02.04.2021 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Venerdì, 2 aprile 2021

ore 18


Venerdì Santo

Isaìa 52,13 – 53,12

Grafica-Graphik: Pfeffer
Grafica-Graphik: Pfeffer

Wo und Wann?


Freitag, 2. April 2021

18 Uhr


Karfreitag

Jes 52,13 – 53,12 



Testo della Predica


Cara comunità!

Certamente possiamo sperare che prima o poi con l’aiuto dei vaccini la pandemia sarà superata. Con questo però i problemi sul nostro pianeta non verranno superati. Non saranno soltanto le conseguenze economiche della pandemia a lasciare il segno a lungo, ma anche tante dinamiche e tanti avvenimenti, che al momento sono in secondo piano perché le notizie attuali sono dedicate principalmente al Covid-19, rimangono scottanti: la lotta delle grandi potenze per la supremazia sulla nostra Terra, il cambiamento climatico e l’estinzione di specie di animali e di piante, disuguaglianze sociali, ingiustizie e molto altro.

Ci possiamo augurare che per tutti questi problemi vengano trovate delle soluzioni, ma anche se siamo disposti ad apportare il nostro contributo e lo facciamo anche, non siamo comunque innocenti per quanto riguarda lo stato della nostra Terra e della vita su di essa. Il nostro stile di vita, che non possiamo abbandonare come singoli facilmente, è un fattore determinante delle cause. Siamo tutti collegati in un comportamento colpevole, possiamo sì aumentare o ridurre un poco la nostra colpa personale, non siamo però in grado con il nostro proprio sforzo di liberarcene.

 

Questa cognizione non è nuova. Anche duemilacinquecento anni fa il mondo era in una situazione critica. La popolazione dello Stato della Giudea dopo la conquista della sua capitale Gerusalemme da parte della superpotenza Babilonia era stata mandata in esilio. Ora si prospettava uno scontro del Regno Babilonese e della superpotenza Persia, cosa che dette nuova speranza agli esiliati. Ma come le cose dovessero andare avanti nell’insieme nel mondo di allora era un’incognita assoluta. Era anche incerto se il proprio Paese, con la capitale distrutta, sarebbe mai stato in grado di mettere di nuovo in piedi un proprio Stato indipendente.

Il fatto che la popolazione ebraica colpita non fosse innocente per la situazione i profeti del tempo lo hanno sottolineato molto. Il loro modo di vedere non si riferiva soltanto alla situazione del momento. La colpevolezza dell’uomo nell’Antico Testamento inizia già da Adamo ed Eva. E da Abramo in poi – e questa è la base dell’annuncio dei profeti – Dio viene incontro all’umanità per salvarla dal suo peccato e per superare di nuovo la divisione tra Dio e l’essere umano.

Nessuna delle iniziative di Dio aveva però portato fino ad allora ad alcun successo. Dio si è eletto un popolo, lo ha liberato dalla schiavitù in Egitto, ha stretto un’alleanza con lui, ha rivelato la sua volontà tramite dei profeti. Ma il popolo ha fatto la propria strada. Ciononostante Dio non lo ha abbandonato.

 

Alle parti più impressionanti del Libro del profeta Isaia appartengono i canti del servo del Signore. Qui ha inizio ora una prospettiva assolutamente nuova. Leggo il quarto canto del servo del Signore nel 52° (cinquantaduesimo) e 53°(cinquantatreesimo) capitolo:

 

Isaia 52,13-53,12

Ecco, il mio servo prospererà, sarà innalzato, esaltato, reso sommamente eccelso. Come molti, vedendolo, sono rimasti sbigottiti (tanto era disfatto il suo sembiante al punto da non sembrare più un uomo, e il suo aspetto al punto da non sembrare più un figlio d'uomo), così molte saranno le nazioni di cui egli desterà l'ammirazione; i re chiuderanno la bocca davanti a lui, poiché vedranno quello che non era loro mai stato narrato, apprenderanno quello che non avevano udito. 

