10.01.2021 Testo della Predica - Predigttext


Dove e quando?


Domenica, 10 gennaio 2021

ore 11


1° domenica dopo l'Epifania

Efesini 3,1-7

Grafica - Graphik: Pfeffer
Grafica - Graphik: Pfeffer

Wo und Wann?


Sonntag, 10. Januar 2021

11 Uhr


1. Sonntag nach Epiphanias

Epheser 3,1-7



Testo della Predica


Cara comunità!

Che cosa festeggiamo in realtà all’Epifania? Forse lo si potrebbe descrivere così: festeggiamo ancora una volta il Natale, adesso però da una prospettiva un po’ diversa. E quale prospettiva è questa?

A Natale abbiamo sentito dire che dei pastori nella notte, quando erano con il loro gregge, furono visitati da un angelo che disse loro: «Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore”». Questa cosa è successa in modo assolutamente inaspettato e ha sorpreso molto i pastori. Non solo loro però. Infatti, quando andarono a Betlemme per vedere quello che l’angelo aveva annunciato loro e raccontarono a chi era là quello che avevano vissuto, si dice: «E tutti quelli che li udirono si meravigliarono delle cose dette loro dai pastori». In questo senso il racconto della natività di Gesù è una storia piena di sorprese.

Oggi invece come Vangelo abbiamo sentito la storia dei Magi d’Oriente che arrivano dal Cristo neonato. Questi visitatori non sono stati sorpresi da un messaggio; essi sono piuttosto alla ricerca, sono in cammino da tanto tempo per trovare ciò che evidentemente per loro è di importanza centrale per il futuro.

Insieme a loro noi oggi possiamo riflettere su che cosa potrebbe significare per noi la nascita del Cristo. La festa del Natale in qualsiasi modo si sia svolta, nella propria famiglia o questa volta, per la situazione particolare che stiamo vivendo, senza di essa, è ormai passata da più di due settimane. Un nuovo anno è iniziato nel quale siamo entrati con qualche incertezza. Ci può forse aiutare il “Salvatore” della cui nascita si tratta a Natale in vista dei prossimi mesi? Silke all’inizio del nuovo anno mi ha fatto notare un augurio che aveva sentito da un moderatore televisivo tedesco: “Bleiben Sie zuversichtlich!”, cioè più o meno “Rimanete fiduciosi, continuate a sperare!”. La parola “Zuversicht” non esiste in italiano. Si tratta di un misto di fiducia, certezza, ottimismo e speranza. Il Salvatore ci può forse aiutare a proseguire il nostro cammino lungo il nuovo anno un po’ più “zuversichtlich”?

L’epistola per l’Epifania è tratta dalla Lettera agli Efesini. Come tutta la lettera, anche questo brano è piuttosto complicato, ma forse alcuni suoi pensieri centrali ci possono aiutare nella riflessione. Leggo l’epistola ancora una volta in italiano:

Efesini 3,1-7

Per questo, io Paolo, il prigioniero di Cristo per voi Gentili... penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio: come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di cui sopra vi ho scritto brevemente. Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo. Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo, del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza. 

Purtroppo questo testo non è comprensibile tutto subito quando lo si ascolta; lo diventa solo nel contesto dell’intera lettera. Partendo dalla nostra domanda si può però dire che questo brano tratta il fatto che il messaggio del Natale non è indirizzato soltanto a singoli individui. La fede in Gesù Cristo crea piuttosto comunione. E questa comunione è la Chiesa.

