28.06.2020 - Predica del Culto - Predigttext


Dove e quando?

Wo und Wann?


Domenica, 28 giugno 2020, ore 11

Sonntag, 28. Juni 2020, 11 Uhr

Chiesa San Francesco d'Assisi

Via San Francesco d'Assisi, 11

10122 Torino

Chiesa | Kirche San Francesco d'Assisi - Foto: Sabine Wolters
Chiesa | Kirche San Francesco d'Assisi - Foto: Sabine Wolters

Michea 7, 18-20

3ª domenica dopo la Trinità, 28-6-2020


Testo della Predica


Cara comunità!

L’estate è iniziata. Che cosa ci porterà? Normalmente la fine di giugno è il periodo nel quale si pensa con gioia alle vacanze. Spero che per molti di voi sia così. Molti invece nella situazione attuale non possono fare le vacanze. E anche per coloro che programmano una vacanza ci sono un sacco di incertezze.

Questo è soltanto uno degli aspetti della situazione problematica nella quale ci troviamo. Non voglio dipingere un quadro nero della situazione; ovviamente anch’io spero che troveremo delle vie percorribili attraverso la crisi. Ma che cosa ci può aiutare?

Il brano biblico per la predica di oggi è una risposta molto chiara a questa domanda: Dio ci può aiutare e ci vuole aiutare. Questo aiuto è però qualcos’altro di un sostegno limitato. Ci possiamo aiutare l’un l’altro sforzandoci di essere vicino al prossimo in una situazione di emergenza. L’aiuto di Dio però riguarda tutta la vita. Si tratta dell’orientamento della nostra vita, quindi di qualcosa di molto fondamentale. E questo orientamento ha una storia, che risale fino agli inizi dell’umanità e preannuncia (nel futuro) l’eternità. Di questo parla tutto l’insieme della Bibbia. Ne leggo tre versetti dal Libro del Profeta Michea:

Quale Dio è come te, che perdoni l’iniquità e passi sopra alla colpa del resto della tua eredità? Egli non serba la sua ira per sempre, perché si compiace di usare misericordia. Egli tornerà ad avere pietà di noi, metterà sotto i suoi piedi le nostre colpe e getterà in fondo al mare tutti i nostri peccati. Tu mostrerai la tua fedeltà a Giacobbe, la tua misericordia ad Abraamo, come giurasti ai nostri padri, fin dai giorni antichi.

“Quale Dio è come te?” si chiede qui con grande entusiasmo. E il Profeta Michea con questi versetti che chiudono ciò che viene tramandato da lui nella Bibbia guarda al suo presente, guarda al passato e guarda verso il futuro.

Il presente del Profeta è cupo. L’ingiustizia nella società è opprimente; ne parlano i capitoli precedenti. Inoltre il Paese è minacciato da potenze dall’esterno. E non c’è nessun movimento in vista che sia supportato da tanta gente, che possa giustificare la speranza di un’uscita dalla crisi. Al contrario: si parla soltanto di un “resto” che è rimasto.

Ma il Profeta non si lascia trascinare nella disperazione da questo. Egli non guarda soltanto alla realtà che lo circonda, quella che può vedere con i suoi occhi; egli guarda anche alla realtà invisibile di Dio. E questa prospettiva porta indietro fino agli uomini ai quali Dio si è mostrato per primo: Abramo e Giacobbe. Egli dice a Dio: “Tu mostrerai la tua fedeltà a Giacobbe, la tua misericordia ad Abramo, come giurasti ai nostri padri, fin dai giorni antichi”. All’inizio della storia di Dio con gli uomini, Dio promette ad Abramo: “io ti colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; e la tua discendenza s’impadronirà delle città dei suoi nemici. Tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza”. E al nipote di Abramo – Giacobbe – che più tardi riceve il nome di Israele, Dio dice: “La tua discendenza sarà come la polvere della terra e tu ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a meridione, e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza”. Due uomini che circa tremilacinquecento anni fa sono nomadi nella steppa con la loro famiglia e un gregge di pecore ricevono questa promessa.