Chi ha creduto a quello che abbiamo annunciato? A chi è stato rivelato il braccio del SIGNORE? Egli è cresciuto davanti a lui come una pianticella, come una radice che esce da un arido suolo; non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci. Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.

Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato! Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. 

Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l'agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca. Dopo l'arresto e la condanna fu tolto di mezzo; e tra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa dei peccati del mio popolo? Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è stato con il ricco, perché non aveva commesso violenze né c'era stato inganno nella sua bocca. Ma il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti.

Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l'opera del SIGNORE prospererà nelle sue mani. Dopo il tormento dell'anima sua vedrà la luce e sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti, si caricherà egli stesso delle loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, egli dividerà il bottino con i molti, perché ha dato se stesso alla morte ed è stato contato fra i malfattori; perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i colpevoli.

Come gli altri profeti del suo tempo, Geremia ed Ezechiele, anche Isaia soffriva molto per la situazione nella quale viveva. E questo non solo perché la situazione stessa fosse difficile da sopportare, bensì soprattutto perché egli sosteneva una posizione che gli era stata imposta da Dio, che però non veniva accettata dalla popolazione. La sua propria sofferenza gli rendeva quindi molto chiaro il fatto che un cambiamento della situazione verso una riconciliazione dell’umanità con il Creatore non sarebbe stata possibile senza sofferenza. Forse questa è stata la spinta affinché alle speranze popolari del tempo, secondo le quali sarebbe arrivato un nuovo re che avrebbe messo tutto a posto, egli contrapponesse un’immagine totalmente diversa: l’immagine del servo del Signore sofferente. La sua sofferenza sarebbe stata sofferta in vece degli uomini, egli si sarebbe fatto carico del peccato degli uomini. E così Isaia abbozzò un’immagine mozzafiato di un uomo che attraverso la sua sofferenza che suscitava soltanto disprezzo tra il suo prossimo avrebbe cambiato il mondo.

 

Mentre Isaia con la sua visione guardava verso il futuro creando una speranza totalmente nuova, la nostra prospettiva è al contrario: noi guardiamo indietro. Possiamo osservare con grande stupore che questo passo biblico, apparentemente soltanto poetico, 500 anni dopo Isaia è diventato realtà in modo assolutamente concreto, come praticamente nessun’altra profezia nell’Antico Testamento.

Tutto ciò che viene detto qui del servo del Signore si può ritrovare senza nessuno sforzo in quello che duemila anni fa successe a Gesù Cristo. La morte sulla croce lo ha tanto distrutto da non sembrare più un uomo. “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l’agnello condotto al mattatoio”, leggiamo del servo del Signore. “Quelli che passavano lì vicino lo insultavano, scotendo il capo e dicendo: «Eh, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso e scendi giù dalla croce!»” Così sta scritto nel Vangelo di Marco. In Isaia si dice: era “disprezzato e abbandonato dagli uomini” e “noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato!”

La sua sofferenza però è soltanto un lato dell’accaduto. Il messaggio centrale è: “Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti”. In un altro punto si parla di “condanna”. Gesù Cristo ha preso su di sé la condanna a morte di Dio sull’umanità permettendo così a noi una nuova vita.

Dio ha accettato questo sacrificio. Gesù “era strappato dalla terra dei viventi”, benché “non avesse commesso violenze né c’era stato inganno nella sua bocca”. Però, così viene detto in Isaia, “vedrà la luce e sarà soddisfatto”, “egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni”. Gesù Cristo il terzo giorno è stato resuscitato dai morti. È la chiave per il futuro, non solo per il popolo di Dio dell’Antico Testamento, bensì per il mondo intero. “…molte saranno le nazioni di cui egli desterà l’ammirazione; i re chiuderanno la bocca davanti a lui, poiché vedranno quello che non era loro mai stato narrato, apprenderanno quello che non avevano udito”

 

Forse Gesù stesso si è riconosciuto nel canto del servo del Signore. Potrebbe essere la base dei suoi annunci della passione che ci vengono trasmessi nei vangeli.

