10.10.2021 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 10 ottobre 2021

ore 11

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino


Culto con Santa Cena, 19ª domenica dopo la Trinità

Isaia 38,9-20

Grafica - Graphik: Pfeffer
Grafica - Graphik: Pfeffer

Wo und Wann?


Sonntag, 10. Oktober 2021

11 Uhr

Kirche San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi 11

Torino 


Gottesdienst mit Abendmahl, 19. Sonntag nach Trinitatis

Jesaja 38,9-20



Testo della Predica


Cara comunità!

Tutte e due le letture che abbiamo sentito lo rendono chiaro: oggi si tratta di guarigione. Come vangelo abbiamo sentito come Gesù ha guarito un paralitico e prima come epistola la descrizione di Giacobbe su come si devono trattare i malati nella convivenza della comunità.

In entrambi i casi si tratta di guarigione del corpo e dell’anima. Con dei termini odierni si potrebbe dire: la fisioterapia e la psicoterapia qui vengono unite. Di sicuro non in modo da poter sostituire l’opera di medici e psicoterapeuti. Eppure così che il nostro sguardo sulla malattia e la salute possa diventare più chiaro e che nasca tra di noi un’idea diversa, più completa della guarigione di quella limitata all’effetto dei farmaci.

Ciò che unisce l’anima e il corpo in tutti e due i testi biblici è il termine del peccato. Nel vangelo Gesù perdona i peccati al paralitico e poi gli dice: “alzati, prendi il tuo lettuccio, e vattene a casa tua”. E in Giacobbe si dice: “la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà; e se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati”. Il peccato appartiene evidentemente alle cause delle malattie e il perdono dei peccati al percorso di guarigione.

Come lo si deve interpretare? Le malattie sono quindi delle punizioni di Dio per il peccato di cui uno si è macchiato? Il fatto che i sensi di colpa possano produrre anche dello stress psichico lo possono confermare certamente anche gli psicologi. E che lo stress psichico possa provocare delle malattie fisiche non lo negheranno di sicuro neanche i medici.

Eppure qui mi pare che si tratti anche di qualcos’altro. Il termine “peccato” nella Bibbia non descrive soltanto l’aspetto della colpa. Esso descrive piuttosto la separazione da Dio. La storia di Adamo ed Eva racconta del peccato originale dell’uomo e della donna. Eppure in questo caso non succede nulla di quello che noi oggi riteniamo che faccia nascere la colpa: il comportamento ingiusto, l’inganno, la truffa, l’uso della violenza ecc. Adamo ed Eva mangiano invece dall’albero della conoscenza, cosa che era stata loro proibita da Dio. Questo è il punto decisivo. Esso porta allo scioglimento dello stretto legame tra Dio e l’essere umano nel Giardino dell’Eden. I due vengono sbattuti fuori dal Giardino dell’Eden e non hanno più alcuna relazione diretta con Dio. Tutto quello che viene dopo nella Bibbia – sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento – tratta la questione su come una tale relazione tra Dio e l’essere umano possa di nuovo nascere.

Il peccato quindi non è da vedere soltanto come colpa personale, bensì soprattutto come causa della separazione tra Dio e l’essere umano. La separazione da Dio causa da un lato tutte le crisi che noi sperimentiamo nella nostra vita e nella storia dell’umanità; il perdono dei peccati dall’altro lato ricostituisce il legame con Dio e può quindi aiutare a superare delle crisi. In questo senso il perdono dei peccati può anche contribuire a superare delle malattie psichiche o anche fisiche, perché anche queste si possono interpretare come delle crisi.

Per la domenica odierna c’è anche un altro testo biblico sul quale tenere la predica. Esso è tratto dal Libro del Profeta Isaia; si tratta di una specie di salmo. Lo si può interpretare nel senso di un superamento di una crisi di malattia. Come ho appena cercato di descrivere, qui il “peccato” è meno una colpa concreta quanto piuttosto la separazione da Dio.

Vi leggo il salmo:

9Cantico di Ezechia re di Giuda, quando cadde malato e guarì dalla malattia.

