04.04.2021 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 4 aprile 2021

ore 11


Culto per Famiglie per la Domenica di Pasqua con Santa Cena

Esodo 14,8-14.19-23.28-30a; 15,20-21 

Foto: epd-Bild
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Foto: Ralf Maro
Foto: Ralf Maro

Wo und Wann?


Sonntag, 4. April 2021

11 Uhr


Familiengottesdienst zum Ostersonntag mit Abendmahl

Exodus 14,8-14.19-23.28-30a; 15,20-21 



Testo della Predica


Esodo 14,8-14

 

Il SIGNORE indurì il cuore del faraone, re d'Egitto, ed egli inseguì i figli d'Israele che uscivano a testa alta. Gli Egiziani dunque li inseguirono. Tutti i cavalli, i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito li raggiunsero mentre essi erano accampati presso il mare, vicino a Pi-Achirot, di fronte a Baal-Sefon.

Quando il faraone si avvicinò, i figli d'Israele alzarono gli occhi; ed ecco, gli Egiziani marciavano alle loro spalle. Allora i figli d'Israele ebbero una gran paura, gridarono al SIGNORE,  e dissero a Mosè: «Mancavano forse tombe in Egitto, per portarci a morire nel deserto? Che cosa hai fatto, facendoci uscire dall'Egitto? Era appunto questo che ti dicevamo in Egitto: "Lasciaci stare, ché serviamo gli Egiziani!" Poiché era meglio per noi servire gli Egiziani che morire nel deserto». E Mosè disse al popolo: «Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che il SIGNORE compirà oggi per voi; infatti gli Egiziani che avete visti quest'oggi, non li rivedrete mai più. Il SIGNORE combatterà per voi e voi ve ne starete tranquilli».

Esodo 14,19-23 

Allora l'angelo di Dio, che precedeva il campo d'Israele, si spostò e andò a mettersi dietro a loro; anche la colonna di nuvola si spostò dalla loro avanguardia e si fermò dietro a loro,  mettendosi fra il campo dell'Egitto e il campo d'Israele. La nuvola era tenebrosa per gli uni, mentre rischiarava gli altri nella notte. Il campo degli uni non si avvicinò a quello degli altri per tutta la notte.

Allora Mosè stese la sua mano sul mare e il SIGNORE fece ritirare il mare con un forte vento orientale, durato tutta la notte, e lo ridusse in terra asciutta. Le acque si divisero, e i figli d'Israele entrarono in mezzo al mare sulla terra asciutta; e le acque formavano come un muro alla loro destra e alla loro sinistra. Gli Egiziani li inseguirono e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri, i suoi cavalieri, entrarono dietro a loro in mezzo al mare. 

Esodo 14,28-30a 

 

Le acque ritornarono e ricoprirono i carri, i cavalieri e tutto l'esercito del faraone che erano entrati nel mare dietro agli Israeliti. Non ne scampò neppure uno. I figli d'Israele invece camminarono sull'asciutto in mezzo al mare, e le acque formavano come un muro alla loro destra e alla loro sinistra. Così, in quel giorno, il SIGNORE salvò Israele dalle mani degli Egiziani, 

Esodo 15,20-21 

Allora Maria, la profetessa, sorella d'Aaronne, prese in mano il timpano e tutte le donne uscirono dietro a lei, con timpani e danze. E Maria rispondeva: «Cantate al SIGNORE, perché è sommamente glorioso: ha precipitato in mare cavallo e cavaliere».

Cara comunità!

Che cos’ha a che fare questa storia con la Pasqua? Moltissimo, ma purtroppo questa relazione non è riconoscibile a prima vista.

In italiano l’accesso alla comprensione di questo rapporto è più facile che in tedesco. La festa che celebriamo oggi si chiama “Pasqua”. E come “Pasqua ebraica”, quindi con la stessa parola, si può indicare la festa ebraica della Pesach che ricorda l’uscita degli Ebrei dall’Egitto. Nella versione italiana della Bibbia anche la Cena in questo giorno di festa e l’agnello che in origine veniva macellato per essa vengono tradotti con “Pasqua”.