La Chiesa ad ogni modo lo ha riconosciuto lì e vi ha trovato la base per il messaggio del Vangelo.

Ma lo riconosciamo anche noi? E con questo non voglio dire soltanto la corrispondenza tra le affermazioni su Gesù Cristo nel Nuovo Testamento e l’annuncio nell’Antico Testamento. Mi chiedo soprattutto se prendiamo sul serio ciò che la Bibbia nella sua totalità ci vuole trasmettere e se ci facciamo guidare da questo: che noi dai tempi di Adamo ed Eva siamo separati da Dio e che non possiamo trovare la strada per tornare da lui con le nostre proprie forze; che noi con le nostre sole forze non possiamo però nemmeno salvare il mondo. Che Dio però ci viene incontro, non ci abbandona al coinvolgimento nel peccato.

Durante la preparazione di questa predica mi sono imbattuto in una frase che mi ha fatto riflettere: “Qui uno secondo la sua spontanea volontà si fa inchiodare alla croce dove in realtà il posto sarebbe il mio. Perché? Poiché Gesù è stato inchiodato alla croce senza meritarselo per il suo amore vissuto e io per la mia incapacità di amare ne esco indenne”. Questa è l’affermazione che è contenuta in molti canti antichi della Passione. La possiamo accettare?

 

Come andranno avanti le cose sulla nostra Terra concretamente lo sappiamo tanto poco quanto lo sapeva Isaia duemilacinquecento anni fa. Egli si è orientato verso l’affermazione di Dio e in una visione ha intuito che cosa sarebbe successo a Gesù Cristo cinquecento anni dopo. E anche noi siamo invitati a farlo. Guardando indietro a quello che il profeta ha previsto siamo invitati ad accettare la morte di Gesù sulla croce come un dono. E più precisamente in modo da farci dirigere da essa nella nostra vita quotidiana. Non sono le notizie giornaliere sul Covid-19 ad essere una base affidabile, bensì la fede in Gesù Cristo che è morto per noi in croce. Il suo sacrificio ci apre per l’amore con il quale egli ci ama. Seguire questo amore può creare sofferenza anche in noi. La promessa della luce però rimane, qualsiasi aspetto avrà questa luce e qualsiasi forma essa prenderà.

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito

Grafica-Graphik: Pfeffer
Grafica-Graphik: Pfeffer

Predigttext


Liebe Gemeinde!

Sicherlich können wir darauf hoffen, dass mit Hilfe der Impfungen die Pandemie irgendwann überwunden wird. Aber damit werden die Probleme auf unserem Planeten nicht gelöst sein. Nicht nur die wirtschaftlichen Folgen der Pandemie werden noch lange Zeit  nachwirken. Auch viele Vorgänge, die derzeit in den Hintergrund treten, weil die derzeitigen Nachrichten hauptsächlich dem Umgang mit Covid-19 gewidmet sind, bleiben akut: Der Kampf der Großmächte um die Vorherrschaft auf unserer Erde, die Klimaerwärmung und das Aussterben von Tier- und Pflanzenarten, soziale Ungleichheiten und Ungerechtigkeiten und vieles andere. 

Wir können uns wünschen, dass für alle diese Probleme Lösungen gefunden werden. Aber selbst wenn wir bereit sind, dazu einen Beitrag zu leisten und dies auch tun, so sind wir doch nicht unschuldig an dem Zustand unserer Erde und des Lebens darauf. Unser Lebensstil, aus dem wir als Einzelne gar nicht ohne weiteres aussteigen können, ist ein wesentlicher Faktor in Bezug auf die Ursachen. Wir sind eingebunden in schuldhaftes Verhalten, können unsere persönliche Schuld zwar verstärken oder etwas vermindern, sind aber nicht in der Lage, durch eigene Anstrengung frei davon zu werden.