Io dicevo: «A metà della mia vita me ne vado alle porte degli inferi; sono privato del resto dei miei anni».

Dicevo: «Non vedrò più il Signore sulla terra dei viventi, non vedrò più nessuno fra gli abitanti di questo mondo.

La mia tenda è stata divelta e gettata lontano da me, come una tenda di pastori.

Come un tessitore hai arrotolato la mia vita, mi recidi dall'ordito.

In un giorno e una notte mi conduci alla fine».

Io ho gridato fino al mattino. Come un leone, così egli stritola tutte le mie ossa.

Come una rondine io pigolo, gemo come una colomba. 

Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto. Signore, io sono oppresso; proteggimi.

Che dirò? Sto in pena poiché è lui che mi ha fatto questo. Il sonno si è allontanato da me per l'amarezza dell'anima mia.

Signore, in te spera il mio cuore; si ravvivi il mio spirito. Guariscimi e rendimi la vita.

Ecco, la mia infermità si è cambiata in salute! 

Tu hai preservato la mia vita dalla fossa della distruzione, perché ti sei gettato dietro le spalle tutti i miei peccati.

Poiché non gli inferi ti lodano, né la morte ti canta inni; quanti scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà.

Il vivente, il vivente ti rende grazie come io oggi faccio. Il padre farà conoscere ai figli la tua fedeltà.

Il Signore si è degnato di aiutarmi; per questo canteremo sulle cetre tutti i giorni della nostra vita, canteremo nel tempio del Signore.

Innanzitutto qualche annotazione sul contesto di questo salmo: Ezechia – come viene detto nell’introduzione – era un re del Paese di Giuda. Egli regnò dal 725 al 697 avanti Cristo, per 29 anni. In quel periodo in Mesopotamia regnavano gli Assiri, che nel 722 occuparono il Regno del Nord, chiamato Regno di Israele, e vent’anni dopo assediarono anche la città di Gerusalemme. Mentre il Regno del Nord di Israele era stato totalmente cancellato dagli Assiri, gli Assiri non riuscirono a conquistare Gerusalemme.

Non da ultimo per questo motivo Ezechia è una figura importante nei libri di storia dell’Antico Testamento. Vi gioca però un ruolo importante perché il suo comportamento verso Dio viene descritto come esemplare. Egli fa parte di quei pochi re che vengono lodati per il loro comportamento. Sì, di lui si dice addirittura: “Egli mise la sua fiducia nel SIGNORE, Dio d'Israele; e fra tutti i re di Giuda che vennero dopo di lui o che lo precedettero, non ve ne fu nessuno simile a lui.” (2 Re 18,5)

Eppure egli vive una malattia che lo porta vicino alla morte. La prima parte del salmo descrive l’esperienza legata a ciò. E questa esperienza non deve essere vista di sicuro solo come esperienza personale del re. Si tratta di esperienze che possono fare tutti sotto la minaccia della morte per durante una malattia. “La mia dimora è stata divelta… Io ho gridato fino al mattino … Il sonno si è allontanato da me …”.

A una prima lettura del salmo si pensa che la sofferenza del re stia ancora durando. A metà però si arriva a una svolta. In questo modo nella seconda parte diventa chiaro che nell’esposizione del dolore si tratta di una retrospettiva.

Ma come si arriva a questa svolta? La nuova prospettiva viene introdotta dalla frase: “Signore, in te spera il mio cuore; si ravvivi il mio spirito. Guariscimi e rendimi la vita.”. Che cosa vuole significare? Di che cosa si vive e dove si trova la vita dello spirito? Nella seconda parte diventa chiaro: Ezechia dice a Dio: “Tu hai preservato la mia vita dalla fossa della distruzione, perché ti sei gettato dietro le spalle tutti i miei peccati.” Qui si parla di nuovo di peccati. A differenza di tanti altri re la cui storia viene raccontata Ezechia – come dicevo – non è un re che si è macchiato di grandi colpe. “Peccato” significa qui piuttosto la separazione da Dio come questa si può verificare continuamente nel corso della vita di ogni essere umano. Ciò a cui porta il perdono dei peccati nel suo caso è la lode a Dio che non è presente nella prima parte. “Poiché non gli inferi ti lodano, né la morte ti canta inni; quanti scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà. Il vivente, il vivente ti rende grazie come io oggi faccio.” Così viene detto nella seconda parte.

