04.07.2021 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 4 luglio 2021

ore 11


Culto per la 5a Domenica dopo Trinitatis

1 Corinzi 1,18-25

Foto: Wodicka
Foto: Wodicka

Wo und Wann?


Sonntag, 4. Juli 2021

11 Uhr


Gottesdienst zum 5. Sonntag nach Trinitatis 

1 Korinther 1,18-25 



Testo della Predica


(Poiché) la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l'intelligenza degli intelligenti». Dov'è il sapiente? Dov'è lo scriba? Dov'è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Cara comunità!

La fede cristiana è riservata agli stupidi? O, detto in altre parole, se si vuole diventare cristiani, bisogna consegnare l’intelletto al guardaroba?

Si potrebbe pensare che sia così se si sente quello che l’apostolo Paolo scrive ai Corinzi: Dio dice: “Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti”; “Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo?”, ma Dio ha salvato coloro che credono nella pazzia che predica Paolo: “è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione”.

Per essere salvati si deve quindi credere a tutto quello che ci viene detto nella predicazione? La fede significa forse proprio questo: che non si dubiti di ciò che a uno viene predicato; che non si facciano domande, non si critichi e soprattutto che non si dia importanza a ciò che ci dicono i cinque sensi e l’intelletto?

Se fosse così, allora – perché è scritto nella Bibbia – il mondo sarebbe stato creato poche migliaia di anni fa in sei giorni, più o meno così come lo vediamo oggi e allora non si potrebbe nemmeno chiedere se il sepolcro di Gesù il giorno della sua resurrezione era davvero vuoto. La teoria evoluzionistica e la critica storica contraddicono allora la fede e chi vi aderisce non può essere salvato. Perché salvato può essere soltanto chi crede senza fare domande a quello che gli viene annunciato, non importa quanto sembri assurdo alla sua mente.

Sono di un’altra opinione. E non credo nemmeno che l’apostolo Paolo abbia voluto dire questo.

Ma che cosa voleva dire allora? Senza dubbio si tratta di una contrapposizione. Si tratta della fede in Gesù Cristo e in Dio da una parte e della saggezza, dell’intelligenza e della mente dall’altra. Ma in che senso sono contrapposte l’una alle altre?

Penso che si tratti di non confondere le due cose. La saggezza, l’intelligenza e la mente degli esseri umani hanno fatto progredire le scienze. I metodi degli scienziati sono definiti in modo piuttosto preciso ed è chiaro che la fede non fa parte di questi. Le scienze lavorano con degli esperimenti e con delle prove logiche e plausibili. Se vengono condotte in modo pulito e responsabile, le scienze fanno molta attenzione al fatto che i loro risultati non siano supportati da convinzioni di fede, ma da esperimenti o da ragionamenti verificabili in qualsiasi momento. Le scienze hanno un grande successo con questo. Hanno prodotto tutta la tecnica, dai minicomputer che reagiscono al tatto dei polpastrelli e con i quali tra l’altro facciamo foto e telefoniamo, fino alla bomba atomica.

C’è un però: le scienze hanno i loro limiti. Esse sono consapevoli anche di questi se vengono condotte in modo pulito e coscienzioso. Purtroppo non è sempre così. Quando non riconoscono questi limiti, danno l’impressione di poter risolvere tutti i problemi e di avere tutte le risposte a tutte le questioni della vita; anche alla più fondamentale di tutte le domande: quale sia in realtà il senso della vita. C’è un pezzo magnificamente ironico nel romanzo cult degli anni Ottanta di Douglas Adam Guida galattica per gli autostoppisti nel quale questa domanda viene posta a un gigantesco computer. Il computer lavora sette milioni e mezzo di anni per dare una risposta e arriva a un risultato assurdo: 42.

La cosa più buffa in questo è che in Internet si trovano una serie di tentativi di interpretare questa risposta assurda, cioè si tenta di scoprire in che senso “42” potrebbe essere la risposta alla domanda sul senso della vita. Per me questo evidenzia chiaramente ancora una volta quanto siamo fissati noi uomini del presente sull’idea che la scienza potrebbe rispondere a tutte le domande.