 

Neu ist diese Erkenntnis allerdings nicht. Auch vor zweieinhalbtausend Jahren war die Welt in einem kritischen Zustand. Die Bevölkerung des Staates Juda war nach der Eroberung ihrer Hauptstadt Jerusalem durch die Großmacht Babylonien ins Exil verbannt worden. Nun kündigte sich eine Konfrontation des babylonischen Reiches mit der Großmacht Persien an, die den Exilierten neue Hoffnung verlieh. Aber wie es insgesamt in der damaligen Welt weitergehen würde, war völlig offen. Und unklar war dabei auch, ob das eigene Land mit seiner zerstörten Hauptstadt jemals wieder einen eigenen unabhängigen Staat errichten könnte.

Dass die betroffene hebräische Bevölkerung an der Situation nicht unschuldig war, haben die Propheten der damaligen Zeit sehr betont. Ihre Sichtweise bezog sich dabei nicht nur auf die aktuelle Situation. Die Schuldhaftigkeit des Menschen beginnt im Alten Testament schon bei Adam und Eva. Und seit Abraham – und das ist die Grundlage der Verkündigung der Propheten – kommt Gott der Menschheit entgegen, um sie aus ihrer Schuld zu erretten und die Trennung zwischen Gott und den Menschen wieder aufzuheben.

Keine der Initiativen Gottes aber hat bis dahin zum Erfolg geführt. Gott hat sich ein Volk erwählt, er hat es aus der Sklaverei in Ägypten befreit, hat einen Bund mit ihm geschlossen, hat seinen Willen durch Propheten kundgetan. Aber das Volk ging seinen eigenen Weg. Trotzdem hat Gott es nicht verlassen. 

Zu den beeindruckendsten Abschnitten im Buch des Propheten Jesaja gehören die Lieder vom Gottesknecht. Hier wird eine ganz neue Perspektive eröffnet. Ich lese das vierte Lied vom Gottesknecht im 52. und 53. Kapitel.

 

Jes 52,13-53,12

Siehe, meinem Knecht wird’s gelingen, er wird erhöht und sehr hoch erhaben sein. Wie sich viele über ihn entsetzten – so entstellt sah er aus, nicht mehr wie ein Mensch und seine Gestalt nicht wie die der Menschenkinder –, so wird er viele Völker in Staunen versetzen, dass auch Könige ihren Mund vor ihm zuhalten. Denn was ihnen nie erzählt wurde, das werden sie nun sehen, und was sie nie gehört haben, nun erfahren.

Aber wer glaubt dem, was uns verkündet wurde, und an wem ist der Arm des HERRN offenbart? Er schoss auf vor ihm wie ein Reis und wie eine Wurzel aus dürrem Erdreich. Er hatte keine Gestalt und Hoheit. Wir sahen ihn, aber da war keine Gestalt, die uns gefallen hätte. Er war der Allerverachtetste und Unwerteste, voller Schmerzen und Krankheit. Er war so verachtet, dass man das Angesicht vor ihm verbarg; darum haben wir ihn für nichts geachtet.

Fürwahr, er trug unsre Krankheit und lud auf sich unsre Schmerzen. Wir aber hielten ihn für den, der geplagt und von Gott geschlagen und gemartert wäre. Aber er ist um unsrer Missetat willen verwundet und um unsrer Sünde willen zerschlagen. Die Strafe liegt auf ihm, auf dass wir Frieden hätten, und durch seine Wunden sind wir geheilt.

Wir gingen alle in die Irre wie Schafe, ein jeder sah auf seinen Weg. Aber der HERR warf unser aller Sünde auf ihn. Als er gemartert ward, litt er doch willig und tat seinen Mund nicht auf wie ein Lamm, das zur Schlachtbank geführt wird; und wie ein Schaf, das verstummt vor seinem Scherer, tat er seinen Mund nicht auf. 