Questo è un primo riferimento al legame tra queste due feste. Il legame è ancora più stretto per il fatto che le due feste nel calendario sono vicine. In origine la data era addirittura la stessa: si festeggiavano contemporaneamente la festa della Pesach e la festa della Pasqua. Poi i cristiani si sono voluti distinguere dalla tradizione ebraica e hanno spostato la data della festa della Pasqua a una domenica. La disputa su quale domenica dovesse essere scelta iniziò già nel secondo secolo e dura ancora adesso: fino ad oggi la festa della Pasqua viene festeggiata in diverse chiese in momenti diversi. L’ultimo tentativo di trovare una domenica comune per la festa della Pasqua è stato fatto di nuovo alcune settimane fa. Con il gran numero di chiese nel contesto mondiale sarà però un’impresa molto difficile.

Questi però sono dei nessi solo esteriori. Che cosa lega la festa della Pasqua con la festa della Pesach dal punto di vista del contenuto? A questa domanda ci sono due risposte diverse già nel Nuovo Testamento. Secondo gli Evangelisti Matteo, Marco e Luca la cena della Pesach è stata l’occasione nella quale Gesù ha celebrato l’ultima cena. Ecco quello che dice Marco sulla preparazione dell’ultima cena: “Il primo giorno degli Azzimi, quando si sacrificava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?»”. Nel Vangelo di Giovanni invece si dice in riferimento alla condanna di Gesù: “Poi, da Caiafa, condussero Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua”. Nel momento della festa della Pesach quindi Gesù muore. In questo senso diventa egli stesso l’agnello che viene sacrificato nella festa della Pesach.

Qualunque delle due interpretazioni sia quella corrispondente alla realtà, entrambe rendono chiaro che tra la festa della Pesach e la Pasqua c’è uno stretto legame. Da un lato la Santa Cena è la continuazione cristiana della cena della Pesach: in questo modo ogni celebrazione della Santa Cena ha l’uscita dall’Egitto sullo sfondo. E allo stesso tempo ogni celebrazione della Santa Cena ricorda la Pasqua. D’altra parte il Cristo risorto viene chiamato “Agnello di Dio”, e anche in questo si può riconoscere un’allusione all’agnello della Pesach.

Con questo però continua a non essere chiaro che cosa possa avere a che fare l’uscita del popolo di Israele dall’Egitto, ricordata nella festa della Pesach, con la resurrezione di Gesù Cristo che ricordiamo oggi a Pasqua. Forse lo si può riassumere così: si tratta di liberazione. Il popolo di Israele con l’uscita dall’Egitto è stato liberato dalla schiavitù; e nella fede in Gesù Cristo l’umanità con la resurrezione dai morti viene liberata dal farsi limitare e condizionare dalla caducità della vita terrena. Inoltre si può anche trovare un comune denominatore: la liberazione del popolo di Israele dall’Egitto e la resurrezione di Gesù Cristo dai morti sono due passi di Dio fondamentali verso di noi uomini per superare l’abisso tra Dio e l’umanità che esiste dalla cacciata di Adamo ed Eva dal Giardino dell’Eden.

Sia le diverse storie dell’incontro con il Risorto sia la storia dell’uscita dall’Egitto rendono chiaro che ci sono molti ostacoli a farsi davvero coinvolgere dall’offerta di Dio. La storia della Pasqua dal Vangelo di Marco che abbiamo sentito prima finisce con le parole: “Esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro, perché erano prese da tremito e da stupore; e non dissero nulla a nessuno, perché avevano paura”. Sentendo questa frase di gioia pasquale non si può di certo parlare.

Nella liturgia della Pesach, la Haggadah di Pesach, in un punto si dice: “In ogni generazione ognuno deve considerare se stesso come personalmente uscito dall’Egitto… Non solo i nostri padri furono liberati dal Santo, benedetto Egli sia, ma anche noi con essi”. Ma nella storia dell’uscita dall’Egitto che ho letto c’è una serie di punti che non fanno apparire molto facile un tale approccio personale.

Questo vale già per la prima frase: “Il SIGNORE indurì il cuore del faraone, re d’Egitto, ed egli inseguì i figli d’Israele”. Secondo quest’affermazione Dio non libera il popolo Israele dalla mano di un faraone tiranno, bensì la tirannia di questo re risale a Dio stesso. Come dobbiamo interpretare la cosa? Cosa che diventa ancora più grave se si legge la storia che la precede. Lì Dio ha chiesto a Mosè di esortare il faraone a far uscire dal Paese gli israeliti. Allo stesso tempo viene detto però sempre lì che Dio ha “indurito” il cuore del re in modo che egli ha rilasciato il popolo soltanto dopo che il suo Paese era stato flagellato da dieci diverse piaghe. Dietro a questo c’è la concezione che niente di tutto ciò che accade in questo mondo sia indipendente da ciò che vuole e fa Dio. Non abbandonarsi ciononostante semplicemente al “destino”, ma afferrare la mano di Dio tesa verso di noi che invita alla liberazione richiede un atteggiamento chiaro, univoco. Se la convinzione che il “destino” non sia indipendente da Dio in questo aiuti o sia piuttosto di ostacolo non mi azzardo a giudicarlo. Forse però vale la pena pensarci su in relazione alla pandemia attuale.