Ma le scienze non ne sono in grado perché questo non è il loro campo di competenza. Al contrario vengono abusate quando vengono utilizzate per dare delle risposte in questo campo, poiché questo è il campo della fede. La scienza ha a che fare con degli oggetti che vengono esaminati. In questo campo però l’essere umano non è un oggetto, bensì un soggetto. All’essere umano viene posta una domanda come persona e il suo compito è quello di trovare una risposta personale. Secondo la convinzione cristiana, si trova di fronte al suo creatore che lo/la tratta allo stesso tempo in modo esigente e misericordioso.

E proprio su questo scrive l’apostolo Paolo. Non è che la saggezza, l’intelligenza e la mente degli esseri umani non abbiano valore. Non aiutano però a rispondere alla domanda fondamentale, quella sul senso della vita. Chi ha trovato la sua risposta personale, però, può assolutamente usare tutta la sua saggezza, intelligenza e intelletto che ha a disposizione per chiarire questa risposta e per applicarla nella vita.

Nel trovare la risposta personale è però davvero importante lasciare da parte la saggezza, l’intelligenza e la mente. Il Dio al quale ci troviamo di fronte, dice Paolo – ed è questo il contenuto della sua predicazione – è qualcos’altro del prolungamento dei nostri pensieri umani. Questo Dio è totalmente diverso da come ce lo immaginiamo. E se vogliamo incontrarlo, dobbiamo abbandonare tutte le immagini di Dio che ci portiamo appresso. Dio non è un tappabuchi che è importante solo laddove la nostra conoscenza umana arriva al suo limite. Egli non è meno presente nella quotidianità che nelle esperienze estreme che ci riempiono di stupore. Il Dio vivente è molto più grande e totalmente diverso da come lo immaginiamo e non è legato alle nostre aspettative.

Guardate qui, dice Paolo, Dio si è rivelato a noi nel Cristo in croce. Questo contraddice qualsiasi idea umana di Dio. “Cristo” significa “l’unto”; con “unto” si intende però un re. Gli Ebrei in Gesù hanno visto l’atteso messia, il Re Davide della fine dei tempi. La sua crocifissione però per loro ha dimostrato che egli non poteva essere il messia, perché il messia avrebbe messo in ordine il mondo e non sarebbe mai potuto finire sulla croce. Ma anche per i Greci un Crocifisso non può essere immaginabile come rivelazione di Dio. Un Dio deve essere forte, come può soccombere a degli uomini? Un Dio che soffre attraverso suo figlio non è una contraddizione in sé?

“È piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione”, scrive Paolo. Si può certamente mettere in discussione la Bibbia dal punto di vista storico-critico e forse così verranno messe in dubbio alcune cose. Alla fine però – e tutta l’analisi ha senso soltanto se si arriva a questa conclusione – ci si trova davanti alla domanda: mi voglio lasciar coinvolgere da questo Dio che è totalmente diverso da come mi sono immaginato Dio? Mi voglio affidare a lui, lasciarmi guidare da lui, farmi ingaggiare da lui al suo servizio?

Questo Dio evidentemente non batte il pugno sul tavolo. 2000 anni fa non ha eliminato l’occupazione romana in Palestina, bensì i Romani hanno crocifisso Gesù. Egli non rovescerà per decreto divino nemmeno oggi le relazioni di potere in questo mondo nel quale pochi vivono nell’opulenza, nel quale la gente in alcuni Paesi – dei quali non da ultimo facciamo parte anche noi nell’Europa dell’Ovest – sta relativamente bene e nel quale una grande parte dell’umanità soffre la fame. Ma ci vuole incontrare; è così che vuole cambiare il mondo… insieme a noi. Vuole entrare in contatto con noi. Ci vuole raggiungere nel centro della nostra personalità nel nostro cuore. Per questo ha mandato Gesù Cristo in questo mondo. In Gesù Cristo, Dio è diventato uomo tra noi uomini per incontrarci da pari a pari. Non viene verso di noi come Dio onnipotente… questo noi esseri umani non lo potremmo assolutamente sopportare. Ci incontra piuttosto come uomo con attenzioni amorevoli. Non è che noi funzioniamo secondo il suo piano, non è che il suo desiderio sia che siamo come delle rotelle in un ingranaggio, bensì che rispondiamo al suo amore di nostra spontanea volontà. Egli abbandona tutta la potenza divina sulla croce in modo che diventi visibile la sua vera forza: l’amore.