Tre punti vengono qui messi in risalto. Il primo consiste nell’affermazione “che i Gentili… sono chiamati, in Cristo Gesù a partecipare alla stessa eredità." Che cosa significa questo? Il brano è indirizzato a “voi Gentili”, cioè pagani, come viene detto subito all’inizio. I pagani prima della nascita di Cristo non avevano però nessuna parte nella salvezza di Dio per gli uomini. L’ Antico Testamento racconta che tutti gli esseri umani sono stati creati da Dio e poi anche che tutti gli esseri umani hanno rinnegato Dio. Un nuovo accesso a Dio dopo il peccato originale poteva essere aperto soltanto da Dio stesso. E questo è anche successo: è una lunga storia che comincia con la vocazione di Abramo; dai suoi discendenti è nato il popolo di Dio. E solo con questo popolo, il popolo Israele, Dio stette in continuo dialogo fino alla nascita di Gesù. Soltanto con Gesù Cristo la storia della salvezza, che era iniziata con Abramo, fu trasmessa a tutta l’umanità. Così i pagani diventano ora partecipi dell’eredità della salvezza che consiste nel fatto che il legame con Dio venga ristabilito. Tutti coloro che credono in Gesù Cristo, non importa che siano del popolo di Dio o dei popoli dei pagani, sono ora legati non solo a Dio ma anche gli uni agli altri tramite Gesù Cristo e sono in cammino insieme verso il compimento del Regno di Dio che è iniziato con Cristo. Questo è il “mistero di Cristo”, come viene chiamato nella lettera: a tutti noi viene promessa la salvezza. E la forma nella quale siamo legati gli uni agli altri è la Chiesa, “la comunità dei santi” nella quale ci riconosciamo nel Credo.

Noi prendiamo quindi parte all’eredità della salvezza. Ma non soltanto noi. E questo ci porta al secondo punto. La Chiesa come comunità di coloro che credono in Gesù Cristo e sono così legati a lui e tra di loro è universale. La fede in Gesù Cristo supera tutte le differenze tra i credenti. E questo riguarda le differenze nazionali e culturali così come quelle sociali. Quando la Lettera agli Efesini è stata scritta, l’impero romano si trovava all’apice della sua espansione. Intorno al Mediterraneo non esisteva più alcuno Stato nazionale, ma soltanto una forma di dominio unitaria. Anche se questa senz’altro non era in nessun modo esemplare, a livello statale le differenze tra tribù, popoli e culture erano in gran parte cancellate. La Chiesa però allo stesso tempo andava ancora oltre: in essa – perlomeno per quanto riguarda la fede – anche le differenze tra nobili e schiavi, tra ricchi e poveri erano superate. E questo principio lo si intuisce già nel Vangelo dell’Epifania. Dall’Oriente arrivano degli uomini che vogliono adorare il neonato re degli ebrei.

Tuttavia questo principio che tutti nella fede in Gesù Cristo sono uguali davanti a Dio deve essere continuamente ravvivato. Le differenze che appaiono esteriormente tra noi esseri umani sono così forti anche nella Chiesa che l’uguaglianza tra di noi deve essere sempre ripensata e attuata. A proposito, mi rallegro continuamente per un aspetto della nostra piccola comunità di Torino che non è per niente ovvio. Molte comunità cristiane sono caratterizzate da tradizioni che spesso vengono determinate anche dalla propria identità nazionale e culturale. Questo vale in un certo senso anche per noi come comunità luterana a Torino. Abbiamo però deciso quasi dall’inizio che non ci vogliamo far comandare da tradizioni nazionali e linguistiche. Anche se il mio italiano lascia spesso a desiderare, mi rallegro del fatto che nella comunità la fede comune per noi sia più importante della rispettiva madre lingua. E nel consiglio di questa comunità stiamo riflettendo al momento sulla parità di genere. Anche questo è un aspetto dell’uguaglianza menzionata.

In questo però è importante che abbiamo davvero un centro comune, e questo è il terzo punto. Questo vale per la nostra piccola comunità qui a Torino come per la Chiesa a livello mondiale. E non solo per la chiesa luterana, bensì per la Chiesa, l’unica e sola, che professiamo nel Credo e di cui facciamo parte, anche se purtroppo è divisa in tante singole chiese. Il centro della Chiesa è il Vangelo di Gesù Cristo. La Chiesa è aperta verso l’esterno per ognuna e ognuno, indipendentemente da qualsiasi differenza, ma questa apertura funziona soltanto se ci orientiamo davvero verso Gesù Cristo invece di orientarci verso tutte le idee e ideologie possibili e immaginabili. E anche della salvezza – della quale ho parlato come primo punto – abbiamo parte soltanto tramite lui.