Il proseguimento della storia dell’uscita dall’Egitto mostra però che già gli israeliti a quel tempo avevano delle difficoltà a farlo. Di fronte alla minaccia, rimpiangono di aver fatto il primo passo verso la liberazione: i figli d’Israele “ebbero una gran paura, gridarono al SIGNORE, e dissero a Mosè: «Che cosa hai fatto, facendoci uscire dall’Egitto?»”. La strada della liberazione porta spesso in situazioni nelle quali si vorrebbe tornare al passato, anche se questo in realtà era tutt’altro che roseo.

Mosè invece ha un’altra prospettiva: «Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che il SIGNORE compirà oggi per voi». E poi avviene – contro ogni aspettativa – il grande miracolo: il mare si apre, gli israeliti lo possono attraversare senza nessun danno, il nemico invece viene annientato.

Possiamo credere a questo miracolo? A Pasqua pensiamo a un miracolo ancora molto più grande: Gesù è risorto dai morti. Non è assolutamente incredibile?

Apparentemente sì. Ma così come l’uscita dall’Egitto è diventata il fondamento dell’identità di un popolo, dalla resurrezione di Cristo è nata la Chiesa. Tutti e due i miracoli, nonostante la loro incredibilità, hanno avuto un effetto reale. E questi effetti invitano a prendere sul serio la loro origine, cioè i miracoli. Se guardiamo la realtà attuale sia di Israele che delle chiese, scaturiscono tante domande, alcune delle quali piuttosto spiacevoli. Il contesto biblico però invita a guardare indietro alle fondamenta: il popolo di Israele, che – almeno in parte – dalla metà del secolo scorso si trova di nuovo nel Paese nel quale lo ha portato l’Esodo, è invitato a vedere che la sua liberazione dall’Egitto non è nata dalle proprie forze, bensì dall’azione di Dio. E la Chiesa è invitata a vedere che per lei non può essere d’importanza conservare il potere istituzionale, bensì la fede verso il Cristo risorto che ci guida.

In questo modo possiamo sperimentare la liberazione grazie alla fede in Dio. E questo vale anche per noi personalmente. Sullo sfondo della liberazione dalla schiavitù, la liberazione che ci dà la resurrezione di Gesù Cristo dai morti ci può aiutare a vedere la vita con altri occhi, cioè con gli occhi del cuore. Ci lasciamo condizionare troppo dalle cattive notizie che ogni giorno sentiamo e vediamo. Ovviamente è importante prendere in considerazione le notizie per riflettere in che senso esse possano aiutarci ad agire in modo giusto. La base per la vera vita però è un’altra. Siamo legati a Gesù Cristo che è passato dal fallimento, e dalla sofferenza e dalla morte e che il terzo giorno è risorto dai morti. Egli non è più intrappolato nelle difficoltà di questa vita. Ed egli apre anche a noi una prospettiva della vita che vede più in là delle costrizioni e dei travagli di quello che viviamo e ci dà la libertà di affrontare la nostra vita diversamente che sotto la pressione degli eventi, pressione che ci tiene prigionieri.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Foto: Norbert Neetz
Foto: Norbert Neetz

Predigttext


 

Exodus 14,8-14

(Und) der HERR verstockte das Herz des Pharao, des Königs von Ägypten, dass er den Israeliten nachjagte. Aber die Israeliten waren mit erhobener Hand ausgezogen. Und die Ägypter jagten ihnen nach, alle Rosse und Wagen des Pharao und seine Reiter und das ganze Heer des Pharao, und holten sie ein, als sie am Meer bei Pi-Hahirot vor Baal-Zefon lagerten.

Und als der Pharao nahe herankam, hoben die Israeliten ihre Augen auf, und siehe, die Ägypter zogen hinter ihnen her. Und sie fürchteten sich sehr und schrien zu dem HERRN und sprachen zu Mose: Waren nicht Gräber in Ägypten, dass du uns wegführen musstest, damit wir in der Wüste sterben? Warum hast du uns das angetan, dass du uns aus Ägypten geführt hast? Haben wir’s dir nicht schon in Ägypten gesagt: Lass uns in Ruhe, wir wollen den Ägyptern dienen? Es wäre besser für uns, den Ägyptern zu dienen, als in der Wüste zu sterben.

