cosa faccio di eccezionale! Prendetemi in considerazione! Vogliatemi bene!” O altrimenti che il mondo intero venga considerato da una tale persona soltanto nelle categorie dei precetti e dei doveri e che pretenda da tutti gli altri che si comportino allo stesso modo.

Il comandamento biblico dell’amore verso il prossimo ha perciò un’aggiunta saggia: “Ama il prossimo tuo come te stesso!” Credo che questa aggiunta possa proteggere dall’ipocrisia: chi vive secondo il comandamento formulato in questo modo non rinuncia ad amare se stesso; al contrario: se lo segue davvero, più amerà se stesso, più amerà gli altri. E non cade nel pericolo che il desiderio di essere amato si renda autonomo e cerchi vie strane per trovare espressione.

Credo sia già davvero tanto se amiamo veramente noi stessi, ci stimiamo, ci rispettiamo e – per quanto possibile – ci trattiamo bene, e allo stesso tempo facciamo lo stesso anche per gli altri. Questo significa non perdere di vista gli altri, concedere loro lo stesso diritto, prestare loro la stessa attenzione che concediamo a noi stessi.

Il passo biblico per la predica di oggi pare però andare oltre: dell’amore verso se stessi non si parla; al contrario: il versetto subito successivo dice: “Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici”. Questo suona come autosacrificio senza considerazione per la propria persona… ed è anche inteso in questo senso.

Ma dobbiamo ascoltare attentamente ancora una volta; il passo inizia con le parole “Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore”.

L’amore del quale parla Gesù nel Vangelo di Giovanni non è una possibilità umana. Non si tratta qui di uno sforzo dalle proprie forze; si tratta piuttosto di vivere in un amore che ci arriva dall’esterno. Nel campo di forze di questo amore dovremmo vivere, dovremmo trasmettere lo slancio con il quale esso arriva a noi, dovremmo vibrare con lui e far vibrare con esso gli altri.

Nei versetti precedenti Gesù si paragona a una vite: “Io sono la vite”, dice “voi siete i tralci, il Padre mio è il vignaiuolo”. E poi sollecita i discepoli: “Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me”.

Che cosa può fare un tralcio per rimanere sulla vite? Fondamentalmente niente. E che cosa può fare questa per produrre i frutti (cioè i grappoli d’uva)? Fondamentalmente niente nemmeno lei. Il compito del tralcio è quello di lasciar passare ciò che viene dalla vite… allora questo si trasforma in essa da solo in frutto, in grappoli d’uva. Il tralcio non ha assolutamente la possibilità che abbiamo noi di isolarsi da sola dalla vite. Per noi come esseri umani, però, è evidente: pensiamo di non aver bisogno del legame con la vite; pensiamo di poter portare i frutti da noi stessi, di poter vivere in questo mondo senza legame con Gesù e quindi con Dio, di poter organizzare la nostra vita singolarmente e con gli altri senza questo legame, di poterci amare a partire da noi stessi. Il risultato di questo tentativo ce l’abbiamo ogni giorno davanti agli occhi.

Per noi umani è davvero un compito consapevole vivere nel legame con Dio. Non è che potremmo allacciare questo legame. Nemmeno questo è nelle nostre possibilità, ma Dio, attraverso Gesù, ha creato di sua iniziativa questo legame. Nel battesimo veniamo accolti in questo legame, per così dire veniamo di nuovo attaccati al vitigno. Il legame a esso, però, è l’amore che esso ha verso di noi. Lui ci ama! Ci cerca, chiede di noi, si rivolge a noi, vuole avere una risposta da noi, così come un amante si rivolge all’amata. Abbiamo bisogno soltanto di permetterlo, abbiamo soltanto bisogno di ascoltare con attenzione dove Dio si rivolge a noi, per esempio qui nel culto. Nella nostra vita, però, dovremmo riservare del tempo in modo che questo legame possa rimanere intatto: del tempo per restare in silenzio, del tempo per leggere la Bibbia, per pregare, per andare al culto. Come ogni altro legame d’amore, anche il legame verso Dio ha bisogno di tempo e di spazio per poter continuare a esistere.