Er ist aus Angst und Gericht hinweggenommen. Wen aber kümmert sein Geschick? Denn er ist aus dem Lande der Lebendigen weggerissen, da er für die Missetat seines Volks geplagt war. Und man gab ihm sein Grab bei Gottlosen und bei Übeltätern, als er gestorben war, wiewohl er niemand Unrecht getan hat und kein Betrug in seinem Munde gewesen ist. Aber der HERR wollte ihn also zerschlagen mit Krankheit. Wenn er sein Leben zum Schuldopfer gegeben hat, wird er Nachkommen haben und lange leben, und des HERRN Plan wird durch ihn gelingen. Weil seine Seele sich abgemüht hat, wird er das Licht schauen und die Fülle haben. 

Durch seine Erkenntnis wird er, mein Knecht, der Gerechte, den Vielen Gerechtigkeit schaffen; denn er trägt ihre Sünden. Darum will ich ihm die Vielen zur Beute geben und er soll die Starken zum Raube haben dafür, dass er sein Leben in den Tod gegeben hat und den Übeltätern gleichgerechnet ist und er die Sünde der Vielen getragen hat und für die Übeltäter gebeten.

Wie die anderen Propheten seiner Zeit, Jeremias und Hesekiel, litt auch Jesaja sehr unter der Situation, in der er lebte. Und dies nicht nur, weil die Situation selbst schwer erträglich war, sondern vor allem weil er eine Position vertrat, die ihm von Gott nahegelegt worden war, die aber von der Bevölkerung nicht akzeptiert wurde. Sein eigenes Leiden machte ihm wohl deshalb klar, dass eine Veränderung der Lage in Richtung auf eine Versöhnung der Menschheit mit ihrem Schöpfer nicht ohne Leiden möglich sein würde. Vielleicht war dies der Anstoß dazu, dass er den populären Hoffnungen der damaligen Zeit, ein neuer König werde kommen und alles in Ordnung bringen, ein ganz anderes Bild entgegensetzte: das Bild vom leidenden Gottesknecht. Dessen Leiden würde ein stellvertretendes Leiden sein, er würde die Schuld der Menschen auf sich nehmen. Und so entwarf er ein atemberaubendes Bild von einem Mann, der durch sein Leiden, das bei seinen Mitmenschen nur Verachtung hervorrief, die Welt verändern würde.

 

Während Jesaja mit seiner Vision in die Zukunft schaute und damit eine ganz neue Hoffnung kreierte, ist unsere Perspektive eine umgekehrte: Wir schauen zurück. Wir können mit großem Erstaunen wahrnehmen, dass dieser scheinbar bloß poetische Bibelabschnitt 500 Jahre nach Jesaja in einer ganz konkreten Weise Realität wurde, wie das sonst auf kaum eine andere Verheißung im Alten Testament zutrifft. 

Alles das, was hier von dem Gottesknecht gesagt wird, lässt sich ohne Mühe in dem wiederfinden, was vor zweitausend Jahren mit Jesus Christus geschah. Der Tod am Kreuz hat ihn entstellt, dass er nicht mehr wie ein Mensch aussah. „Als er gemartert wurde, litt er doch willig und tat seinen Mund nicht auf wie ein Lamm, das zur Schlachtbank geführt wird“ lesen wir vom Gottesknecht. „Und die vorübergingen, lästerten ihn und schüttelten die Köpfe und sprachen: Ha, der du den Tempel abbrichst und baust ihn auf in drei Tagen, hilf dir nun selber und steig herab vom Kreuz!“ (Markus 15,29f) So steht es im Markusevangelium. Bei Jesaja heißt das: „Er war der Allerverachtetste und Unwerteste“, und „wir aber hielten ihn für den, der geplagt und von Gott geschlagen und gemartert wäre“.