Mentre la prima parte descrive la sofferenza nella paura della morte, la seconda parte descrive la vita in salute e gioia. Sia la salute che la gioia si esprimono nel fatto che Dio viene lodato. E questa è la cosa più importante che noi oggi in questo culto, nel quale Dio si unisce a noi nella Santa Cena, dovremmo portare con noi a casa: lodiamo Dio. Questo ci aiuta a rimanere in salute e gioiosi. La lode di Dio caratterizza la pienezza della vita che desideriamo. O, come viene detto nell’epistola di oggi: “C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi. C’è qualcuno d’animo lieto? Canti degli inni”. Ma non soltanto quando siamo entusiasti dovremmo lodare Dio, bensì anche quando ci muoviamo con qualche fatica tra la gioia e la sofferenza. Infatti la lode di Dio, che noi la esprimiamo cantando o a parole o con i gesti, ci apre le porte verso la vita senza limitazioni. Infatti Dio non è soltanto il Creatore di tutte le cose, egli è anche il Salvatore e il Liberatore.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Foto: Lotz - Entschuldigung = Scusa
Foto: Lotz - Entschuldigung = Scusa

Predigttext


Liebe Gemeinde!

Die beiden biblischen Lesungen, die wir gehört haben, machen es deutlich: Heute geht es um Heilung. Als Evangelium haben wir gehört, wie Jesus einen Gelähmten geheilt hat und davor als Epistel die Beschreibung des Jakobus, wie mit Kranken in der Gemeinde umgegangen werden soll. 

In beiden Fällen geht es um Heilung an Leib und Seele. Mit heutigen Begriffen könnte man sagen: Physiotherapie und Psychotherapie sind hier miteinander verbunden. Sicherlich nicht so, dass dadurch das Werk von Ärzten und Psychotherapeuten ersetzt werden könnte. Aber doch so, dass unser Blick auf Krankheit und Gesundheit klarer werden kann und wir ein andere, umfassendere Vorstellung von Heilung bekommen als lediglich die der Wirksamkeit von Medikamenten.

Das, was Seele und Leib in beiden Bibeltexten miteinander verbindet, ist der Begriff der Sünde. Im Evangelium vergibt Jesus dem Gelähmten die Sünden und sagt dann zu ihm: „Steh auf, nimm dein Bett und geh heim.“ Und bei Jakobus heißt es: “das Gebet des Glaubens wird dem Kranken helfen, und der Herr wird ihn aufrichten; und wenn er Sünden getan hat, wird ihm vergeben werden.” Die Sünde gehört offenbar zu den Ursachen von Krankheiten und die Vergebung der Sünden zum Weg der Heilung. 

Wie soll man das verstehen? Sind Krankheiten demnach Strafen Gottes für die Schuld, die jemand auf sich geladen hat? Dass Schuldgefühle psychische Belastungen erzeugen können, das werden sicherlich auch Psychologen bestätigen. Und dass psychische Belastungen körperliche Krankheiten hervorrufen können, dem werden wohl auch Ärzte nicht widersprechen. 

Dennoch scheint es mir hier auch noch um etwas anderes zu gehen. Der Begriff „Sünde“ beschreibt in der Bibel nicht nur den Aspekt der Schuld. Er beschreibt vielmehr auch die Trennung von Gott. Die Geschichte von Adam und Eva erzählt den ersten Sündenfall des Menschen. Dabei geschieht nichts von dem, was wir heute als Schuldauslösend verstehen: Ungerechtes Verhalten, Betrug, Gewaltanwendung etc.. Vielmehr essen Adam und Eva vom Baum der Erkenntnis, was ihnen von Gott verboten war. Dies ist der entscheidende Punkt. Er führt dazu, dass die enge Verbindung von Gott und Mensch im Garten Eden aufgehoben wird. Die beiden werden aus dem Garten Eden hinausgeworfen und haben keine direkte Beziehung mehr zu Gott. Die ganze weitere Bibel – sowohl im Alten als auch im Neuen Testament – handelt dann davon, wie eine solche Beziehung zwischen Gott und Mensch wieder neu entstehen kann.