Ma questo non come pio fine a se stesso, bensì in modo che quello che abbiamo ricevuto lì possa scorrere attraverso di noi e si possa trasformare in frutti dell’amore. Questo significa con attenzione ad altre persone, in attività che incentivino la vita comune, nell’ascoltare, nel condividere.

A chi vive in questo amore, lo riceve e lo trasmette, come il tralcio fa scorrere nel grappolo la forza della vite, a lui viene promessa la gioia. Anche questa gioia deriva dal legame con Gesù, ma diventa realtà soltanto laddove gli uomini fanno diventare la fede verso di lui concreto amore verso altri uomini.

Gli altri sono innanzitutto coloro con i quali siamo legati nella fede, cioè le persone nella propria comunità. Siccome, però, la fonte di questo amore – Dio stesso – è illimitata, veniamo esortati in continuazione a superare i nostri limiti e, se possibile, a comprendere tutti gli esseri umani in questo amore.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Foto: Sabine Wolters
Foto: Sabine Wolters

Predigttext


Wie mich mein Vater liebt, so liebe ich euch auch. Bleibt in meiner Liebe! Wenn ihr meine Gebote haltet, bleibt ihr in meiner Liebe, so wie ich meines Vaters Gebote gehalten habe und bleibe in seiner Liebe. Das habe ich euch gesagt, auf dass meine Freude in euch sei und eure Freude vollkommen werde.

Das ist mein Gebot, dass ihr euch untereinander liebt, wie ich euch liebe.

Liebe Gemeinde! 

Heute geht es um die Liebe. Liebe – das ist ein großes Wort. Ein Wort, das hier in Italien wohl noch eine größere Rolle spielt als in Deutschland. Aber das ist vielleicht nur äußerlich. Egal ob in Italien oder in Deutschland: Nach Liebe sehnen sich alle. Vielleicht stehen viele Italiener deutlicher zu diesem Wunsch, während es in Deutschland eher uncool ist, solch eine Sehnsucht zu zeigen. Dort präsentiert man sich lieber als unabhängig und als nicht angewiesen auf die Liebe anderer. Dennoch: geträumt wird von der großen Liebe dort wie hier, nach wie vor wird sie in Romanen beschrieben und in Liedern besungen.

Manchmal gibt es sie wohl auch in Wirklichkeit, die große Liebe. Aber es gibt auch das Gegenteil: Achtlosigkeit, Unverständnis und Untreue in  persönlichen Beziehungen, Einsamkeit, Rücksichtslosigkeit und Überforderung in Familien. Und darüber hinaus gibt es viel Lieblosigkeit in den größeren Bezügen, in denen wir leben: Menschen hier in Turin, denen das Nötigste zum Leben fehlt, während andere im Überfluss leben; in der Zeitung lesen wir immer wieder von Gewalt gegen Frauen in verschiedenen Orten Italiens, oder wir sehen Bilder vom Krieg an anderen Orten der Welt – Kriege in Ländern wie Syrien, in denen die Menschen über Generationen einigermaßen friedlich zusammengelebt haben und die sich nun gegenseitig bekämpfen und töten.

Es gibt nicht nur die Liebe in dieser Welt, es gibt auch ihr Gegenteil: die Gleichgültigkeit oder den Hass. Und es gibt verschiedene Arten von Liebe: Neben der romantischen und der leidenschaftlichen Liebe gibt es die Liebe zum Mitmenschen, die Nächstenliebe und sogar die Feindesliebe.

Das führt zu der Frage: Wovon genau redet eigentlich Jesus? Die Antwort auf diese Frage ist gar nicht so einfach, wie sie auf den ersten Blick vielleicht aussieht. Denn schon in den beiden Bibelabschnitten, die wir heute im Gottesdienst gehört haben, redet er – wenn man genau hinhört – von zwei verschiedenen Formen der Liebe. Im heutigen Evangelium spricht er ausdrücklich davon, dass man seine Feinde lieben soll. Und im Predigtabschnitt, den ich eben vorgelesen habe, sagt er zu seinen Jüngern, sie sollten einander lieben, dort geht es also um die Liebe in der Gemeinschaft derer, die an Jesus glauben, um die Liebe innerhalb der christlichen Gemeinde. Beide Male aber redet er in der Form von Geboten: „Liebt eure Feinde!“ – „Habt euch untereinander lieb!“

