Le religioni di fronte al XXI secolo – Die Religionen vor den Herausforderungen des 21. Jahrhunderts

Prendendo spunto dai festeggiamenti per i 500 Anni della Riforma, al Campus Einaudi si discute delle sfide per le religioni nel nostro tempo.

Ausgehend vom Reformationsjubiläum kommen am Campus Einaudi Vertreter verschiedener Religionen über die Herausforderungen unserer Zeit ins Gespräch.


Dove e quando?


Domenica, 22 ottobre 2017, ore 15:00

al Campus Luigi Einaudi nell'Aula magna di Lungo Dora Siena 100 A - Torino

Dopo ci sarà ancora tempo per raggiungere il culto musicale luterano alle ore 18:45 al Santuario Sant'Antonio da Padova



Wo und wann?


Sonntag, 22. Oktober 2017 um 15:00 Uhr

Campus Luigi Einaudi (Aula Magna) | Lungo Dora Siena 100 A | Torino

Anschließend bleibt noch ausreichend Zeit, um am musikalischen Gottesdienst im Santuario Sant'Antonio da Padova um 18:45 Uhr teilzunehmen. 


LE RELIGIONI DI FRONTE AL XXI SECOLO

DIE RELIGIONEN VOR DEN HERAUSFORDERUNGEN DES 21. JAHRHUNDERTS


Che cosa portano le religioni in dialogo col mondo che cambia. 

Ne parleranno

Was bringen die Religionen in den Dialog über die sich rasch verändernde Welt ein? 

Darüber sprechen:


  • Fr. Enzo Bianchi, Fondatore della Comunità monastica di Bose (Gründer der Klostergemeinde Bose)
  • Rev. Fausto Taiten Guareschi, Abate fondatore del monastero di tradizione Zen Soto Shobozan Fudenji (Abt und Gründer des Zenklosters Soto Shobozan Fudenji)
  • Dott. Ibrahim Gabriele Iungo, Teacher presso la Moschea Mohammed VI, Università Cattolica del Sacro Cuore (Teacher an der Mohammed VI-Moschee, Università Cattolica del Sacro Cuore)
  • Prof. Paolo Ricca, Docente emerito di Storia del Cristianesimo (emeritierter Dozent für Geschichte des Christentums)

Alcune riflessioni introduttive di Paolo Ribet

Einige Überlegungen vorab von Pastor Paolo Ribet (in italienischer Sprache)


Due pensieri vogliono far da volano in questa riflessione:

Per prima cosa si constata che le religioni tutte devono rispondere alle domande del mondo moderno, non cedendo alla tentazione di un ripiegamento su se stesse e di una ricerca di identità fondata unicamente sulla tradizione passata. Una identità chiusa porta fatalmente al fondamentalismo e all’integralismo, spesso omicida; una identità aperta si mostra invece capace di costruire futuro e ponti fra le persone. Il dialogo con un mondo che cambia così in fretta richiede inventiva, fantasia. Il radicamento nella tradizione deve essere il trampolino per una visione nuova, rispondente alle domande di oggi.

Inoltre, si può affermare che la Riforma prima e l’Illuminismo poi hanno imposto il rispetto per le minoranze e la cessazione delle reciproche scomuniche. Detta così, questa affermazione è ardita; ma nel momento in cui il mondo (occidentale) ha visto sfaldarsi la facciata monolitica rappresentata dall’unità religiosa, si è dovuto porre il problema delle minoranze, della tolleranza prima e del riconoscimento poi. Ci sono voluti alcuni secoli e molte guerre, ma alla fine si è arrivati ad una affermazione da cui non si vuole tornare indietro.

Anche se è giusto che la storia che sia presente per situare il confronto anche nell’attuale contesto storico e spirituale, no si tratta di un convegno storico, ma vuole essere l’inizio di una riflessione sulla necessità e sul senso di una riforma in tutte le religioni per la costruzione di un mondo plurale.

Nella memoria del significato della Riforma, quello appena passato è stato un anno denso di iniziative che hanno coinvolto le chiese, e non solo quelle che derivano dalla Riforma, e anche enti e associazioni laiche che hanno sentito il desiderio di confrontarsi con questo evento che ha profondamente influenzato la storia moderna.

Riandare ai fatti del passato non ha mai voluto essere un cedere alla tentazione della (auto)celebrazione o semplicemente un’occasione di studio; ma, soprattutto per dei credenti, è stata l’occasione per riflettere su se stessi e sull’imperativo dettato dalla fede di una continua riforma per rispondere al meglio alle domande del tempo presente. Il documento luterano – cattolico “Dal conflitto alla comunione”, che ha marcato i contenuti della cerimonia di Lund, afferma: «Ciò che è avvenuto nel passato non può essere cambiato, ma che cosa viene ricordato del passato e come viene ricordato, col passare del tempo può realmente cambiare. Il ricordo rende presente il passato». In questo senso ci si può muovere, anche per la costruzione di un futuro non più fatto di contrapposizioni, nella coscienza che la storia ed il futuro appartiene a tutti.