Da sprach Mose zum Volk: Fürchtet euch nicht, steht fest und seht zu, was für ein Heil der HERR heute an euch tun wird. Denn wie ihr die Ägypter heute seht, werdet ihr sie niemals wiedersehen. Der HERR wird für euch streiten, und ihr werdet stille sein.

Exodus 14,19-23

Da erhob sich der Engel Gottes, der vor dem Heer Israels herzog, und stellte sich hinter sie. Und die Wolkensäule vor ihnen erhob sich und trat hinter sie und kam zwischen das Heer der Ägypter und das Heer Israels. Und dort war die Wolke finster und hier erleuchtete sie die Nacht, und so kamen die Heere die ganze Nacht einander nicht näher. Als nun Mose seine Hand über das Meer reckte, ließ es der HERR zurückweichen durch einen starken Ostwind die ganze Nacht und machte das Meer trocken, und die Wasser teilten sich. Und die Israeliten gingen hinein mitten ins Meer auf dem Trockenen, und das Wasser war ihnen eine Mauer zur Rechten und zur Linken. Und die Ägypter folgten und zogen hinein ihnen nach, alle Rosse des Pharao, seine Wagen und Reiter, mitten ins Meer.

Exodus 14.28-30a

Und das Wasser kam wieder und bedeckte Wagen und Reiter, das ganze Heer des Pharao, das ihnen nachgefolgt war ins Meer, sodass nicht einer von ihnen übrig blieb. Aber die Israeliten gingen trocken mitten durchs Meer, und das Wasser war ihnen eine Mauer zur Rechten und zur Linken. So errettete der HERR an jenem Tage Israel aus der Ägypter Hand. 

Exodus 15,20-21

Da nahm Mirjam, die Prophetin, Aarons Schwester, eine Pauke in ihre Hand, und alle Frauen folgten ihr nach mit Pauken im Reigen. Und Mirjam sang ihnen vor: Lasst uns dem HERRN singen, denn er ist hoch erhaben; Ross und Reiter hat er ins Meer gestürzt.

Liebe Gemeinde!

Was hat diese Geschichte mit Ostern zu tun? Sehr viel, aber leider ist diese Beziehung nicht gleich auf den ersten Blick erkennbar.

In der italienischen Sprache gibt es einen leichteren Zugang zu einem entsprechenden Verständnis. Das Fest, das wir heute feiern, heißt „Pasqua“. Und als „Pasqua ebraica“, also mit demselben Wort, kann man auch das jüdische Pessach-Fest bezeichnen, das an den Auszug aus Ägypten erinnert. In der italienischen Bibel wird auch das Mahl an diesem Festtag und das Lamm, das dabei ursprünglich geschlachtet wurde, mit „Pasqua“ übersetzt.

Das ist immerhin ein erster Hinweis auf die Verbindung zwischen diesen beiden Festen. Vertieft wird er dadurch, dass die beiden Feste im Kalender eng beieinander liegen. Ursprünglich war das Datum sogar identisch: Man feierte gleichzeitig das jüdische Passahfest und das Osterfest. Dann wollten sich die Christen von der jüdischen Tradition abgrenzen und verlegten den Termin für das Osterfest auf einen Sonntag. Der Streit darüber, welcher Sonntag dafür denn gewählt werden soll, begann bereits im 2. Jahrhundert. Und er dauert an: Bis heute wird das Osterfest in verschiedenen Kirchen zu verschiedenen Zeitpunkten gefeiert. Zuletzt gab es vor einigen Wochen wieder einen neuen Versuch, einen gemeinsamen Sonntag für das Osterfest zu finden. Unter der Vielzahl der Kirchen im weltweiten Kontext wird das aber sehr schwierig sein.