Così e ancora in altro modo si può meditare sul Crocifisso. La sua morte sulla croce può essere un segno del fatto che Gesù per l’amore di Dio rinuncia al successo terreno, alla fama terrena e alla felicità terrena e chi osserva il Crocifisso, se l’amore di Dio lo tocca, può trovare per se stesso una prospettiva adeguata. Importante in questo c’è solo una cosa: si tratta dell’incontro con Gesù Cristo, il Crocifisso, cioè con una persona, non con una dottrina. E quello che ci rende dei cristiani non è il seguire delle regole, bensì una vita che vive di questo incontro e che si fa guidare dal suo amore nel rapporto con l’intelletto, la scienza e la tecnica.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Grafica - Graphik: Mester
Grafica - Graphik: Mester

Predigttext


(Denn) das Wort vom Kreuz ist eine Torheit denen, die verloren werden; uns aber, die wir selig werden, ist es Gottes Kraft. Denn es steht geschrieben (Jes 29,14): »Ich will zunichtemachen die Weisheit der Weisen, und den Verstand der Verständigen will ich verwerfen.« Wo sind die Klugen? Wo sind die Schriftgelehrten? Wo sind die Weisen dieser Welt? Hat nicht Gott die Weisheit der Welt zur Torheit gemacht? Denn weil die Welt durch ihre Weisheit Gott in seiner Weisheit nicht erkannte, gefiel es Gott wohl, durch die Torheit der Predigt selig zu machen, die da glauben.

Denn die Juden fordern Zeichen und die Griechen fragen nach Weisheit, wir aber predigen Christus, den Gekreuzigten, den Juden ein Ärgernis und den Heiden eine Torheit; denen aber, die berufen sind, Juden und Griechen, predigen wir Christus als Gottes Kraft und Gottes Weisheit. Denn die göttliche Torheit ist weiser, als die Menschen sind, und die göttliche Schwachheit ist stärker, als die Menschen sind.

Liebe Gemeinde!

Ist der christliche Glaube den Doofen vorbehalten? Oder anders gefragt: Muss man, wenn man Christ werden will, beim Eintritt seinen Verstand an der Garderobe abgeben?

Man könnte meinen es wäre so, wenn man hört, was der Apostel Paulus den Korinthern schreibt: Gott sagt: „Ich will zunichte machen die Weisheit der Weisen, und den Verstand der Verständigen will ich verwerfen.“ (V 19) Gott hat die Weisheit der Welt zur Torheit gemacht (V 20); diejenigen aber, die die Torheit glauben, die Paulus predigt, die macht Gott selig (V 21).

Muss man also, um selig zu werden, einfach nur alles glauben, was einem gepredigt wird? Bedeutet Glaube vielleicht sogar genau dies: Dass man nicht zweifelt an dem, was einem gepredigt wird, dass man nicht nachfragt, nicht kritisiert und vor allem dem, was einem die fünf Sinne und der Verstand sagen, keine Bedeutung zumisst?

Wenn das so ist, dann wurde die Welt, weil es so in der Bibel steht, vor ein paar tausend Jahren innerhalb von sechs Tagen geschaffen, mehr oder weniger so, wie wir sie heute vorfinden, und dann darf man auch nicht fragen, ob das Grab Jesu am Tag seiner Auferstehung tatsächlich leer war. Evolutionstheorie und historische Kritik widersprechen dann dem Glauben und wer sie auf sich einlässt, kann nicht selig werden. Denn selig werden kann nur, wer fraglos glaubt, was ihm verkündet wird, wie absurd es seinem Verstand auch immer vorkommen mag.

Ich bin anderer Meinung. Und ich glaube auch nicht, dass der Apostel Paulus dies hat sagen wollen.

Was aber wollte er dann sagen? Zweifellos geht es um einen Gegensatz. Es geht um den Glauben an Jesus Christus und an Gott einerseits und um die Weisheit, die Klugheit und den Verstand andererseits. Aber in welchem Sinn sind sie einander entgegengesetzt?