Kann man Liebe gebieten, anordnen? Die Bibel tut dies, sowohl im Alten Testament, als auch im Neuen. „Liebe deinen Nächsten!“ – das ist ein zentrales Gebot, das beide Hälften der Bibel miteinander verbindet. Und in einem gewissen Maß leuchtet das auch ein. Gefühle kann man nicht gebieten, wohl aber bestimmte Verhaltensweisen. Und bei der Nächstenliebe geht es erst einmal darum, dem Mitmenschen einen Platz einzuräumen. Ich soll nicht nur an mich selbst denken, sondern auch an den Menschen neben mir. Ich soll ihn respektieren, ich soll seine Bedürfnisse wahrnehmen, ich soll ihm gegebenenfalls helfen. All das kann ich tun, ohne in ihn verliebt zu sein, ohne Gefühle der Zuneigung für ihn zu hegen. Ich kann ihn als Mensch gelten lassen, ich kann sein Lebensrecht anerkennen. Ich kann – allein aus Vernunftgründen – Abstand davon nehmen, ihn zu bekämpfen. Es gibt also durchaus Formen der Liebe, die nicht  mit Gefühlen verbunden sind; Formen der Liebe, die auf der Grundlage des Verstandes und der Einsicht gelebt werden, und die man deshalb auch in einem Gebot nahelegen kann.

Ich habe trotzdem den Verdacht, dass insgesamt Liebe nicht völlig von den Gefühlen zu trennen ist. Und dass dort, wo dies geschieht, die Liebe entweder herzlos und bürokratisch wird, oder – schlimmer - die mitschwingenden Gefühle, die vielleicht in eine ganz andere Richtung gehen, sich ihre eigene Verwirklichung suchen. Wer nur vom Kopf her oder aus Pflichtgefühl gegenüber einem Gebot etwas tut und dabei seine eigenen Gefühle ignoriert oder verdrängt, bei dem werden diese Gefühle ein Eigenleben entwickeln. Das kann dann so aussehen, dass Menschen scheinbar ganz uneigennützig auf anderen zugehen und ihnen Hilfe anbieten, jede einzelne Handlung von ihnen aber eigentlich laut schreit: Schaut her, was ich Tolles tue! Nehmt mich wahr! Habt mich lieb! Oder aber, dass von solch einem Menschen die ganze Welt nur noch in den Kategorien von Geboten und Pflicht wahrgenommen wird und er von allen anderen verlangt, sie sollten sich ebenso verhalten.

Das biblische Gebot der Nächstenliebe hat deshalb einen weisen Zusatz: „Du sollst deinen Nächsten lieben wie dich selbst!“ Ich glaube, dass dieser Zusatz vor Heuchelei schützen kann. Wer nach dem so formulierten Gebot lebt, verzichtet nicht darauf, sich selbst zu lieben. Im Gegenteil: Wenn er wirklich danach lebt, wird er die anderen umso mehr lieben, je mehr er sich selbst liebt. Und er gerät dabei nicht in die Gefahr, dass sich die Sehnsucht, selbst geliebt zu werden, verselbständigt und sich merkwürdige Wege sucht, Ausdruck zu finden.

Ich glaube, es ist schon viel, wenn wir uns wirklich selbst lieben, achten, respektieren und es uns – soweit möglich – gut gehen lassen und gleichzeitig dasselbe auch für andere tun. Das heißt, die anderen dabei nicht aus dem Blick zu verlieren, ihnen dasselbe Recht zugestehen, ihnen dieselbe Aufmerksamkeit zukommen zu lassen wie uns selbst.

Der Predigtabschnitt heute geht allerdings scheinbar darüber hinaus. Von Selbstliebe ist da nicht die Rede. Im Gegenteil: Der direkt anschließende Vers heißt:  „Niemand hat größere Liebe als die, dass er sein Leben lässt für seine Freunde.“ Das klingt nach Aufopferung ohne Rücksicht auf die eigene Person – und das ist wohl auch so gemeint.