Das alles sind aber zunächst nur äußerliche Zusammenhänge. Was verbindet das Osterfest denn inhaltlich mit dem Passahfest? Auf diese Frage gibt es schon im neuen Testament zwei verschiedene Antworten. Gemäß der Evangelisten Matthäus, Markus und Lukas war das Passahmahl die Gelegenheit, bei der Jesus das letzte Abendmahl gefeiert hat. So erzählt Markus in Bezug auf die Vorbereitung des Abendmahls: „Und am ersten Tage der Ungesäuerten Brote, da man das Passalamm opferte, sprachen seine Jünger zu ihm: Wo willst du, dass wir hingehen und das Passalamm bereiten, damit du es essen kannst?“ (Mk 14,12) Beim Evangelisten Johannes hingegen heißt es in Bezug auf die Verurteilung von Jesus: „Da führten sie Jesus von Kaiphas vor das Prätorium; es war aber früh am Morgen. Und sie gingen nicht hinein in das Prätorium, damit sie nicht unrein würden, sondern das Passamahl essen könnten.“ (Joh 18,28) Zum Zeitpunkt des Passahfestes stirbt Jesus demnach. In diesem Sinn wird er selbst zu dem Lamm, das beim Passahfest geopfert wird.

Welche der beiden Interpretationen historisch nun auch immer zutreffend ist, sie machen beide deutlich, dass ein sehr enger Zusammenhang zwischen dem Passahfest und Ostern besteht. Einerseits ist das Abendmahl ist sozusagen die christliche Fortsetzung des Passahmahles: Damit hat jede Abendmahlsfeier den Auszug aus Ägypten als Hintergrund. Und gleichzeitig erinnert jede Abendmahlsfeier an Ostern. Andererseits wird der auferstandene Christus das „Lamm Gottes“ genannt, und auch darin lässt sich eine Anspielung auf das Passahlamm erkennen.  

Damit ist aber immer noch nicht klar, was denn der Auszug des Volkes Israel aus Ägypten, an den beim Passahfest erinnert wird, mit der Auferstehung von Jesus Christus zu tun haben könnte, an die heute an Ostern gedacht wird. Vielleicht lässt sich das so zusammenfassen: Es geht um Befreiung. Das Volk Israel wurde durch den Auszug aus Ägypten aus der Sklaverei befreit. Und im Glauben an Jesus Christus wird die Menschheit durch seine Auferstehung von den Toten davon befreit, sich von der Vergänglichkeit des irdischen Lebens einengen und bestimmen zu lassen. Darüber hinaus lässt sich auch noch ein gemeinsamer Nenner finden: Die Befreiung des Volkes Israel aus Ägypten und die Auferweckung von Jesus Christus von den Toten sind zwei entscheidende Schritte Gottes auf uns Menschen zu, um den Abgrund zwischen Gott und der Menschheit, der seit der Vertreibung von Adam und Eva aus dem Garten Eden besteht, zu überwinden.

Dabei machen sowohl die verschiedenen Geschichten von der Begegnung mit dem Auferstandenen, als auch die Geschichte vom Auszug aus Ägypten deutlich, dass es viele Hindernisse gibt, sich dem Angebot Gottes wirklich zu überlassen. Die Ostergeschichte aus dem Markusevangelium, die wir vorhin gehört haben, endet mit den Worten: „Und sie gingen hinaus und flohen von dem Grab; denn Zittern und Entsetzen hatte sie ergriffen. Und sie sagten niemand etwas; denn sie fürchteten sich.“ (Mk 16,8) Von österlicher Freude ist da nicht wirklich die Rede. 

In der Liturgie des Passahfestes, der Pessach-Haggadah, heißt es an einer Stelle: „In allen Zeitaltern ist es Pflicht eines jeden Einzelnen sich vorzustellen, als sei er selbst aus Ägypten gezogen. … Nicht unsere Vorfahren allein hat der Heilige, gepriesen sei er, erlöst, sondern mit ihnen hat er auch uns erlöst.“ Aber in der Geschichte vom Auszug aus Ägypten, die ich vorgelesen habe, gibt es eine ganze Reihe von Stellen, die einen solchen persönlichen Zugang nicht als sehr einfach erscheinen lassen. 

Das trifft gleich schon auf den ersten Satz zu: „Der HERR verstockte das Herz des Pharao, des Königs von Ägypten, dass er den Israeliten nachjagte.“ (Ex 14,8) Demnach befreit Gott das Volk Israel nicht einfach aus der Hand eines tyrannischen Pharaos, sondern die Tyrannei dieses Königs geht auf Gott selbst zurück. Wie soll man das verstehen?  Die Sache wird noch gravierender, wenn man die Geschichte davor liest. Dort hat Gott Mose aufgefordert, vom Pharao den Auszug der Israeliten zu fordern. Gleichzeitig heißt es aber auch dort, Gott habe das Herz des Königs „verstockt“, sodass er das Volk erst freigelassen hat, nachdem sein Land mit zehn verschiedenen Plagen gequält worden war. Dahinter steht die Auffassung, dass nichts, was in dieser Welt geschieht, unabhängig ist von dem, was Gott will und tut. Sich dennoch nicht einfach dem „Schicksal“ zu überlassen, sondern die ausgestreckte Hand Gottes, die zur Befreiung einlädt, zu ergreifen, erfordert eine klare, eindeutige Haltung. Ob die Überzeugung, dass das „Schicksal“ von Gott nicht unabhängig ist, dabei hilft oder eher hindert, wage ich nicht zu beurteilen. Es lohnt sich aber vielleicht, im Zusammenhang der gegenwärtigen Pandemie darüber nachzudenken.

