14.06.2020 - Predica del Culto - Predigttext


Dove e Quando?

Wann und Wo?


Domenica - Sonntag, 14.06.2020 - ore 11 Uhr

Chiesa | Kirche San Francesco d'Assisi - Foto: Sabine Wolters
Chiesa | Kirche San Francesco d'Assisi - Foto: Sabine Wolters


Atti degli Apostoli 4,32-37

1ª domenica dopo la Trinità, 14-6-2020

 

Cara comunità!

È la seconda volta che ci incontriamo in questa magnifica chiesa per celebrare il culto. È un po’ come un nuovo inizio, non solo nel periodo dopo la quarantena, ma nella vita della nostra comunità.

Quest’occasione potrebbe portarci a riflettere sul futuro della nostra comunità. E in effetti il brano dalla Bibbia sul quale oggi devo tenere la predica va proprio in questa direzione: racconta della prima comunità a Gerusalemme.

Secondo la rappresentazione degli Atti degli Apostoli la prima comunità di cristiani è nata a Pentecoste. Gli apostoli si erano rivolti alla folla che era arrivata a Gerusalemme per la festa ebraica di Shavuot e furono capiti da tutti, nonostante gli ascoltatori appartenessero a diverse lingue e culture. Pietro lo aveva poi spiegato in una predica. Questo è stato il tema due settimane fa qui nel nostro culto.

E poi negli Atti degli Apostoli si continua dicendo: »Quelli che accettarono la sua parola (cioè quella di Pietro) furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone«. Un tale successo la mia predica di due settimane fa purtroppo non ce l’ha avuto. La nostra comunità continua a essere costituita da circa 100 membri. Ma guardiamo un po’ come proseguirono le cose a quel tempo a Gerusalemme: »Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati«, viene detto poco dopo. E all’inizio di due capitoli più in là si parla già di 5.000 uomini.

E che cosa succede in questa comunità che aumenta così in fretta? Subito all’inizio si dice: »Ed erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere«. Questo è un po’ sorprendente perché come ci può essere così in fretta un »insegnamento degli apostoli«? Gli apostoli erano appena stati travolti dallo Spirito di Dio. Ma importante è l’unione tra gli appartenenti alla comunità che qualche versetto dopo viene di nuovo sottolineata: 

»E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo«.

In mezzo però c’è ancora un’altra affermazione interessante: “Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le proprietà e i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno«. E proprio di questo si tratta nel brano sul quale oggi devo predicare; si trova nel 4° capitolo degli Atti degli Apostoli e lì si dice:

La moltitudine di quelli che avevano creduto era d’un sol cuore e di un’anima sola; non vi era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva ma tutto era in comune tra di loro. Gli apostoli, con grande potenza, rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù; e grande grazia era sopra tutti loro. Infatti non c’era nessun bisognoso tra di loro; perché tutti quelli che possedevano poderi o case li vendevano, portavano l’importo delle cose vendute, e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi, veniva distribuito a ciascuno, secondo il bisogno. Or Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Barnaba (che tradotto vuol dire: Figlio di consolazione), Levita, cipriota di nascita, avendo un campo, lo vendette, e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli.«

Qui si tratta quindi espressamente della condivisione dei beni nella prima comunità cristiana. Ho però i miei dubbi se storicamente sia stato proprio così come lo descrive qui l’Apostolo Luca negli Atti degli Apostoli. E questi dubbi vengono alimentati dalla logica: poco fa si parlava ancora del fatto che la comunità si ritrova nelle case e adesso queste vengono vendute tutte? È una cosa sensata? Dove abita allora la gente? E di che cosa vive se vende tutti i poderi? Inoltre il testo stesso alimenta questi dubbi. Si dice che tutti vendettero i loro averi e poi negli ultimi due versetti si racconta del fatto molto concreto di Barnaba che vende un campo… e questo non sembra essere la procedura consueta, ma piuttosto un caso straordinario. E proprio quest’ultima cosa pare evidente, poiché Barnaba lascia Gerusalemme poco dopo e si trasferisce ad Antiochia e accompagna poi Paolo nel suo primo viaggio missionario.