La Lettera agli Efesini vi fa riferimento parlando del ministero degli apostoli, ovvero dell’incarico dell’Apostolo Paolo. Il compito dell’apostolo era quello di portare il Vangelo di Gesù Cristo come espressione della grazia di Dio in una particolare forma, e diffonderlo così nel mondo. Questa testimonianza degli apostoli è fino a oggi il fondamento della Chiesa. Nel Credo di Nicea-Costantinopoli professiamo anche noi la Chiesa apostolica. E questo è importante perché senza riferimento a una tale testimonianza comune le comunità di chiesa si sfascerebbero ancora di più di quanto non facciano già per altri motivi. Per noi questo significa sì che ogni singola e ogni singolo deve trovare la sua propria strada verso Gesù Cristo, ma che lui o lei nel farlo deve rimanere nel dialogo con la tradizione della Chiesa, poiché soltanto così il centro comune, e quindi la comunione degli uni con gli altri, si può mantenere.

Forse tutto questo suona come un po’ complicato. In realtà però non lo è affatto. Siamo entrati in un nuovo anno. Siamo su una strada che porta alla salvezza e sulla quale siamo accompagnati dal nostro Salvatore. Percorriamo questa strada insieme. E ci facciamo continuamente incoraggiare, consolare, rafforzare ascoltando il vangelo nella forma che ci hanno trasmesso gli apostoli. Non è una strada magnifica quella che abbiamo davanti a noi?

Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito


Foto: Deike
Foto: Deike

Predigttext


Liebe Gemeinde,

Was feiern wir eigentlich an Epiphanias? Vielleicht könnte man es so beschreiben: Wir feiern noch einmal Weihnachten, jetzt aber in einer etwas anderen Perspektive. Und was für eine Perspektive ist das?

An Weihnachten haben wir gehört, dass Hirten in der Nacht bei ihrer Herde von einem Engel besucht wurden, der zu ihnen sagte: „Siehe ich verkündige euch große Freude, die allem Volk widerfahren wird; denn euch ist heute der Heiland geboren, welcher ist Christus, der Herr, in der Stadt Davids. (Lukas 2,10f) Das kam ganz unerwartet und hat die Hirten sehr überrascht. Aber nicht nur sie. Denn als sie dann nach Bethlehem gingen, um zu sehen, was der Engel ihnen verkündet hatte, und den Anwesenden dort erzählten, was sie erlebt hatten, heißt es: „Und alle, vor die es kam, wunderten sich über die Rede, die ihnen die Hirten gesagt hatten.“ (2,18) In diesem Sinne ist die Weihnachtsgeschichte eine Geschichte voller Überraschungen.

Heute hingegen haben wir als Evangelium die Geschichte der Weisen aus dem Morgenland gehört, die zu dem neugeborenen Christus kommen. Diese Besucher sind nicht mit einer Botschaft überrascht worden. Sie sind vielmehr auf der Suche, sind seit langem unterwegs, um zu finden, was ihnen offensichtlich für  die Zukunft von zentraler Bedeutung zu sein scheint.

Zusammen mit ihnen können wir heute mit darüber nachdenken, was denn die Geburt des Christus für uns bedeuten könnte. Das Weihnachtsfest, wie auch immer es gelaufen sein mag, in der eigenen Familie, oder diesmal aufgrund der besonderen Situation ohne sie, es liegt inzwischen mehr als zwei Wochen hinter uns. Ein neues Jahr hat begonnen, in das wir mit einiger Unsicherheit eingetreten sind. Kann uns der „Retter“ um dessen Geburt es an Weihnachten geht, vielleicht im Blick auf die kommenden Monate helfen? Silke hat mich zu Beginn des neuen Jahres auf einen Wunsch aufmerksam gemacht, den sie von einem deutschen Fernsehmoderator gehört hat: „Bleiben Sie zuversichtlich!“ Das deutsche Wort „Zuversicht“ gibt es so im Italienischen nicht. Es handelt sich um eine Mischung von Vertrauen, Gewissheit und Hoffnung. Kann uns der Retter vielleicht helfen, etwas zuversichtlicher unseren Weg durch das neue Jahr fortzusetzen?