Der weitere Verlauf der Geschichte vom Auszug aus Ägypten zeigt allerdings, dass schon die Israeliten damals sich damit schwer getan haben. Angesichts der Bedrohung bereuen sie den ersten Schritt in die Befreiung, den sie gegangen sind. „Sie fürchteten sich sehr und schrien zu dem HERRN und sprachen zu Mose: … Warum hast du uns das angetan, dass du uns aus Ägypten geführt hast?“ Der Weg der Befreiung führt oft in Situationen, in denen man sich in die Vergangenheit zurücksehnt, auch wenn diese in Wirklichkeit durchaus nicht erstrebenswert war. 

Mose hingegen hat eine andere Perspektive: „Fürchtet euch nicht,“ sagt er, „steht fest und seht zu, was für ein Heil der HERR heute an euch tun wird.“ Und dann geschieht – entgegen aller Erwartung – das große Wunder: Das Meer teilt sich, die Israeliten können ohne Schaden hindurch ziehen, der Feind aber wird ausgelöscht.

Können wir an dieses Wunder glauben? An Ostern denken wir an ein noch viel größeres Wunder: Jesus sei von den Toten auferstanden. Ist das nicht völlig unglaublich?

Scheinbar ja. Aber so wie der Auszug aus Ägypten die Grundlage der Identität eines Volkes geworden ist, das bis heute besteht, so ist aus der Auferstehung Christi die Kirche entstanden. Beide Wunder haben trotz ihrer Unglaublichkeit eine reale Wirkung gehabt. Und diese Wirkungen laden dazu ein, deren Ursache, also die Wunder, ernst zu nehmen. Wenn wir uns die gegenwärtige Realität sowohl des Volkes Israel als auch die der Kirchen ansehen, so löst das viele Fragen aus, von denen einige ziemlich unangenehm sind. Der biblische Bezug aber lädt ein, auf die Grundlagen zurückzusehen: Das Volk Israel, das sich – zumindest zum Teil – seit  Mitte des letzten Jahrhunderts wieder in dem Land befindet, in das ihn der Auszug geführt hat, ist eingeladen darauf zu sehen, dass seine Befreiung aus Ägypten nicht aus eigener Kraft sondern durch das Handeln Gottes entstanden ist. Und die Kirche ist eingeladen darauf zu sehen, dass es für sie nicht um institutionellen Machterhalt gehen kann, sondern um den Glauben an den auferstandenen Christus, der uns leitet. 

Auf diese Weise können wir aus dem Glauben an Gott Befreiung erfahren. Und das gilt auch für uns persönlich. Die Befreiung, die uns vor dem Hintergrund der Befreiung aus der Sklaverei die Auferstehung Jesu Christi von den Toten vermittelt, kann uns helfen, das Leben mit anderen Augen wahrzunehmen, nämlich mit den Augen des Herzens. Viel zu sehr lassen wir uns oft von den schlimmen Nachrichten bestimmen, die wir jeden Tag hören und sehen. Natürlich ist es wichtig, die Nachrichten wahrzunehmen, und zu überlegen, welche Konsequenzen sie für das eigene Handeln haben. Aber die Grundlage für das wahre Leben ist eine andere. Wir sind verbunden mit Jesus Christus, der durch Scheitern und Leiden und Tod hindurchgegangen ist und am dritten Tag von den Toten auferstanden ist. Er ist nicht mehr eingezwängt in die Bedrängnisse dieses Lebens. Und er eröffnet auch uns eine Perspektive des Lebens, die über die Zwänge und Nöte dessen, was wir erleben, hinausschaut und uns die Freiheit gibt, unser Leben anders anzugehen als unter dem Druck der Ereignisse, der uns gefangen hält.

Pfarrer Heiner Bludau