Sünde ist demnach nicht nur als persönliche Schuld zu verstehen, sondern vor allem als Ursache der Trennung von Gott und Mensch. Die Trennung von Gott erzeugt einerseits all die Krisen, die wir im eigenen Leben und in der Geschichte der Menschheit erfahren; die Vergebung der Sünden stellt andererseits die Verbindung mit Gott wieder her und kann daher helfen, Krisen zu überwinden. In diesem Sinn kann die Vergebung von Sünden auch zur Überwindung von psychischen oder auch physischen Krankheiten beitragen, denn auch diese lassen sich als Krisen verstehen.

Für den heutigen Sonntag gibt es einen weiteren Bibeltext, über den gepredigt werden soll. Er stammt aus dem Buch des Propheten Jesaja. Es handelt sich um eine Art Psalm. Er lässt sich im Sinne der Überwindung einer Krankheitskrise verstehen. Wie ich es eben versucht habe darzustellen, ist dabei „Sünde“ weniger eine konkrete Schuld, sondern die Trennung von Gott.

Ich lese den Psalm vor:

Dies ist das Lied Hiskias, des Königs von Juda, als er krank gewesen und von seiner Krankheit gesund geworden war:

Ich sprach: In der Mitte meines Lebens muss ich dahinfahren, zu des Totenreichs Pforten bin ich befohlen für den Rest meiner Jahre.

Ich sprach: Nun werde ich nicht mehr sehen den HERRN, ja, den HERRN im Lande der Lebendigen, nicht mehr schauen die Menschen, mit denen, die auf der Welt sind.

Meine Hütte ist abgebrochen und über mir weggenommen wie eines Hirten Zelt. Zu Ende gewebt hab ich mein Leben wie ein Weber; er schneidet mich ab vom Faden. Tag und Nacht gibst du mich preis;

bis zum Morgen schreie ich um Hilfe; aber er zerbricht mir alle meine Knochen wie ein Löwe; Tag und Nacht gibst du mich preis.

Ich zwitschere wie eine Schwalbe und gurre wie eine Taube. Meine Augen sehen verlangend nach oben: Herr, ich leide Not, tritt für mich ein!

Was soll ich reden und was ihm sagen? Er hat’s getan! Entflohen ist all mein Schlaf bei solcher Betrübnis meiner Seele.

Herr, davon lebt man, und allein darin liegt meines Lebens Kraft: Du lässt mich genesen und am Leben bleiben.

Siehe, um Trost war mir sehr bange. Du aber hast dich meiner Seele herzlich angenommen, dass sie nicht verdürbe; denn du wirfst alle meine Sünden hinter dich zurück.

Denn die Toten loben dich nicht, und der Tod rühmt dich nicht, und die in die Grube fahren, warten nicht auf deine Treue;

sondern allein, die da leben, loben dich so wie ich heute. Der Vater macht den Kindern deine Treue kund.

Der HERR hat mir geholfen, darum wollen wir singen und spielen, solange wir leben, im Hause des HERRN!

Zunächst ein paar Anmerkungen zum Hintergrund dieses Psalms. Hiskia war, wie in der Einleitung vermerkt, ein König im Lande Juda. Er regierte von 725 bis 697 vor Christus, 29 Jahre lang. In dieser Zeit regierten in Mesopotamien die Assyrer, die 722 das Nordreich Israel besetzten und zwanzig Jahre später auch die Stadt Jerusalem belagerten. Während das Nordreich Israel durch die Besetzung der Assyrer vollkommen ausgelöscht wurde, gelang es den Assyrern aber nicht, Jerusalem zu erobern.