Die Epistel für Epiphanias stammt aus dem Epheserbrief. Wie der gesamte Brief, so ist auch dieser Abschnitt ziemlich kompliziert, aber vielleicht können uns einige zentrale Gedanken daraus beim Nachdenken helfen. Ich lese die Epistel noch einmal auf Italienisch:   

Epheser 3,1-7              

 Deshalb sage ich, Paulus, der Gefangene Christi Jesu für euch Heiden – ihr habt ja gehört von dem Auftrag der Gnade Gottes, die mir für euch gegeben wurde: Durch Offenbarung ist mir das Geheimnis kundgemacht worden, wie ich zuvor aufs Kürzeste geschrieben habe. Daran könnt ihr, wenn ihr’s lest, meine Einsicht in das Geheimnis Christi erkennen. Dies war in früheren Zeiten den Menschenkindern nicht kundgemacht, wie es jetzt offenbart ist seinen heiligen Aposteln und Propheten durch den Geist; nämlich dass die Heiden Miterben sind und mit zu seinem Leib gehören und Mitgenossen der Verheißung in Christus Jesus sind durch das Evangelium, dessen Diener ich geworden bin durch die Gabe der Gnade Gottes, die mir nach seiner mächtigen Kraft gegeben wurde.

Leider erschließt sich dieser Text nicht unmittelbar beim Zuhören. Er wird erst im Zusammenhang des ganzen Briefes einigermaßen verständlich. Aus unserer Fragestellung heraus kann man aber sagen: Dieser Abschnitt handelt davon, dass die Weihnachtsbotschaft nicht nur individuell an einzelne Menschen gerichtet ist. Der Glaube an Jesus Christus schafft vielmehr Gemeinschaft. Und diese Gemeinschaft ist die Kirche.

Drei Punkte werden dabei hervorgehoben. Der erste besteht in der Aussage „dass die Heiden Miterben sind und mit zu seinem (= Christi) Leib gehören“. Was bedeutet das? Der Abschnitt ist an „euch Heiden“ gerichtet, wie es gleich zu Beginn heißt. Die Heiden aber hatten vor der Geburt Christi an dem Heil Gottes für die Menschen keinen Anteil. Das Alte Testament erzählt davon, dass alle Menschen von Gott geschaffen wurden und dann auch alle Menschen von Gott abgefallen sind. Ein neuer Zugang zu Gott konnte nach dem Sündenfall nur von Gott selbst her eröffnet werden. Und das geschah auch, indem zunächst Abraham berufen wurde. Aus seinen Nachkommen entstand das Volk Gottes. Und nur mit diesem Volk, dem Volk Israel, stand Gott bis zur Geburt Jesu in ständigem Dialog. Erst durch Jesus Christus wurde die Geschichte des Heils, die mit Abraham begonnen hat, auf die gesamte Menschheit übertragen. Somit werden die Heiden nun zu Miterben des Heils, das darin besteht, dass die Verbindung mit Gott wiederhergestellt wird. Alle, die an Jesus Christus glauben, egal ob sie aus dem Volk Gottes stammen oder aus den Völkern der Heiden, sind nun durch Jesus Christus miteinander verbunden und sind miteinander auf dem Weg zur Vollendung des Reiches Gottes, das mit Christus begonnen hat. Das ist das „Geheimnis Christi“ wie es im Brief genannt wird: Uns allen ist das Heil verheißen. Und die Form, in der wir miteinander verbunden sind, ist die Kirche, „die Gemeinschaft der Heiligen“ zu der wir uns im Glaubensbekenntnis bekennen.

Wir haben also Anteil am Erbe des Heils. Aber nicht nur wir. Und das führt uns zum zweiten Punkt. Die Kirche als Gemeinschaft derer, die an Jesus Christus glauben und dadurch mit ihm und untereinander verbunden sind, ist universal. Der Glaube an Jesus Christus hebt alle Unterschiede zwischen den Gläubigen auf. Und das betrifft die nationalen und kulturellen Unterschiede ebenso wie die sozialen und gesellschaftlichen. Als der Epheserbrief verfasst wurde, stand das römische Reich am Höhepunkt seiner Ausdehnung. Rund um das Mittelmeer gab es keine Nationalstaaten mehr, sondern nur noch eine einheitliche Herrschaftsform. Auch wenn diese wohl keineswegs vorbildlich war: Auf staatlicher Ebene waren die Unterschiede zwischen Stämmen, Völkern und Kulturen weitgehend aufgehoben. Die Kirche aber ging zur selben Zeit noch weiter: In ihr waren – jedenfalls in Bezug auf den Glauben – auch die Unterschiede zwischen Adeligen und Sklaven, zwischen Reichen und Armen aufgehoben. Und dieses Prinzip deutet sich schon im Evangelium von Epiphanias an. Aus dem Orient kommen Menschen, die den neugeborenen König der Juden verehren und anbeten wollen.