E in effetti la discendenza di Abramo e di Giacobbe si moltiplica e diventa un popolo. Viene oppressa in Egitto, ma viene liberata dalla schiavitù e conclude un’alleanza con Dio sul Monte Sinai. Questa alleanza contiene nuove promesse, ma obbliga anche il popolo a tenere un determinato comportamento nei confronti di Dio e del prossimo. Quando poi il popolo si trasferisce nella Terra Promessa, e lì vive dapprima in tribù e poi forma un regno, ci sono delle continue cadute di questa alleanza con Dio. Grandi parti dell’Antico Testamento sono piene di storie su come il popolo di Dio contravviene all’alleanza con Dio. In nessun punto però si mette in questione la continuità dell’alleanza e in nessun punto si mette in dubbio che le promesse di Dio rimangano valide.

Questa situazione culmina al tempo dei Profeti. I Profeti – e a questi appartiene anche Michea – annunciano al popolo che questi a causa del suo comportamento sbagliato verrà giudicato e condannato da Dio. Allo stesso tempo però a quelli che restano, il “resto”, viene fatto sperare un nuovo futuro e una nuova alleanza. E questo futuro sarà totalmente diverso da come era il passato: sarà caratterizzato dalla salvezza e dalla pace; non rimarrà limitato a quel popolo, bensì si estenderà a tutti i popoli della terra. E l’alleanza con Dio non consisterà più nel rispetto di determinati comandamenti e regole e culti, bensì Dio manifesterà la sua volontà direttamente nei cuori degli uomini. In Michea in proposito si dice: “Egli tornerà ad avere pietà di noi, metterà sotto i suoi piedi le nostre colpe e getterà in fondo al mare tutti i nostri peccati”.

Questo è lo sguardo del Profeta proiettato in avanti. Senza farsi distogliere dalle difficoltà del presente, il Profeta, su incarico di Dio, prende dal passato del suo popolo con Dio la forza e la fiducia per annunciare un futuro pieno di salvezza.

E dov’è questo futuro? Non è forse un’illusione? Nel nostro presente c’è un qualche indizio che faccia pensare che le parole del Profeta siano fondate?

In fondo c’è soltanto un singolo indizio a riguardo, e si chiama Gesù Cristo. Con lui è iniziato il futuro che è stato annunciato. Gesù Cristo è testimone del fatto che Dio “perdona l’iniquità e passa sopra alla colpa del resto della tua eredità”. E che Dio “non serba la sua ira per sempre, perché si compiace di usare misericordia!”. C’è di più: Cristo non ne è soltanto testimone: attraverso la sua morte sulla croce e la sua risurrezione è anche il mezzo tramite il quale Dio realizza il suo perdono e la sua misericordia. Grazie a lui abbiamo un’altra relazione verso Dio. Possiamo tornare a Dio come il figliol prodigo del quale abbiamo sentito oggi la storia come lettura del Vangelo. Poi Dio ci viene incontro e ci abbraccia. E chi si lascia guidare da Gesù Cristo – come l’Apostolo Paolo – può sperimentare che la sua vita riceve un nuovo orientamento, come abbiamo sentito nell’Epistola dalla Lettera a Timoteo.

Che cosa significa però questo per noi nella situazione attuale? Ho cercato perlomeno di delineare questo grande arco della storia di Dio con noi uomini da Abramo fino alla venuta del Regno di Dio secondo il Profeta Michea. Questo ci potrebbe ricordare che non ci troviamo soltanto nel corso di una storia che ogni tanto ci fa paura e ci mette in difficoltà; ci troviamo allo stesso tempo anche in un’altra storia: nella storia di Dio con gli uomini. E questa storia non finisce con la morte e la distruzione, essa porta invece alla vita eterna. E questa non è un’ipotesi assurda, bensì un’affermazione fondamentale della nostra fede cristiana. In ogni culto confessiamo nel Credo Apostolico: credo nella resurrezione dei morti e nella vita eterna. E ogni volta che preghiamo il Padrenostro una delle prime suppliche è “venga il Tuo Regno!”