Sein Leiden aber ist nur die eine Seite des Geschehens. Die zentrale Aussage ist: „Aber er ist um unserer Missetat willen verwundet und um unserer Sünde willen zerschlagen. Die Strafe liegt auf ihm, auf dass wir Frieden hätten, und durch seine Wunden sind wir geheilt.“ An anderer Stelle ist vom „Gericht“ die Rede. Jesus Christus hat das Todesurteil Gottes über die Menschheit auf sich genommen und uns so ein neues Leben ermöglicht.

Gott hat dieses Opfer angenommen. Jesus wurde „aus dem Lande der Lebendigen weggerissen“, „wiewohl er niemand Unrecht getan hat und kein Betrug in seinem Munde gewesen ist.“ Aber, so heißt es bei Jesaja: „er wird das Licht schauen und die Fülle haben“, „er wird Nachkommen haben und lange leben“. Jesus Christus ist am dritten Tag von den Toten auferweckt worden. Er ist der Schlüssel für die Zukunft, nicht nur für das Gottesvolk des Alten Testaments, sondern für die ganze Welt. Er wird „viele Völker in Staunen versetzen, dass auch Könige ihren Mund vor ihm zuhalten. Denn was ihnen nie erzählt wurde, das werden sie nun sehen, und was sie nie gehört haben, nun erfahren“. 

 

Vielleicht hat Jesus selbst sich in dem Lied vom Gottesknecht schon wiedererkannt. Das könnte die Grundlage für seine Leidensankündigungen sein, die uns in den Evangelien überliefert sind. 

Die Kirche jedenfalls hat ihn darin wiedererkannt und hat darin die Grundlage für ihre Verkündigung gefunden.

Aber erkennen auch wir ihn wieder? Und damit meine ich nicht nur die Übereinstimmung zwischen den Aussagen über Jesus Christus im Neuen Testament und der Ankündigung im Alten Testament. Ich frage mich vor allem, ob wir das, was uns die Bibel als Ganze vermitteln will, ernst nehmen und uns davon leiten lassen: Dass wir seit Adam und Eva von Gott getrennt sind und aus eigener Kraft nicht zu ihm zurückfinden können; dass wir aus eigener Kraft aber auch die Welt nicht retten können. Dass Gott uns aber entgegen kommt, uns nicht der Verstrickung in Schuld überlässt.

Bei der Vorbereitung auf diese Predigt bin ich auf einen denkwürdigen Satz gestoßen: „Hier lässt sich einer freiwillig ans Kreuz schlagen, wo eigentlich mein Platz wäre. Warum? Weil Jesus für seine gelebte Liebe unverdient ans Kreuz genagelt wurde und ich für meine Unfähigkeit zu lieben ungeschoren davonkomme.“ Dies ist die Aussage, die in vielen alten Passionsliedern enthalten ist. Können wir sie annehmen?

 

Wie es auf unserer Erde konkret weitergehen wird, wissen wir ebenso wenig, wie Jesaja das vor zweieinhalbtausend Jahren wusste. Er hat sich an der Zusage Gottes orientiert und hat in einer Vision erahnt, was durch Jesus Christus fünfhundert Jahre später geschehen würde. Und dazu sind auch wir eingeladen. Im Rückblick auf das, was der Prophet vorausgesehen hat, sind wir eingeladen, den Tod Jesu am Kreuz als Geschenk anzunehmen. Und zwar so, dass wir uns davon in unserem täglichen Leben bestimmen lassen. Nicht die täglichen Nachrichten in Bezug auf Covid-19 bieten uns eine verlässliche Grundlage, sondern der Glaube an Jesus Christus, der für uns am Kreuz gestorben ist. Sein Opfer öffnet uns für die Liebe, mit der er uns liebt. Dieser Liebe zu folgen, kann auch bei uns Leiden erzeugen. Aber die Verheißung des Lichts bleibt bestehen, wie auch immer dieses Licht aussehen wird und welche Form es annehmen wird.

Pfarrer Heiner Bludau