Nel complesso mi sembra che questo indichi che qui non si tratti di un documento storico sulla prima comunità cristiana, bensì che Luca ci voglia presentare una specie di modello di una comunità da prendere come esempio. In quale modo però per noi oggi può essere utile questo modello?

Per la riflessione sul futuro della nostra comunità non mi vorrei riallacciare alla comunione dei beni, bensì a un’altra affermazione, più precisamente a quella che dice: »Gli apostoli, con grande potenza, rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù; e grande grazia era sopra tutti loro«. Qui mi sembra che si tratti della base della fede e quindi anche della base della comunità.

Condividere i propri averi o addirittura vivere in comunione dei beni può essere una forma di vita adatta per i cristiani; in tale contesto c’è anche il non dimenticare i bisognosi. Il racconto dell’uomo ricco e del povero Lazzaro che abbiamo sentito oggi come Vangelo ci fa guardare molto chiaramente in questa direzione. È quindi fuori dubbio che il nostro comportamento per quanto riguarda la nostra proprietà è un aspetto importante della nostra vita cristiana.

Ma questa non è la base della nostra fede. Se riflettiamo sulla nostra comunità, ci dobbiamo chiedere qual è l’immagine che abbiamo di noi stessi, qual è la nostra identità cristiana. Un determinato comportamento ha senso per noi cristiani soltanto quando è espressione della nostra fede. Naturalmente si può anche fare del bene senza essere credenti. Ma allora non c’è nemmeno bisogno di una comunità cristiana per farlo.

La base della nostra esistenza cristiana è la fede. La fede ci unisce l’un l’altro e grazie alla fede comune qui a Torino c’è una comunità luterana da 10 anni. Questo è il punto dal quale dovremmo partire quando riflettiamo sul futuro di questa comunità.

Non è che noi come membri di questa comunità dovremmo avere tutti una fede unitaria sotto tutti i punti di vista; o che non ci possano essere dei dubbi per quanto riguarda i contenuti della fede. Al contrario: il dubbio appartiene alla fede. Una fede senza qualsiasi dubbio non è una fede viva.

La questione è piuttosto: su che cosa costruiamo la nostra vita? Qual è la base della nostra vita? Per dirlo in modo più semplice: nella nostra vita si tratta solo di avere successo, si tratta di raggiungere un certo benessere economico, un certo benessere psicofisico? O abbiamo ancora un’altra base?

Nel brano tratto dagli Atti degli Apostoli viene menzionato come contenuto centrale della fede la “risurrezione del Signore Gesù”. Qui però non si tratta del fatto che noi siamo necessariamente convinti che nel momento della risurrezione le leggi della natura siano state spezzate. Si tratta piuttosto del fatto che colui al quale facciamo riferimento con la nostra fede non è semplicemente una figura della storia passata. Gesù Cristo, che ha annunciato e testimoniato l’arrivo del Regno di Dio, vive, è vivo! La fede in questo non è un’ideologia per mezzo della quale ci distinguiamo da altre ideologie. Egli richiama l’attenzione sul fatto che si può avere una comunione con il Signore Gesù risorto. Si può parlare con lui nella preghiera. E questo permette delle esperienze concrete che mostrano che qui non si tratta di un’illusione.

Se questa è la base della nostra vita, possiamo vivere in modo diverso ciò che accade intorno a noi rispetto alle persone senza questa fede. Allora non siamo in balia di quello che succede; lo possiamo guardare con un po’ di distacco. Possiamo andare incontro a testa alta a ciò con cui veniamo confrontati nella vita quotidiana muovendoci liberamente dentro ciò. Poiché in fondo non dipendiamo da questo. La nostra base è un’altra; essa si trova nella comunione con Gesù Cristo.

Proprio in tempi di crisi, quando tutti fanno caso a non rimetterci i propri interessi e dove non è in vista un cammino chiaro, questo può essere utile. Può aiutare ognuna e ognuno a configurare la propria vita in modo che sia degna di essere vissuta. La fede però ha bisogno anche della comunione. La fede rimane viva soltanto se riceve sempre nuovi impulsi, se ci si scambia e le diamo la possibilità di approfondirsi.