Il Regno di Dio, di cui noi cristiani preghiamo la venuta, è già iniziato in Gesù Cristo. Nella fede nel Risorto troviamo la forza e la fiducia per orientarci nei problemi e nelle situazioni di bisogno del nostro tempo. Possiamo essere sicuri che Dio ci accetta e ci ama, anche se a volte ci troviamo in un mare di guai. E anche quando non si tratta delle proprie situazioni di bisogno, bensì dobbiamo dire addio a una persona amata, questo non significa la fine per noi. Il Regno che aspettiamo non è la meta soltanto di coloro che adesso sono in vita. È la meta di tutti noi, sia di coloro che sono vissuti prima di noi, sia di coloro che verranno dopo di noi. Nessuno ne viene escluso per mezzo della morte. E se c’è qualcosa che ci può aver separati gli uni dagli altri, che siano dei sensi di colpa o dei rimproveri, questa cosa è già cancellata adesso in Cristo; come dice Michea, verrà “gettata in fondo al mare”.

Vivere in questa prospettiva non è difficile come forse sembra. L’unica cosa che conta è non far soffrire la fame alla fede che ci sostiene. Se ascoltiamo soltanto le notizie del momento sul giornale, alla televisione, in Internet, ci facciamo comandare da loro. E allora possiamo affrontare le nostre difficoltà personali soltanto da questa prospettiva. Dio però ci vuole aiutare. E per lasciarci aiutare lo dobbiamo ascoltare. Per esempio con una parola biblica quotidiana o nella preghiera. Ad ogni modo sforzandoci di restare in relazione con lui.

(Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito)

Micha 7,18-20                                                          

3. Sonntag nach Trinitatis 28.6.2020


Predigttext


Liebe Gemeinde!

Der Sommer hat begonnen. Was wird er uns bringen? Normalerweise ist Ende Juni die Zeit, sich auf den Urlaub zu freuen. Ich hoffe, dass für viele von Euch das auch zutrifft. Manche hingegen können in der derzeitigen Situation keinen Urlaub machen. Und auch für diejenigen, die einen Urlaub planen, gibt es eine Menge Unsicherheiten. 

Das ist nur ein Aspekt der Problemlage, in der wir stecken. Ich will die Situation nicht schwarz malen. Natürlich hoffe auch ich, dass wir gangbare Wege durch die Krise hindurch finden. Aber was kann uns dabei helfen?

Der Bibelabschnitt für die heutige Predigt gibt eine sehr klare Antwort auf diese Frage: Gott kann uns helfen und will uns helfen. Allerdings geht es bei dieser Hilfe um etwas anderes als um eine begrenzte Unterstützung. Untereinander können wir uns helfen, indem wir uns bemühen, dem Nächsten in einer Notlage beizustehen. Die Hilfe Gottes aber bezieht sich auf das ganze Leben. Es geht um die Ausrichtung unseres Lebens, also um etwas sehr grundsätzliches. Und diese Ausrichtung hat eine Geschichte, die bis in die Anfänge der Menschheit zurückgeht und bis in die Ewigkeit voraus weist. Davon spricht die Bibel als Ganze. Ich lese daraus drei Verse aus dem Buch des Propheten Micha:

Wo ist solch ein Gott, wie du bist, der die Sünde vergibt und erlässt die Schuld denen, die geblieben sind als Rest seines Erbteils; der an seinem Zorn nicht ewig festhält, denn er hat Gefallen an Gnade! Er wird sich unser wieder erbarmen, unsere Schuld unter die Füße treten und alle unsere Sünden in die Tiefen des Meeres werfen. Du wirst Jakob die Treue halten und Abraham Gnade erweisen, wie du unsern Vätern vorzeiten geschworen hast.

„Wo ist solch ein Gott, wie du bist?“ wird hier mit großem Enthusiasmus gefragt. Und der Prophet Micha, dessen Überlieferung in der Bibel mit diesen Versen abgeschlossen wird, schaut dabei in seine Gegenwart, er schaut in die Vergangenheit und er schaut in die Zukunft. 

Die Gegenwart des Propheten ist trübe. Die Ungerechtigkeit in der Gesellschaft ist erdrückend. Davon handeln die Kapitel zuvor. Dazu ist das Land durch Mächte von außen bedroht. Und es ist keine von vielen Menschen getragene Bewegung in Sicht, die Hoffnung auf einen Ausweg aus der Krise begründen könnte. Im Gegenteil: Die Rede ist lediglich von einem „Rest“, der geblieben ist.