Aber wir müssen wieder genau hinhören. Der Abschnitt beginnt mit den Worten: „Wie mich mein Vater liebt, so liebe ich euch auch. Bleibt in meiner Liebe!“ 

Die Liebe, von der Jesus im Johannesevangelium redet, ist keine menschliche Möglichkeit. Es geht hier nicht um eine Anstrengung aus eigener Kraft. Vielmehr geht es darum, in einer Liebe zu leben, die von außen auf uns zukommt. Im Kraftfeld dieser Liebe sollen wir leben, sollen den Schwung, mit der sie auf uns zukommt, weitergeben, sollen selbst mitschwingen und damit andere zum Schwingen bringen.

In den Versen davor vergleicht sich Jesus mit einem Weinstock. „Ich bin der Weinstock“ sagt er, „ihr seid die Reben, mein Vater ist der Weingärtner“. Und dann fordert er die Jünger auf: „Bleibt in mir und ich in euch. Wie die Rebe keine Frucht bringen kann aus sich selbst, wenn sie nicht am Weinstock bleibt, so auch ihr nicht, wenn ihr nicht in mir bleibt.“ 

Was kann eine Rebe dafür tun, am Weinstock zu bleiben? Im Grunde nichts. Und was kann sie dafür tun, Früchte, (also:  Weintrauben) zu produzieren? Im  Grunde auch nichts. Die Aufgabe der Rebe ist, durchlässig zu sein für das, was vom Weinstock kommt – dann verwandelt sich dies von selbst in ihr in Frucht, in Weintrauben. Die Rebe hat gar nicht die Möglichkeit, die wir haben, sich selbst vom Weinstock zu isolieren. Für uns als Menschen allerdings liegt das nahe. Wir meinen, wir hätten die Verbindung zum Weinstock nicht nötig. Wir meinen, wir könnten aus uns selbst heraus Frucht bringen, könnten ohne Verbindung zu Jesus und damit zu Gott in dieser Welt leben, könnten unser Leben einzeln und miteinander ohne diese Verbindung gestalten, könnten aus uns selbst heraus lieben. Das Ergebnis dieses Versuchs haben wir täglich vor Augen.

Für uns Menschen ist es tatsächlich eine bewusste Aufgabe, in Verbindung mit Gott zu leben. Nicht, dass wir diese Verbindung herstellen könnten. Nicht einmal das liegt in unseren Möglichkeiten. Aber Gott hat durch Jesus Christus diese Verbindung von sich aus geschaffen. In der Taufe werden wir hineingenommen in diese Verbindung, sozusagen, an den Weinstock wieder angepfropft. Die Verbindung zu ihm aber ist seine Liebe zu uns. Er liebt uns! Er sucht uns, er fragt nach uns, er spricht uns an, will Antwort von uns haben, wie ein Liebender die Geliebte anspricht. Wir brauchen dies nur zulassen, brauchen nur darauf zu horchen, wo wir von Gott angesprochen werden, zum Beispiel hier im Gottesdienst. Allerdings sollten wir in unserem Leben gewisse Zeiten dafür reservieren, dass diese Verbindung intakt bleiben kann: Zeiten zum Still sein, zum Bibel lesen, zum Gebet, zum Gottesdienst. Wie jede andere Liebesbeziehung braucht auch die Beziehung zu Gott Zeit und Raum um bestehen zu können.

Aber dies nicht als frommer Selbstzweck, sondern damit das, was wir dort empfangen durch uns hindurchfließen kann und sich verwandeln kann in Früchte der Liebe. Das heißt in Zuwendung zu anderen Menschen, in Tätigkeiten, die das Zusammenleben fördern, in Zuhören, in miteinander Teilen.

Wer in dieser Liebe lebt, sie empfängt und sie weitergibt wie die Rebe die Kraft des Weinstocks in die Weintraube fließen lässt, dem wird Freude versprochen. Auch diese Freude kommt aus der Verbindung mit Jesus. Aber sie wird nur dort Wirklichkeit, wo Menschen den Glauben an ihn zu konkreter Liebe zu anderen Menschen werden lassen. 

Die anderen Menschen sind zunächst einmal die, mit denen wir im Glauben verbunden sind, also die Menschen in der eigenen Gemeinde. Da aber die Quelle dieser Liebe – Gott selbst – grenzenlos ist, werden wir immer wieder dazu aufgerufen auch unsere Grenzen zu überschreiten und möglichst alle Menschen in diese Liebe mit hineinzunehmen.

Pfarrer Heiner Bludau



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