E quindi dovremmo accettare l’offerta di venir rafforzati nella nostra fede. Questo non si trova solo nell’ambito delle nostre proprie forze. La testimonianza della »risurrezione del Signore Gesù« è un aspetto. Il versetto biblico continua però con le parole: »e grande grazia era sopra tutti loro«. Per me il futuro della nostra comunità si trova proprio in questo: che ci riuniamo per farci rafforzare da Dio per mezzo della sua grazia. Dopo queste settimane di lockdown lo facciamo ancora in modo  titubante. Spero però che dopo l’estate sia di nuovo possibile in modo più assiduo.

Pastore Heiner Bludau

(Traduzione dal tedesco di Katia Cavallito)


Apostelgeschichte 4,32-37                                                           1. Sonntag nach Trinitatis 14.6.2020

 

Liebe Gemeinde!

Zum zweiten Mal treffen wir uns heute in dieser wunderschönen Kirche, um den Gottesdienst zu feiern. Ein bisschen ist das wie ein neuer Anfang, nicht nur nach der Zeit der Quarantäne, sondern überhaupt im Leben unserer Gemeinde.

Dieser Anlass könnte uns nahelegen, über die Zukunft unserer Gemeinde nachzudenken. Und tatsächlich: Der Abschnitt aus der Bibel, über den ich heute predigen soll, geht genau in diese Richtung. Er erzählt von der ersten Gemeinde in Jerusalem. 

Nach der Darstellung der Apostelgeschichte war die erste Gemeinde der Christen am Pfingsttag entstanden. Die Apostel hatten sich an die Menge der Menschen gewandt, die zum jüdischen Fest Schawuot nach Jerusalem gekommen waren, und wurden von allen verstanden, obwohl die Zuhörer ganz verschiedenen Sprachen und Kulturen angehörten. Petrus hatte dies dann in einer Predigt erklärt. Darum ging es  hier in unserem Gottesdienst vor zwei Wochen. 

Und dann heißt es in der Apostelgeschichte weiter: „Die nun sein Wort (also das des Petrus) annahmen, ließen sich taufen; und an diesem Tage wurden hinzugefügt etwa dreitausend Menschen.“ (2,42) Solch einen großen Erfolg hatte meine Predigt vor zwei Wochen leider nicht. Unsere Gemeinde besteht weiterhin nur aus etwa 100 Mitgliedern. Aber schauen wir mal, wie es damals in Jerusalem weiterging. „Der Herr aber fügte täglich zur Gemeinde hinzu, die gerettet wurden“ (2,47 b) heißt es kurz danach. Und zu Beginn des übernächsten Kapitels ist dann schon von 5000 Männern die Rede (4,4).

Und was geschieht in dieser so schnell angewachsenen Gemeinde? Gleich zu Beginn heißt es: „Sie blieben aber beständig in der Lehre der Apostel und in der Gemeinschaft und im Brotbrechen und im Gebet.“ (2,42) Das ist ein bisschen erstaunlich, denn wie kann so schnell eine „Lehre der Apostel“ entstanden sein? Die Apostel waren ja eben gerade erst vom Geist Gottes überwältigt worden. Aber wichtig ist wohl die Gemeinschaft untereinander, die ein paar Verse weiter noch einmal unterstrichen wird: „Und sie waren täglich einmütig beieinander im Tempel und brachen das Brot hier und dort in den Häusern, hielten die Mahlzeiten mit Freude und lauterem Herzen und lobten Gott und fanden Wohlwollen beim ganzen Volk.“ (2,46.47a)

Dazwischen steht aber noch eine andere interessante Aussage: „Alle aber, die gläubig geworden waren, waren beieinander und hatten alle Dinge gemeinsam. Sie verkauften Güter und Habe und teilten sie aus unter alle, je nachdem es einer nötig hatte.“ (2,44f) Und genau darum geht es auch in dem Abschnitt, über den ich heute predigen soll. Er steht im 4. Kapitel der Apostelgeschichte und dort heißt es:

Die Menge der Gläubigen aber war ein Herz und eine Seele; auch nicht einer sagte von seinen Gütern, dass sie sein wären, sondern es war ihnen alles gemeinsam. Und mit großer Kraft bezeugten die Apostel die Auferstehung des Herrn Jesus, und große Gnade war bei ihnen allen. Es war auch keiner unter ihnen, der Mangel hatte; denn wer von ihnen Land oder Häuser hatte, verkaufte sie und brachte das Geld für das Verkaufte und legte es den Aposteln zu Füßen; und man gab einem jeden, was er nötig hatte.

Josef aber, der von den Aposteln Barnabas genannt wurde – das heißt übersetzt: Sohn des Trostes –, ein Levit, aus Zypern gebürtig, der hatte einen Acker und verkaufte ihn und brachte das Geld und legte es den Aposteln zu Füßen."

Hier geht es also ausdrücklich um die Gütergemeinschaft in der ersten christlichen Gemeinde. Ich habe allerdings einige Zweifel daran, ob das historisch wirklich genau so war, wie der Evangelist Lukas das hier in der Apostelgeschichte beschreibt. Diese Zweifel werden einerseits von der Logik her genährt. Gerade eben war noch die Rede davon, dass sich die Gemeinde in den Häusern trifft, und nun werden sie alle verkauft? Ist das denn überhaupt sinnvoll? Wo wohnen denn die Leute dann? Und wovon leben sie, wenn sie ihre Äcker verkaufen? Andererseits unterstützt auch der Text selbst diese Zweifel. Erst ist davon die Rede, dass alle ihren Besitz verkauften und dann wird in den beiden letzten Versen von dem ganz konkreten Fall erzählt, wie Barnabas einen Acker verkauft – und das klingt nicht so, als wäre dies der übliche Vorgang, sondern eher so, als handle es sich dabei um einen besonderen Fall. Und genau letzteres leuchtet auch ein, denn Barnabas verlässt kurz darauf Jerusalem, zieht nach Antiochia und begleitet dann Paulus auf seiner ersten Missionsreise. 

Insgesamt scheint mir dies darauf hinzudeuten, dass es sich hier nicht um ein historisches Dokument über die erste christliche Gemeinde handelt, sondern dass Lukas uns so etwas wie ein vorbildliches Modell einer Gemeinde präsentieren will. In welcher Weise kann aber für uns heute dieses Modell hilfreich sein? 

Ich möchte für unser Nachdenken über die Zukunft unserer Gemeinde nicht an der Gütergemeinschaft, sondern an einer anderen Aussage anknüpfen. Und zwar an jener, die da lautet: „Und mit großer Kraft bezeugten die Apostel die Auferstehung des Herrn Jesus, und große Gnade war bei ihnen allen.“ (4,33) Hier scheint es mir um die Grundlage des Glaubens zu gehen und damit auch um die Grundlage der Gemeinde. 

Miteinander den eigenen Besitz zu teilen oder sogar eine Gütergemeinschaft kann für Christen eine schöne und auch angemessene Lebensform sein. In diesen Zusammenhang gehört auch, die Bedürftigen nicht zu vergessen. Die Erzählung vom reichen Mann und armen Lazarus, die wir heute als Evangelium gehört haben, weist uns sehr deutlich darauf hin. Es steht also außer Zweifel, dass der Umgang mit unserem Besitz ein wichtiger Aspekt unseres christlichen Lebens ist.

Aber das ist nicht die Grundlage unseres Glaubens. Wenn wir über unsere Gemeinde nachdenken, dann müssen wir uns nach unserem Selbstverständnis fragen, nach unserer christlichen Identität. Ein bestimmtes Verhalten hat für uns als Christen nur dann Sinn, wenn es Ausdruck unseres Glaubens ist. Natürlich kann man auch Gutes tun, ohne zu glauben. Aber dazu braucht man dann auch keine christliche Gemeinde. 