Aber der Prophet lässt sich dadurch nicht in die Resignation treiben. Er schaut nicht nur auf die ihn umgebende Wirklichkeit, die er mit seinen Augen sehen kann, er schaut auch auf die unsichtbare Wirklichkeit Gottes. Und diese Perspektive führt zurück bis zu den Menschen, denen sich Gott als erste gezeigt hat: Abraham und Jakob. Er sagt zu Gott: „Du wirst Jakob die Treue halten und Abraham Gnade erweisen, wie du unsern Vätern vorzeiten geschworen hast.“ Zu Beginn der Geschichte Gottes mit den Menschen verspricht Gott dem Abraham: „Ich will dein Geschlecht segnen und mehren wie die Sterne am Himmel und wie den Sand am Ufer des Meeres, und deine Nachkommen sollen die Tore ihrer Feinde besitzen; und durch dein Geschlecht sollen alle Völker auf Erden gesegnet werden.“ (Gen 22,17.18a) Und zu Abrahams Enkel Jakob, der später den Namen Israel erhält, sagt Gott: „Dein Geschlecht soll werden wie der Staub auf Erden, und du sollst ausgebreitet werden gegen Westen und Osten, Norden und Süden, und durch dich und deine Nachkommen sollen alle Geschlechter auf Erden gesegnet werden.“ (Gen 28,14) Zwei Menschen, die vor ungefähr dreieinhalb tausend Jahren als Nomaden mit ihrer Familie und einer Schafherde durch die Steppe gezogen sind, erhalten dieses Versprechen. 

Und in der Tat, die Nachkommen von Abraham und Jakob vermehren sich und werden zu einem Volk. Sie werden in Ägypten unterdrückt, aber dann aus der Sklaverei befreit und schließen am Berg Sinai einen Bund mit Gott. Dieser Bund enthält neue Verheißungen, aber verpflichtet das Volk auch zu einem bestimmten Verhalten gegenüber Gott und den Mitmenschen. Als das Volk dann in das versprochene Land zieht, und dort zunächst in Stammesgemeinschaften lebt und später ein Königreich bildet,  kommt es immer wieder zum Abfall von diesem Bund mit Gott. Große Teile des Alten Testaments sind voll von Geschichten, wie das Volk Gottes dem Bund mit Gott zuwiderhandelt. An keiner Stelle aber wird der Bestand des Bundes in Frage gestellt und an keiner Stelle wird in Zweifel gezogen, dass die Verheißungen Gottes gültig bleiben.

Diese Situation kulminiert zur Zeit der Propheten. Die Propheten, und zu ihnen gehört auch Micha, kündigen dem Volk an, dass sie aufgrund ihres Fehlverhaltens von Gott gerichtet und verurteilt werden. Gleichzeitig aber wird denen, die übrig bleiben, dem „Rest“, eine neue Zukunft und ein neuer Bund in Aussicht gestellt. Und diese Zukunft wird ganz anders sein, als die Vergangenheit war. Sie wird von Heil und von Frieden geprägt sein. Sie wird nicht auf das eine Volk beschränkt bleiben, sondern sich auf alle Völker der Erde ausweiten. Und der Bund mit Gott wird nicht mehr in der Einhaltung bestimmter Gebote und Regeln und Kulte bestehen, sondern Gott wird seinen Willen direkt in den Herzen der Menschen offenbar machen. Bei Micha heißt es in diesem Sinne: „Er wird sich unser wieder erbarmen, unsere Schuld unter die Füße treten und alle unsere Sünden in die Tiefen des Meeres werfen.“

Dies ist der Blick des Propheten nach vorne. Ohne sich durch die Schwierigkeiten der Gegenwart davon abbringen zu lassen, schöpft der Prophet im Auftrag Gottes aus der Vergangenheit seines Volkes mit Gott die Kraft und die Zuversicht, eine heile Zukunft zu verkünden. 

Und wo ist diese Zukunft? Ist das nicht eine Illusion? Gibt es in unserer Gegenwart denn irgendwelche Anhaltspunkte dafür, dass die Worte des Propheten zutreffen? 