Ich denke, es geht darum, beides nicht miteinander zu vermischen. Weisheit, Klugheit und Verstand des Menschen haben die Wissenschaften hervorgebracht. Die Methoden der Wissenschaften sind ziemlich genau definiert und zu ihnen gehört der Glaube ausdrücklich nicht. Die Wissenschaften arbeiten mit Experimenten und mit logischen Beweisen und Plausibilitäten. Wenn sie sauber und verantwortlich betrieben werden, dann achten die Wissenschaften sehr genau darauf, dass ihre Ergebnisse nicht von Glaubensüberzeugungen getragen sind, sondern von jederzeit nachprüfbaren Experimenten oder logischen Gedankenvollzügen. Die Wissenschaften haben damit großen Erfolg. Sie haben die gesamte Technik hervorgebracht, von den Minicomputern, die auf die Berührung mit der Fingerspitze reagieren und mit denen wir unter anderem fotografieren und telefonieren, bis hin zur Atombombe.

Allerdings: Die Wissenschaften haben ihre Grenzen. Auch dessen sind sie sich bewusst, wenn sie sauber und verantwortlich betrieben werden. Leider ist das nicht immer der Fall. Wenn sie diese Grenzen nicht anerkennen, vermitteln sie den Eindruck, als könnten sie alle Probleme lösen und hätten Antworten auf alle Fragen des Lebens. Auch auf die fundamentalste aller Fragen: Was denn eigentlich der Sinn des Lebens ist. Es gibt einen wunderbar ironischen Abschnitt in dem Kultroman der 80er Jahre von Douglas Adam „Per Anhalter durch die Galaxis“ in dem einem gigantischen Computer diese Frage gestellt wird. Der Computer arbeitet 7,5 Millionen Jahre an einer Antwort und kommt dann zu dem absurden Ergebnis: 42. 

Das lustigste daran ist, dass im Internet eine ganze Reihe von Versuchen zu finden sind, diese absurde Antwort zu deuten, das heißt herauszufinden, in welchem Sinn „42“ die Antwort auf die Frage nach dem Sinn des Lebens sein könnte. Das macht es für mich noch einmal besonders deutlich, wie fixiert wir Menschen der Gegenwart auf die Idee sind, die Wissenschaft könnte alle Fragen beantworten.

Aber dazu sind die Wissenschaften nicht in der Lage, denn dies ist nicht der Bereich ihrer Zuständigkeit. Im Gegenteil, sie werden missbraucht, wenn sie benutzt werden um Antworten in diesem Bereich zu geben. Denn dies ist der Bereich des Glaubens. Die Wissenschaft hat es mit Objekten zu tun, die untersucht werden. Hier aber ist der Mensch kein Objekt, sondern Subjekt. Der Mensch ist als Person gefragt und seine Aufgabe ist, eine persönliche Antwort zu finden. Nach christlicher Überzeugung steht er dabei seinem Schöpfer gegenüber, der ihm fordernd und barmherzig zugleich begegnet.

Und genau darüber schreibt der Apostel Paulus. Nicht dass menschliche Weisheit, Klugheit und Verstand wertlos wären. Aber sie helfen nicht, die Grundfrage zu beantworten, die nach dem Sinn des Lebens. Wer aber seine persönliche Antwort gefunden hat, der mag dann durchaus alle Weisheit und Klugheit und allen Verstand, der ihm zur Verfügung steht, benutzen, um diese Antwort zu klären und sie in seinem Leben umzusetzen.

Beim Finden der persönlichen Antwort kommt es nun allerdings wirklich darauf an, Weisheit, Klugheit und Verstand beiseite zu lassen. Der Gott, dem wir gegenüber stehen, sagt Paulus – und das ist der Inhalt seiner Predigt – ist etwas anderes als die Verlängerung unserer menschlichen Gedanken. Dieser Gott ist ganz anders, als wir uns ihn vorstellen. Und wenn wir ihm begegnen wollen, dann müssen wir alle Bilder von Gott, die wir mit uns herumtragen, loslassen. Gott ist nicht ein Lückenbüßer, der erst an den Stellen wichtig wird, an denen unsere menschliche Erkenntnis an ihre Grenzen kommt. Er ist im Alltäglichen nicht weniger gegenwärtig als in Grenzerfahrungen, die uns zum Staunen bringen. Der lebendige Gott ist viel größer und ganz anders als wir uns ihn denken und er ist nicht an unsere Erwartungen gebunden.