Allerdings muss dieses Prinzip, dass alle Menschen im Glauben an Jesus Christus vor Gott gleich sind, immer wieder neu belebt werden. Die äußerlich wirksamen Unterschiede zwischen uns Menschen sind auch in der Kirche so stark, dass die Gleichheit zwischen uns stets neu bedacht und umgesetzt werden muss. Ich freue mich dabei immer wieder an einem Aspekt unserer kleinen Gemeinde hier in Turin, der keineswegs selbstverständlich ist. Viele christliche Gemeinden sind geprägt von Traditionen, die oft von der eigenen nationalen und kulturellen Identität mitbestimmt werden. Das gilt in gewissem Sinn auch für uns als lutherische Gemeinde in Turin. Wir haben aber fast von Anfang an beschlossen, dass wir uns nicht von nationalen und sprachlichen Traditionen bestimmen lassen wollen. Auch wenn mein Italienisch oft zu wünschen übrig lässt, ich freue mich daran, dass uns in der Gemeinde der gemeinsame Glaube wichtiger ist als die jeweilige Muttersprache.

Wichtig dabei ist allerdings – und das ist der dritte Punkt – dass wir wirklich eine gemeinsame Mitte haben. Und das gilt für unsere kleine Gemeinde hier in Turin ebenso wie für die weltweite Kirche. Und zwar nicht nur für die lutherische Kirche, sondern für die eine Kirche, zu der wir uns im Glaubensbekenntnis bekennen, auch wenn sie leider in viele einzelne Kirchen zerteilt ist. Die Mitte der Kirche ist das Evangelium von Jesus Christus. Die Kirche ist nach außen offen für jede und jeden, unabhängig von allen Unterschieden, aber diese Offenheit funktioniert nur, wenn wir uns statt an allen möglichen Ideen und Ideologien wirklich an Jesus Christus orientieren. Und auch an dem Heil, von dem ich als erstem Punkt gesprochen habe, haben wir nur durch ihn Anteil.

Der Epheserbrief nimmt darauf Bezug, indem er vom Amt der Apostel spricht, beziehungsweise von dem Auftrag des Apostels Paulus. Die Aufgabe der Apostel war, das Evangelium von Jesus Christus als Ausdruck der Gnade Gottes in eine bestimmte Form zu bringen, und es so in der Welt zu verbreiten. Dieses Zeugnis der Apostel ist bis heute Grundlage der Kirche. Im Glaubensbekenntnis von Nizäa-Konstantinopel bekennen auch wir uns zur apostolischen Kirche. Und das ist wichtig, denn ohne Bezug auf ein solches gemeinsames Zeugnis würden die kirchlichen Gemeinschaften noch mehr auseinanderfallen, als sie es aus anderen Gründen schon tun. Für uns bedeutet dies, dass zwar jede und jeder Einzelne seinen eigenen Weg zum Glauben an Jesus Christus finden muss, dass er oder sie dabei aber im Gespräch mit der kirchlichen Tradition bleiben muss, denn nur so kann die gemeinsame Mitte und damit die Gemeinschaft untereinander erhalten bleiben.

Vielleicht klingt das alles ein bisschen kompliziert. Das ist es aber eigentlich nicht. Wir gehen hinein in ein neues Jahr. Wir sind dabei auf einem Weg, der zum Heil führt und auf dem wir von unserem Heiland begleitet werden. Wir gehen diesen Weg gemeinsam. Und wir lassen uns dabei immer wieder ermutigen, trösten, stärken indem wir auf das Evangelium hören in der Form, wie es uns die Apostel übermittelt haben. Ist das nicht ein wunderbarer Weg, den wir da vor uns haben?