Es gibt letztlich nur einen Anhaltspunkt dafür, und der heißt Jesus Christus. Mit ihm hat die angekündigte Zukunft begonnen. Jesus Christus ist Zeuge dafür, dass Gott „die Sünde vergibt und erlässt die Schuld denen, die geblieben sind als Rest seines Erbteils“.  

Und dass Gott „an seinem Zorn nicht ewig festhält, denn er hat Gefallen an Gnade!“ Mehr noch: Christus ist nicht nur Zeuge davon, er ist durch seinen Tod am Kreuz und seine Auferstehung auch das Mittel, durch welches Gott seine Vergebung und seine Gnade realisiert. Durch ihn haben wir ein neues Verhältnis zu Gott. Wir können zu Gott umkehren wie der Verlorene Sohn, dessen Geschichte wir heute als Evangelium gehört haben. Dann kommt Gott uns entgegen und umarmt uns. Und wer sich von Jesus Christus leiten lässt, wie der Apostel Paulus, der kann erfahren, dass sein Leben eine neue Ausrichtung bekommt, so wie wir es in der Epistel aus dem Brief an Timotheus gehört haben.

Was aber heißt das für uns in der aktuellen Situation? Ich habe versucht, im Sinne des Propheten Micha diesen weiten Bogen der Geschichte Gottes mit uns Menschen von Abraham bis zum Kommen des Reiches Gottes wenigstens anzudeuten. Das könnte uns daran erinnern, dass wir uns nicht nur im Ablauf einer Geschichte befinden, die uns gelegentlich Angst macht und in Schwierigkeiten bringt. Wir befinden uns gleichzeitig auch in einer anderen Geschichte, in der Geschichte Gottes mit den Menschen. Und diese Geschichte endet nicht mit Tod und Zerstörung, sondern führt ins Ewige Leben. Und das ist keine abwegige Hypothese, sondern eine Grundaussage unseres christlichen Glaubens. Bei jedem Gottesdienst bekennen wir im Glaubensbekenntnis: Ich glaube an die Auferstehung der Toten und das ewige Leben. Und jedes Mal, wenn wir das Vaterunser beten, ist einer der ersten Bitten dabei: Dein Reich komme!

Das Reich Gottes, dessen Kommen wir Christen erbitten, hat in Jesus Christus schon begonnen. Im Glauben an den Auferstandenen finden wir Kraft und Zuversicht, uns in den Problemen und Nöten unserer Zeit zurechtzufinden. Wir dürfen uns sicher sein, dass Gott uns annimmt und liebt, auch wenn uns manchmal das Wasser bis zum Hals steht. Und auch, wenn es nicht nur um die eigenen Nöte geht, sondern wir von einem geliebten Menschen Abschied nehmen müssen, so bedeutet dies für uns nicht das Ende. Das Reich, das wir erwarten, ist nicht nur das Ziel für die diejenigen, die jetzt gerade leben. Es ist unser aller Ziel, sowohl derer die vor uns gelebt haben, als auch derer, die nach uns kommen werden. Niemand wird durch den Tod davon ausgeschlossen. Und wenn es etwas gibt, das uns voneinander getrennt haben mag, an Schuldgefühlen oder an Vorwürfen, dann ist das jetzt schon in Christus aufgehoben; es wird wie Micha sagt, „in die Tiefen des Meeres geworfen“.

In dieser Perspektive zu leben ist nicht so schwer, wie es vielleicht zu sein scheint. Wichtig ist nur, den Glauben, der uns trägt, nicht hungern zu lassen. Wenn wir nur die aktuellen Nachrichten wahrnehmen, in der Zeitung, im Fernsehen, im Internet, dann lassen wir uns von ihnen bestimmen. Und dann können wir auch unsere persönlichen Schwierigkeiten nur aus dieser Dimension heraus angehen. Gott aber will uns helfen. Und um uns helfen zu lassen müssen wir auf ihn hören. Zum Beispiel durch ein tägliches Bibelwort oder im Gebet. Jedenfalls aber dadurch, dass wir uns darum bemühen, mit ihm in Verbindung zu bleiben.