Seht her, sagt Paulus, Gott hat sich uns in dem gekreuzigten Christus offenbart. Das widerspricht allen menschlichen Vorstellungen von Gott. „Christus“ heißt auf Deutsch „der Gesalbte“, mit „Gesalbter“ aber ist ein König gemeint. Die Juden haben in Jesus den erwarteten Messias gesehen, den endzeitlichen König David. Seine Kreuzigung aber hat für sie erwiesen, dass er nicht der Messias sein konnte, denn der Messias hätte die Welt in Ordnung gebracht und hätte niemals am Kreuz enden können. Aber auch für die Griechen ist ein Gekreuzigter nicht als Offenbarung Gottes denkbar. Ein Gott muss stark sein, wie kann er da Menschen unterliegen? Ein Gott, der in seinem Sohn leidet, ist das nicht ein Widerspruch in sich?

„Es gefiel Gott wohl,“ schreibt Paulus, „durch die Torheit der Predigt selig zu machen, die daran glauben“ (V 21). Man darf die Bibel und was sie erzählt durchaus historisch-kritisch hinterfragen und vielleicht wird dabei manches in Zweifel gezogen. Am Ende aber – und die ganze Untersuchung macht nur Sinn, wenn man zu diesem Ende gelangt – steht man vor der Frage: Will ich mich auf diesen Gott einlassen, der ganz anders ist, als ich mir Gott vorgestellt habe? Will ich mich ihm anvertrauen, mich von ihm leiten lassen, mich von ihm in den Dienst nehmen lassen?

Dieser Gott haut offenbar nicht mit der Faust auf den Tisch. Er hat vor 2000 Jahren die römische Besatzung in Palästina nicht beseitigt, sondern die Römer haben Jesus gekreuzigt. Er wird auch heute die Machtverhältnisse in dieser Welt, in der Wenige im Überfluss leben, in der es den Menschen in einigen Ländern, zu denen nicht zuletzt wir in Westeuropa gehören, relativ gut geht, und in der ein Großteil der Menschheit Mangel leidet, nicht per göttliches Dekret umstürzen. Aber er will uns begegnen. Dadurch will er die Welt verändern – zusammen mit uns. Er will Kontakt mit uns aufnehmen. Er will uns in der Mitte unserer Persönlichkeit in unseren Herzen erreichen. Dazu hat er Jesus Christus in diese Welt gesandt. In Jesus ist Gott Mensch unter uns Menschen geworden um uns in Augenhöhe zu begegnen. Nicht als allmächtiger Gott kommt er auf uns zu – das könnten wir als Menschen gar nicht ertragen. Er begegnet uns vielmehr als Mensch in liebevoller Zuwendung. Nicht, dass wir nach seinem Plan funktionieren, ist sein Wunsch, wie Rädchen in einem Getriebe, sondern dass wir auf seine Liebe aus freiem Willen antworten. Alle göttliche Macht legt er am Kreuz ab, damit seine eigentliche Kraft sichtbar wird: die Liebe.

So und auch noch anders kann man über den Gekreuzigten meditieren. Sein Tod am Kreuz kann Zeichen dafür sein, dass Jesus um Gottes Liebe willen auf weltlichen Erfolg, weltlichen Ruhm und weltliches Glück verzichtet, und wer den Gekreuzigten betrachtet, kann, wenn ihn die Liebe Gottes berührt, für sich selbst eine entsprechende Perspektive finden. Wichtig ist dabei nur: Es geht um die Begegnung mit Jesus Christus, dem Gekreuzigten, also mit einer Person, nicht um eine Lehre. Die Predigt des Paulus lädt zu dieser Begegnung ein. Und was uns zu Christen macht, ist nicht das Befolgen von irgendwelchen Regeln, sondern ein Leben, dass aus dieser Begegnung lebt und sich im Umgang mit Vernunft, Wissenschaft und Technik von seiner Liebe leiten lässt.

Pfarrer Heiner Bludau