Die Grundlage unserer christlichen Existenz ist der Glaube. Der Glaube verbindet uns miteinander und aufgrund des gemeinsamen Glaubens gibt es hier in Turin seit 10 Jahren eine lutherische Gemeinde. Das ist der Punkt, an dem wir ansetzen sollten, wenn wir über die Zukunft dieser Gemeinde nachdenken.

Nicht, dass wir als Mitglieder dieser Gemeinde alle einen in jeder Hinsicht einheitlichen Glauben haben müssten. Oder dass es angesichts von Inhalten des Glaubens keine Zweifel geben dürfte. Im Gegenteil: Der Zweifel gehört zum Glauben dazu. Ein Glaube ohne jeglichen Zweifel ist kein lebendiger Glaube.

Die Frage ist vielmehr: Worauf bauen wir unser Leben auf? Was ist die Basis unseres Lebens? Etwas vereinfacht gesagt: Geht es in unserem Leben nur darum, Erfolg zu haben, geht es darum, einen gewissen Wohlstand zu erreichen, ein gewisses Wohlbefinden? Oder haben wir noch eine andere Basis?

In dem Abschnitt aus der Apostelgeschichte wird als zentraler Inhalt des Glaubens die „Auferstehung des Herrn Jesus“ genannt. So schwierig diese Aussage für uns scheinen mag, sie ist in der Tat das Zentrum des christlichen Glaubens. Dabei geht es allerdings nicht darum, dass wir unbedingt davon überzeugt sein müssten, dass mit dem Moment der Auferstehung die Naturgesetze durchbrochen worden sind. Es geht vielmehr vor allem darum, dass derjenige, auf den wir uns mit unserem Glauben beziehen, nicht einfach eine Gestalt der vergangenen Geschichte ist. Jesus Christus, der das Kommen des Reiches Gottes angekündigt und bezeugt hat, er lebt, er ist lebendig! Der Glaube daran ist keine Ideologie, durch die wir uns von anderen Ideologien unterscheiden. Er weist uns darauf hin, dass man mit dem auferstandenen Herrn Jesus Gemeinschaft haben kann. Man kann mit ihm reden im Gebet. Und das ermöglicht konkrete Erfahrungen, die zeigen, dass es sich hier nicht um eine Illusion handelt.

Wenn dies die Basis unseres Lebens ist, dann können wir das, was um uns herum geschieht, in einer anderen Weise wahrnehmen als Menschen ohne diesen Glauben. Wir sind dann dem, was geschieht, nicht ausgeliefert. Wir können sozusagen mit etwas Abstand darauf schauen. Dem, womit uns der Alltag konfrontiert, können wir aufrecht begegnen und uns frei darin bewegen. Denn wir sind darauf letztlich nicht angewiesen. Unsere Basis ist eine andere. Sie liegt in der Gemeinschaft mit Jesus Christus.

Gerade in Krisenzeiten, wo alle darauf achten, dass die eigenen Interessen nicht zu kurz kommen, und wo ein klarer Weg nicht sichtbar ist, kann das hilfreich sein. Jeder und jedem Einzelnen kann es helfen, sein Leben lebenswert zu gestalten. Allerdings bedarf der Glaube auch der Gemeinschaft. Der Glaube bleibt nur lebendig, wenn er immer wieder neue Impulse bekommt, wenn wir uns darüber austauschen und ihm die Möglichkeit geben, sich zu vertiefen.

Und deshalb sollten wir das Angebot annehmen, in unserem Glauben gestärkt zu werden. Das liegt nicht nur im Bereich unserer eigenen Kräfte. Das Zeugnis von der „Auferstehung des Herrn Jesus“ ist die eine Sache. Der Bibelvers (4,33) geht dann aber weiter mit den Worten: „und große Gnade war bei ihnen allen.“ Für mich liegt genau darin die Zukunft unserer Gemeinde. Dass wir zusammenkommen, um uns von Gott durch seine Gnade stärken zu lassen. Das tun wir in diesen Wochen nach dem Lockdown noch etwas zaghaft. Ich hoffe aber, dass es nach dem Sommer wieder intensiver möglich sein wird.

Pfarrer Heiner Bludau