La Riforma rappresentò un ampio movimento europeo che coinvolse teologi, umanisti e studiosi di ogni parte del continente, i quali diedero corpo alla richiesta di una riforma della chiesa – nel capo e nelle membra – a lungo reclamata ma sempre disattesa. Una richiesta che all’inizio del Cinquecento la curia romana, strutturata sul modello delle corti rinascimentali, continuò a ignorare. Tale movimento fu favorito dall’atmosfera culturale dell’epoca caratterizzata dal ritorno alle fonti della cultura classica occidentale.

Istanze di riforma erano già state avanzate prima del XVI secolo dai protagonisti di quella che gli storici chiamano la “prima riforma” e che viene individuata, tra gli altri, nel movimento valdese, nato verso il 1175 in Francia, e nella predicazione del boemo Jan Hus (1371-1415) e dell’inglese John Wycliff (1331-1384) che avevano contestato il papato, il culto dei santi e la corruzione ecclesiastica.

Per il cristianesimo del cinquecento si trattava di un ritorno alla Scrittura, permesso dal lavoro di umanisti come Erasmo da Rotterdam che pubblicò il testo del Nuovo Testamento in lingua greca, sostituendolo così alla Vulgata, la traduzione latina nella quale lo stesso Erasmo riscontrò errori di traduzione che stavano alla base di affermate dottrine cristiane.

Il casus belli che portò Lutero a prendere decisamente posizione fu la campagna di vendita delle indulgenze, affidata in Germania al monaco Johann Tetzel, il cui ricavato doveva contribuire al finanziamento della costruzione della basilica di San Pietro a Roma. Per il monaco agostiniano, l’idea che la grazia di Dio potesse essere oggetto di mercanteggiamento o si potesse ottenere per meriti personali costituiva un tradimento del Vangelo. Questo lo spinse a redigere le sue famose 95 tesi contro le indulgenze.

Il pensiero di Lutero, allora professore di Bibbia a Wittenberg, ruotava attorno all’idea della giustificazione per fede secondo cui la salvezza è donata da Dio in Cristo soltanto (Solus Christus) attraverso la sola grazia di Dio (Sola Gratia) a cui l’essere umano risponde con la fede (Sola fide). Si tratta delle tre affermazioni fondamentali della Riforma alle quali se ne aggiunge una quarta: l’autorità fondativa di ogni affermazione della chiesa sta nella Bibbia soltanto (Sola Scriptura).

Ma sarebbe un errore leggere gli eventi del XVI secolo solo in chiave luterana, per quanto ovviamente Lutero abbia avuto un ruolo centrale. La Riforma fu un movimento europeo che vide in tutto il continente personalità diverse elaborare autonomamente le une dalle altre un pensiero convergente sui fondamenti teologici illustrati sopra – sebbene non mancassero differenze anche sostanziali e, in alcuni casi divisive. Oltre a Lutero si può ricordare il suo contemporaneo Huldrych Zwingli (1484-1531) che operò nella città di Zurigo e il riformatore di Strasburgo, Martin Bucero (1491-1551). Una generazione dopo vennero l’umanista francese Giovanni Calvino (1509-64), riformatore di Ginevra e John Knox (1513-1572) che introdusse il presbiterianesimo in Scozia. Quando fu chiaro che la risposta di Roma a queste istanze di riforma si esprimeva esclusivamente con la condanna e la scomunica, attorno a queste figure si costituirono delle chiese nazionali o territoriali indipendenti le une dalle altre, che giocoforza svilupparono nel contesto storico dell’epoca anche una dimensione politica. In questo senso, la Riforma si inserì nel processo di nascita e consolidamento degli Stati nazionali.

Accanto alla Riforma cosiddetta “classica”, rappresentata dai teologi menzionati sopra, si sviluppò anche una Riforma cosiddetta “radicale” in cui il movimento più noto è quello degli anabattisti. Questa “ala sinistra” mirava a cambiamenti più profondi sia dal punto di vista teologico (su questioni quali i sacramenti, il rifiuto del battesimo dei bambini a favore del battesimo dei credenti; l’iconoclastia) sia da un punto di vista sociale. In particolare, la Riforma radicale appoggiò in Germania la rivolta dei contadini (1524-1525), in cui ebbe un ruolo importante Thomas Müntzer, che, ispirandosi a princìpi evangelici chiedeva profonde riforme sociali. Lutero invece si schierò con i principi tedeschi che repressero nel sangue la protesta delle campagne.

In Italia la Riforma si affermò soprattutto a Venezia – anche grazie all’autonomia che la Repubblica seppe rivendicare nei confronti del tribunale dell’Inquisizione istituito nel 1542 – e a Lucca, dove gran parte della classe dirigente della città fu costretta all’esilio per la propria adesione al protestantesimo. Nel 1532, il movimento valdese aderì alla Riforma svizzera trasformandosi così in una chiesa protestante. Nel nostro Paese la Riforma – che produsse anche figure di spicco tra i riformatori, quale quella del toscano Pier Martire Vermigli – venne violentemente repressa. Tra i tanti episodi è da ricordare il massacro dei valdesi di Calabria nel 1561 e l’attacco del Duca Emanuele Filiberto contro le Valli Valdesi, in cui i Valdesi seppero difendersi, strappando al Duca il diritto di esercitare la loro fede seppure nel chiuso di quel ghetto alpino.

Paolo Ribet