Nicht zuletzt deswegen ist Hiskia in den Geschichtsbüchern des Alten Testaments eine wichtige Gestalt. Vor allem aber spielt er darin eine wichtige Rolle, weil sein Verhalten gegenüber Gott als vorbildlich beschrieben wird. Er gehört zu den wenigen Königen, die wie der König David für ihr Verhalten gelobt werden. Ja, mehr noch, es heißt wörtlich von ihm: „Er vertraute dem HERRN, dem Gott Israels, sodass unter allen Königen von Juda seinesgleichen nach ihm nicht war noch vor ihm gewesen ist.“ (2. Könige 18,5)

Dennoch erlebt er eine Krankheit, die ihn an den Rand des Todes führt. Der erste Teil des Psalms beschreibt die entsprechende Erfahrung. Und diese Erfahrung muss man sicherlich nicht nur als persönliche Erfahrung des Königs sehen. Es handelt sich um Erfahrungen, die alle Menschen unter der Drohung des Todes bei einer Krankheit machen können. „Meine Hütte ist abgebrochen … bis zum Morgen schreie ich um Hilfe … entflohen ist all mein Schlaf.

Beim ersten Lesen des Psalms meint man zunächst, das Leid des Königs würde immer noch andauern. In der Mitte aber kommt es zur Wende. Dadurch wird im zweiten Teil deutlich, dass es sich bei der Schilderung des Leidens um einen Rückblick handelt.

Wie aber kommt es zu dieser Wende? Die neue Perspektive wird durch den Satz eröffnet: „Herr, davon lebt man, und allein darin liegt meines Lebens Kraft: Du lässt mich genesen und am Leben bleiben.“ Was soll das bedeuten? Wovon lebt man und worin liegt des Lebens Kraft? Das wird im zweiten Teil klar. Hiskia sagt zu Gott: „Du hast dich meiner Seele herzlich angenommen, dass sie nicht verdürbe; denn du wirfst alle meine Sünden hinter dich zurück.“ Hier ist wieder von Sünden die Rede. Anders als viele andere Könige, deren Geschichten im Alten Testament erzählt werden, ist aber wie gesagt Hiskia kein König, der große Schuld auf sich geladen hat. „Sünde“ bedeutet hier wohl eher die Trennung von Gott wie sie im Verlauf des Lebens eines jeden Menschen immer wieder eintreten kann. Das, wozu die Vergebung der Sünden bei ihm führt, ist das Lob Gottes, das im ersten Teil nicht vorkommt. Im Gegenteil: „Die Toten loben dich nicht, und der Tod rühmt dich nicht, und die in die Grube fahren, warten nicht auf deine Treue; sondern allein, die da leben, loben dich so wie ich heute“ heißt es im zweiten Teil. 

Während der erste Teil das Leiden in Todesangst beschreibt, beschreibt der zweite Teil das Leben in Gesundheit und Freude. Sowohl die Gesundheit als auch die Freude äußern sich darin, dass Gott gelobt wird. Und das ist das Wichtigste, was wir heute nach diesem Gottesdienst, in dem sich Gott beim Abendmahl mit uns verbindet, mit nach Hause nehmen sollten: Lasst uns Gott loben. Das hilft uns, gesund und fröhlich zu bleiben. Das Lob Gottes charakterisiert die Fülle des Lebens, nach der wir uns sehnen. Oder, wie es in der heutigen Epistel heißt: „Leidet jemand unter euch, der bete; ist jemand guten Mutes, der singe Psalmen.“ Aber nicht nur wenn wir innerlich begeistert sind, sollten wir Gott loben, sondern auch, wenn wir uns ein bisschen mühsam zwischen Freude und Leiden hin und her bewegen. Denn das Lob Gottes, ob wir es singen oder sagen oder denken es mit Gesten zum Ausdruck bringen, es öffnet uns die Türen zum Leben ohne Einschränkungen. Denn Gott ist nicht nur der Schöpfer aller Dinge, er ist auch der Retter und der Befreier.

Pfarrer Heiner Bludau